*Un tuffo nei mondi di Simon, che fatica a fare ciò che sa è giusto e che si sforza a non morire sul corpo possente di Zlatan, e di quest’ultimo che ha mille sfaccettature e che sembra tante persone in una. Intanto arriva quel che ha caratterizzato il 2020 e anni successivi e segnato la storia del mondo. Siamo infatti a febbraio e sappiamo di cosa si parlava in quel periodo. Ci tengo a precisare che la visione che ho di Simon e Zlatan sono personali e per questioni di fic, sono certa che nella realtà sono due mariti amorevoli e fedeli (ma che ne sappiamo noi! XD). Col covid arriveranno capitoli più interessanti, hot e succosi, perciò questo è proprio di passaggio e riflessivo. Buona lettura. Baci Akane*

21. L’HO GIÀ FATTO

zlatansimon

Apparentemente riusciva a gestirsi bene, Simon riusciva a chiudere i propri problemi esistenziali per bene dentro di sé, sapeva di averne e di non poterli risolvere e li metteva via. 
Andava avanti per la sua vita in modo regolare come niente fosse, cercando di concentrarsi sul calcio. 
L’intesa con Alessio andava e veniva, a volte erano perfetti, altre no, ma il problema all’interno della squadra non era di certo limitato a quello, sebbene una difesa solida e d’acciaio avrebbe potuto aiutare. 
I problemi erano in generale in ogni reparto, di cambiamenti a livello di rosa ne servivano ancora molti e quelli fatti in estate o a gennaio, erano ancora troppo freschi per poter dare frutti. Stavano lavorando sul creare un buon gruppo e stavano avendo i primi risultati, ma ci voleva sicuramente ancora molto tempo. Tempo che Simon non riusciva a organizzare e a mettere a frutto.
Aveva nella testa sempre quelle domande che gli vorticavano infinite e più ci pensava, più se ne aggiungevano. 
D’altro canto, con Ibra era sempre più incerto cosa ci fosse. Non era chiaro cosa volesse da lui e perché, solo uno sfizio? E poi dopo che avrebbe fatto tutto quel che voleva, che sarebbe successo?
Capiva molto bene che aveva ragione nel dire quel che aveva sparato in modo tanto insensibile. 
“Ormai l’ho fatto. Che mi fermo o che vado avanti, il punto è che l’ho fatto ed è già irrimediabilmente sbagliato. Oltretutto ha ragione su un’altra cosa.... non so se potrei effettivamente più fermarmi e non farlo più...”
Lo pensò fissando Ibra sotto la doccia, avevano finito gli allenamenti insieme sebbene facendo cose diverse. Simon era andato a fare dei massaggi sentendo della tensione muscolare, mentre Ibra aveva fatto come sempre palestra dopo la sessione regolare, trascinandosi Rafael, quello che vedeva con più talento fra i nuovi arrivati e che si impegnava di meno.
A lui si era unito anche Theo, il quale era stato seguito a ruota da Samuel, naturalmente. Avevano parlato tutto il tempo a macchinetta, ininterrottamente ed erano arrivati negli spogliatoi insieme a lui sempre parlando, stessa cosa avevano continuato a fare sotto le docce e Simon sembrava trasparente, mentre era lì con loro a fingere di ascoltare. 
Questo perché in realtà i suoi occhi vagavano completamente ed inesorabilmente sul corpo completamente nudo e bagnato di Ibra, forte, possente, muscoloso e soprattutto dotato. 
Il calore consueto gli partì e rendendosene conto, spalancò gli occhi e si voltò dandogli la schiena. 
Dove voleva arrivare?
Cosa pensava di fare? 
Poteva anche non pensarci e non fare nulla, ma questo non cancellava ciò che era stato fatto, né cosa sarebbe successo. 
Perché di una cosa Simon non aveva più dubbi. 
Lo voleva eccome. 
Ne aveva un sacro terrore, ma lo voleva sentitamente. 
Però finché mente e corpo non avrebbero fatto pace, difficilmente sarebbe arrivato ad una soluzione. 
“Forse se non lo vedessi più potrei risolvere tutto, magari non avrei mai più voglia di qualcosa si simile, magari non vorrei più nessuno così e tornerei sulla retta via. Ma quel che ha detto è vero. Quel che ho fatto, rimane. Ed è in ogni caso grave.”
Sapeva di non avere via d’uscita, ma il proprio corpo, soprattutto una parte, non voleva saperne di lasciarlo in pace. 

Zlatan si accorse subito che Simon aveva qualche problemino a rimanere davanti a lui senza scavarsi la fossa da solo, non lo vide chiaramente perché fu veloce ed evasivo come un ninja, ma se ne accorse eccome e mentre i tre distruttori di pace e serenità facevano un caos apocalittico come nemmeno i bambini delle elementari, lui seguì l’esempio di Simon e uscì dal locale delle docce.
Afferrò l’asciugamano che si era portato e se lo buttò distrattamente sulle spalle ignorando totalmente la parte inferiore del suo corpo, quella che normalmente andava coperta. 
Simon era al suo posto, negli spogliatoi di Milanello non erano vicini, solo in quelli di San Siro. 
Perciò lo vide di spalle intento a rivestirsi come se avesse improvvisamente una fretta del diavolo. 
Non si era nemmeno asciugato bene, ma aveva già i boxer addosso e stava faticando notevolmente ad infilarsi i pantaloni, che erano naturalmente jeans e, sempre naturalmente, non gli sarebbero mai saliti con la pelle bagnata. 
Zlatan ridacchiò vedendolo e si fece avanti ignorando i tre matti che facevano ancora le loro stupidaggini sotto la doccia, gli andò dietro, lo prese per la vita e veloce come una saetta, gli baciò il collo. 
Simon scattò irrigidendosi come una corda di violino e gli mise istintivamente le mani sulle sue cercando di scostarsi, ma non lo stava toccando col suo corpo e le mani non erano scivolate in avanti a cercarsi rogne. 
I pantaloni erano abbandonati sulle cosce, incastrati per colpa della pelle bagnata e Simon rimase con le sue mani sulle proprie, sui fianchi, e la testa piegata di lato come a concedergli un accesso migliore invece che toglierglielo.
- Sicuro di dover andare? - sussurrò Zlatan sulla pelle, beandosi della sensazione sempre bella che gli trasmetteva il suo collo. Il profumo del bagnoschiuma per pelle delicata che aveva appena usato. 
Simon in tutta risposta gli si appoggiò addosso con la schiena. Solo quando lo fece si rese conto che l’asciugamano gli stava sopra e non sotto e che le proprie belle chiappe avvolte al momento solo dai boxer avevano appena toccato quello che prima l’aveva gettato nel caos. 
- Ibra, sei nudo?! - sbottò shoccato girandosi verso di lui, a quel punto lo vide e fu anche peggio. 
Simon avvampò mentre Zlatan scoppiò a ridere come un sadico e lo vide passare come un forsennato dall’inguine al petto ai capelli bagnati e sciolti ancora gocciolanti e spettinati. 
Si morse il labbro, ormai bordeaux e gli mise le mani sul petto spingendolo leggero. Non sembrava molto convinto e sicuramente aveva totalmente scordato la sua domanda. 
Zlatan stava per fregarsene comunque del suo debole tentativo e stava per baciarlo, quando le voci dei tre demoni che si avvicinava indicarono che avevano finito la doccia, Simon lo spinse con vigore ricordandosi di avere forza se necessario. 
Poi si voltò di schiena e riprese i jeans bloccati a mezza coscia, con uno strattone altrettanto violento li alzò in un unico colpo e se li chiuse. 
Zlatan rise immaginando l’adrenalina in circolo, soprattutto nel davanti. 
“Chissà come gli fa male adesso strizzarlo lì dentro...”
Lo osservò prendendosi l’asciugamano dalle spalle ed iniziando ad asciugarsi placido, con Theo e compagnia che li raggiungevano chiacchierando e ridendo allegramente. 
Non erano jeans troppo stretti anche se in quel momento lo sembravano, la sua schiena nuda era piena di tatuaggi che si estendevano sulla pelle bianca e umida, i suoi capelli corti e biondi erano bagnati e spettinati e doveva proprio ammettere che stava divinamente. 
Era estremamente caldo e sexy e non se ne rendeva conto.
“Non so proprio perché mi ci sono fissato tanto, ma mi conosco. Finché non me lo scopo, non me lo toglierò dalla testa.”
Illudendosi che comunque sarebbe bastato fare quello. 

- Dove vai, ora? - gli chiese affiancandolo al parcheggio, prima di farlo salire sulla sua auto. 
Simon saltò ma si riprese velocemente e stringendosi nelle spalle, rispose normale. 
- A casa, è venuta a trovarmi. - avendo la sessione di mattina ed il giorno dopo di pomeriggio, Elina aveva deciso di venire a trovarlo fermandosi quei due giorni, ogni tanto lo facevano.
- E pensi di farcela? - chiese provocante Zlatan. 
- Quel che conta è che lei lo creda... 
A quella risposta pronta data senza pensarci, lo svedese fece mezzo sorriso quasi crudele, in un certo senso. 
- Hai già capito come funziona... 
Dopo di questo lo superò andando al suo bolide che aprì col pulsante del telecomando, Simon rimasto fermo dove l’aveva detto, lo fissò raggelato. 
- Di che parli? 
Ma lui girandosi mentre apriva la portiera, gli lanciò solo uno sguardo sornione di chi sapeva perfettamente di cosa parlava. 
Così semplicemente salì e con un cenno chiuse la portiera, accese il motore e con un boato sgommò via alla consueta velocità da rotta di collo, assicurandosi di non investire nessun tifoso ancora presente fuori da Milanello. 

Simon rimasto solo davanti alla macchina, fu presto raggiunto dalla banda dei mentecatti chiassosi che lo destarono dal suo shock poco appariscente. 
Si voltò e sorrise salutandoli, poi come niente fosse salì sulla propria auto e partì verso l’aeroporto per andare a prendere sua moglie. 
Era perfettamente in grado di nascondere e mascherare i suoi stati d’animo, i suoi problemi e, soprattutto, qualsiasi verità non volesse condividere con anima viva e proprio a quel punto si sentì un verme. Non era un problema farlo con chiunque, lo era farlo con Elina. 
“Non è che non posso farlo, lo faccio molto bene, invece. Ma non voglio. O meglio, non vorrei farlo. Tuttavia lo faccio già, sto recitando una parte quando sono con lei o la sento al telefono. Non affronto il problema e non voglio fare quel che faccio, so che non è giusto e non so come sbloccare questa situazione di stallo, ma di fatto sono già nel torto marcio, sto già tradendo Elina.”
Simon ci pensò per tutta la strada verso casa, cercando di capire come uscire da quella situazione, se ci fosse un modo.
Capiva di aver sbagliato, che nascondere metteva solo una pezza, ma non risolveva nulla. 
Tuttavia non sapeva come sbloccare il tutto, sia da un lato che dall’altro. 
Poteva passare tutta la vita a fare quel che voleva mentre recitava una parte a casa per non ferire nessuno e continuare a renderli felici, ma sapeva che non era giusto e razionalmente non voleva farlo, eticamente e moralmente non voleva. Religiosamente parlando, poi, non ci poteva nemmeno pensare.
Tuttavia lo stava già facendo e sì, avrebbe potuto farlo per sempre. 
Ma voleva? 
“Non posso cancellare quel che ho fatto ed ormai ho sbagliato e combinato un casino, ma non sono costretto ad affrontare la cosa con lei e parlargliene. La farei solo soffrire inutilmente ed egoisticamente.”
Rimase seduto in macchina anche dopo che fu arrivato, attese prima di scendere a recuperarla. Le mani strette nel volante, gli occhi fissi su di esso senza vederlo, i respiri profondi in una disperata ricerca di calma e controllo. Lo stava perdendo, era quella la verità, stava perdendo il controllo. Lo sentiva e non poteva permetterselo.
“Ma potrei smettere con Ibra, non fare più niente e tornare a quello che so benissimo è giusto e corretto. Lei non lo saprebbe mai e non soffrirebbe, così come i miei figli. Basterebbe smettere da qui in poi. Sì che voglio Ibra, da matti. Ma sono meri desideri. Non sarebbe giusto fare finta di nulla e andare avanti come niente fosse accaduto, ma sarebbe un modo per non farla star male. A patto che, da qui in poi, la smetto.”
Un patto che non era così sicuro di poter attuare vedendo ogni giorno Ibra, soprattutto nudo e bagnato. 
Senza concludere nulla, Simon scese dalla macchina, la chiuse e rimase lì fermo un istante prima di entrare nell’aeroporto. Il respiro era ancora forzatamente profondo ed il cuore non accennava a tornare ad un ritmo regolare. La stava per rivedere, doveva ritrovare il controllo. Era simile ad un attacco d’ansia o per lo meno gli sembrava, non avendone mai avuti prima. Aveva sempre gestito la sua vita in maniera esemplare, così tanto che la sua prima moglie non aveva mai sentito i suoi sentimenti e le sue emozioni. Non aveva fatto lo stesso errore con Elina. Era riuscito a farla sentire amata e si era convinto di provare questo per lei. 
Amore. 
Ma se era amore, come aveva potuto tradirla? Ed ora come poteva volere così tanto Ibra? 
“Comunque lei è mia moglie e loro sono i miei figli. Sono la mia famiglia. È la realtà che mi sono scelto e devo essere coerente fino in fondo. Non importa chi sono e cosa voglio, ma ciò che faccio.”
Ripeterselo, però, non lo rese più facile.
Simon si mosse dal parcheggio come se si sentisse meglio, entrò nella zona degli arrivi ed andò verso la gente in attesa dei propri cari, lo fece serio, come un automa, continuando a riflettere sulla sua situazione senza trovare una via d’uscita se non quella. 
Le scelte dovevano andare avanti fino in fondo, aveva sempre vissuto così e non sarebbe cambiato ora solo perché scopriva di avere dei lati nuovi ed inaspettati. 
Aveva sbagliato, era caduto, non l’avrebbe più fatto. 
Per il bene della sua famiglia che non avrebbero mai saputo nulla per non farli soffrire. Del resto non intendeva rifarlo più. Sarebbe bastato questo, smettere. 
Non sapeva come, ma doveva riuscire a smettere. 
Le porte scorrevoli degli arrivi si aprirono e la gente iniziò a fluire al di qua, mentre lui cercava di riconoscere il volto di sua moglie, l’immagine del corpo di Ibra lo schiaffeggiò a freddo. 
Nudo, possente, ricoperto di tatuaggi, i suoi capelli lunghi e sciolti, la sua erezione grande. 
Il respiro era corto, l’eccitazione tornò ad impennarsi in ogni fibra del suo essere. 
Simon spalancò gli occhi e si congelò intravedendo il viso di Elina, gli sorrise a distanza facendosi notare, consapevole che non lo potevano riconoscere per il cappellino e gli occhiali scuri che mascheravano un po’ il suo viso agli occhi della folla intorno. Nessuno a guardare lui, tutti intenti a ricevere i propri cari.  
“Come diavolo ho fatto a sbagliare così tanto? Come ho potuto non notare queste mie tendenze mai prima di ora? Come non mi sono mai sentito così attratto da un altro uomo? Ora a trent’anni dopo due matrimoni e due figli? Come cazzo si fa a sbagliare in questo modo?”
Elina gli arrivò innanzi e lui le andò incontro, respirò a fondo un’ultima volta e sorridendo di più, allargò le braccia e la strinse a sé, baciandola. 
La maschera era tornata al suo posto, come sempre. 

Zlatan in realtà non si sentiva poi così male a vivere da solo, ma gli mancavano i ragazzi. Era stata molto dura separarsi da loro ed adesso rientrare in casa e ritrovarsi solo lo faceva sentire totalmente spaccato in due. 
Gli era sempre piaciuta la solitudine e l’indipendenza, ma aveva voluto farsi una famiglia, si era sposato con Helena per quello, e dopo che Vincent e Max erano entrati nella sua vita, si era sentito rinascere, come se fosse diventato un uomo nuovo. 
Era come se fosse tante persone diverse. Quello in casa con i figli, il padre di famiglia che spesso era più un fratello maggiore perché era un compagno di giochi il più delle volte, e quello fuori, che vedeva il mondo intero. 
Una persona reputata da tutti duro, arrogante e parecchio stronzo. Ne era consapevole e non gli importava, un po’ era il suo atteggiamento, si era costruito quell’immagine per superare i molti ostacoli incontrati nella sua vita ed in particolare nella sua carriera, ma di fatto lui era diverso. Nella realtà era un bambinone infantile che amava fare scherzi e tormentare gli altri e gli piaceva divertirsi e circondarsi dalle persone che gli piacevano. 
Ma non c’erano solo questi Zlatan. 
Il padre di famiglia, che sapeva stare bene con Helena e la considerava un’amica complice con cui avere anche una più che soddisfacente vita sessuale normale, da uomo sposato. 
Il calciatore arrogante e stronzo che il mondo vedeva, ma sempre molto duro e professionale. 
La persona che invece conoscevano i suoi compagni di squadra o i suoi amici, quei pochi eletti con cui si rilassava e si divertiva. Un trascinatore vero e proprio.
E poi c’era lo Zlatan che amava isolarsi. Quello che prendeva e partiva per non sapeva nemmeno lui dove, che correva in macchina o andava in montagna a camminare o che faceva qualunque cosa gli passasse per la testa. 
Quel Zlatan era quello preda dei suoi ‘periodi’, che aveva bisogno di stare solo senza rispondere a niente e nessuno e fare tutto quel che gli passava per la testa. Spesso era andare a letto con qualche ragazzo che lo ossessionava in un determinato periodo, che poi tendeva puntualmente a diventare un compagno vero e proprio per un momento della sua vita, ma che poi sfumava per il suo bisogno costante di cambiamento. 
In quei periodi non c’era sempre questo bisogno, a volte andava solo a letto con qualcuno perché sì e basta, nemmeno lo sapeva perché, lo faceva e basta. 
Poteva voler fare qualunque cosa, se non la faceva diventava matto. Se se lo impediva erano guai, diventava allucinato. 
Aveva bisogno di spezzare la routine, la normalità della sua vita, di sentirsi libero. 
In quel periodo viveva a casa da solo e sentiva regolarmente i figli, Helena di meno perché sapeva che era meglio fosse lui a sentirla quando gli andava, altrimenti finiva per rispondere a monosillabi. 
Per loro vedersi era più difficile, la Svezia non era dietro l’angolo ed in quel periodo i ragazzi avevano scuola, perciò ne soffriva nel non poter stare con loro e anche loro ne soffrivano, ma sperava di rivederli presto. 
Quel giorno, come gli altri, appena messo piede nell’immensità di casa sua, fece subito una videochiamata a Max e Vincent, i due andarono dalla madre per farglielo salutare, a volte i due parlavano un po’, altre, se magari lei era impegnata, il saluto era più breve. 
Quel giorno, però, lei era particolarmente presa dal telegiornale che stava guardando in quel momento, aveva una strana espressione. Attenta, preoccupata, ansiosa. Fu come se non lo vedesse nemmeno, nel telefono del figlio maggiore. Lui non se ne seccò, ma se ne stupì un po’, magari era lui che tendeva ad essere un po’ freddo con lei, ma lei di solito non lo era.  
- Helena! - la richiamò stranito Zlatan. - Ma cos’ha? 
A rispondergli fu suo figlio che girò la telecamera del telefono mettendo quella esterna e gli mostrò quel che stava guardando con tanto interesse da ignorarlo in quel modo. 
- Ultimamente è fissata con la notizia di quell’influenza... il Coronavirus o quel che è... - gli spiegò mostrandogli un telegiornale che parlava proprio di quello. 
Finalmente Helena notò la presenza al telefono di suo marito e gli rispose avendo percepito tutto:
- Parlano di quell’influenza che gira in Cina... a quanto pare è davvero seria e si sta espandendo in tutto il mondo a macchia d’olio... 
Zlatan aveva come tutti sentito qualcosa in merito, ma non aveva mai approfondito troppo.
Come tutti, insomma. 
Non ci avevano mai dato peso, ma era normale. 
Sembrava una di quelle influenze stagionali, ne uscivano sempre ogni anno.
- Seria quanto? - chiese Zlatan continuando a guardare lo schermo del telefono invece che accendere la propria televisione e cercare qualche notizia lui stesso. Ancora non capiva, non aveva ancora la reale concezione di quello che sarebbe successo. 
- Seria tanto da avere una percentuale di contagio e mortalità da paura. 
E quando disse ‘paura’, Helena finalmente lo guardò attraverso la telecamera che Vincent aveva girato verso di loro, a quel punto aggiunse mostrando un timore leggibile e palpabile che colpì molto Zlatan: - Parlano di quarantene e blocchi di ogni attività fino a che non si placano i contagi e non trovano una cura che funzioni... 
Non sapevano che quella cura non l’avrebbero mai trovata e che quei blocchi ci sarebbero stati, ma non sarebbero durati poche settimane, come preventivato. 
Zlatan a quel punto rabbrividì per la prima volta sentendo quella storia che fino a quel momento aveva percepito vagamente.