*Simon arriva al Milan qualche giorno dopo Zlatan e nonostante i trascorsi tesi fra i due che li fanno mal sopportare, si ritrovano in camera insieme a Milanello. Questo potrebbe essere il colpo di grazia che trasforma Zlatan in un killer definitivo oppure un'opportunità per scoprire i punti in comune che hanno. Come per esempio che entrambi parlano lo svedese (ed è vero). Oppure realizzare che non sono fisicamente niente male. Le differenze tuttavia sono molte ed abissali, come riusciranno a passare una notte intera insieme? Del resto, far uscire di testa Simon è davvero molto difficile e forse possono sopravvivere grazie alla sua indifferenza. Ma quanto andranno avanti, così? Buona lettura. Baci Akane*
3. STIMOLANTE
- Sono il tuo nuovo compagno di stanza, a quanto pare. - disse Simon apparentemente normale.
“A quanto pare,” si ripeté fra sé e sé Zlatan. Con un’aggiunta di un paio di imprecazioni in svariate lingue diverse, tutte quelle che conosceva e non erano poche nemmeno nel suo caso.
“Seriamente? SERIAMENTE?! No ma dico stiamo scherzando? Anche qua mi perseguita? Devo stare con uno che mi ha chiamato arrogante dopo uno scontro in campo? Va bene, l’avrò preso per il collo, ma se l’ho fatto avevo le mie buone ragioni, che non ricordo più e non importa! CAZZO NON VOGLIO AVERLO FRA I PIEDI MISTER PRINCIPE DEL NORD! E poi col cazzo, io sono il principe del nord. Anzi no, sono il RE DEL NORD! Oh ma che cazzo me ne fotte, non mi sono mai sentito uno del nord. Vaffanculo, non ci sto con lui! Domani qualcuno farà cambio con me o spacco tutto!”
- Ciao, - borbottò brusco tornando a guardare il cellulare come se fosse estremamente importante quel che ci stava vedendo dentro.
Cosa non vera, ovviamente.
Zlatan stava per scrivere a Paolo, ma si frenò realizzando che non era il caso di fare il bambino col suo direttore. Così cercò qualcun altro a cui scrivere, ma si rese conto che non c’era proprio nessuno con cui sfogarsi a cui dire di tutto per non uccidere il suo nuovo inquilino. Del resto era appena arrivato al Milan anche lui e non aveva avuto davvero tempo di conoscere o avvicinarsi a qualcuno.
Per il resto, era uno di quei periodi in cui era da solo da un po’, aveva interrotto i ponti con i vecchi compagni per via del periodo in cui aveva giocato in America, di conseguenza era un po’ fuori da tutti i vari giri. Si doveva rimettere in pista, sostanzialmente, ed aveva tutta l’intenzione di farlo.
C’era sempre stato qualcuno con cui gli piaceva stare e passare il tempo, e con passare il tempo intendeva anche andarci a letto, oltre che divertirsi in generale. Perché lui di fatto era una persona socievole, anche se non sembrava e comunque non ai livelli in cui lo potevano essere i sudamericani o gli spagnoli, animali da compagnia veri e propri. Ma Zlatan non era realmente un solitario che gli piaceva isolarsi e che odiava tutti, anzi.
Purtroppo, però, adesso non c’era nessuno, al contrario c’era uno che gli stava altamente sulle palle.
Che spettacolo.
Proprio meraviglioso.
Zlatan scrisse una serie di parolacce nelle note del suo telefono perché aveva davvero davvero davvero bisogno di scriverle oltre che pensarle. E la nota la chiamò VAFFANCULO.
Simon nel ricevere quella reazione brusca e secca, non si scompose e non fece capire cosa pensava, spense il suo sorriso e portò la propria attenzione alla sua postazione come se nulla fosse, convinto che tutto sommato fosse andata bene.
Stava pensando e scrivendo peste e corna di lui, era chiaro.
E il giorno dopo sarebbe andato a fare il putiferio obbligando chiunque a fare cambio di camera, così in ogni caso avrebbe ottenuto anche lui ciò che voleva.
Loro due separati.
Massimo risultato, minimo sforzo.
Simon iniziò a prepararsi per la notte senza dire assolutamente nulla, senza nemmeno fingere di sforzarsi di tentare di costruire un rapporto, qualcosa che per tutto il pomeriggio non avevano nemmeno provato a fare, consapevoli non sarebbe servito.
“Una notte.” pensò il danese paziente. “Devo resistere solo una notte, poi sicuramente ognuno per la propria strada perché lui mi farà cambiare camera come per magia. Perché conoscendolo non la cambierà lui, scomoderà me visto che è prepotente. Ma va bene, se è per quieto vivere personale, mi andrà bene.”
Si era appena tolto la maglia della tuta rimanendo a torso nudo, quando Elina lo chiamò e senza rifletterci le rispose come sempre, usando la lingua che usavano insieme.
La lingua madre di lei.
Lo svedese.
Appena Zlatan sentì la propria lingua, lo svedese, gli si drizzarono le orecchie e tornò a sollevare la testa di scatto, fissando il ragazzo in camera con lui e nel farlo si perse ad osservarlo senza volerlo.
Del resto, difficile evitarlo.
Simon indossava solo i pantaloni della tuta, sopra era a torso nudo. Prima aveva potuto tranquillamente evitare di stare con lui negli spogliatoi, dopo l’allenamento, poiché come al solito aveva fatto ulteriori esercizi in palestra per completare il suo personale programma, così non l’aveva proprio visto. Non aveva potuto notare il suo fisico asciutto e allenato che ora gli stava così gentilmente spiattellando in faccia. Tanto meno avevano notato la pelle lattea ed i tatuaggi.
Non erano tanti come i propri, così come i suoi muscoli non erano alla propria altezza, però complessivamente era una visione per niente spiacevole, tutto sommato.
Così come non era spiacevole la combinazione del suo bel taglio di capelli corto ed ordinato, così biondi, quel filo leggerissimo di barba ed i lineamenti da statua levigata nel ghiaccio.
“Il meglio sono gli occhi.”
Prima di realizzare che lo stava pensando, l’aveva già fatto e si stava pure insultando.
“Comunque stavo notando che parla svedese, era questo che aveva attirato la mia attenzione. Non che è un bel tipo. Dannatamente un bel tipo. Fino ad ora avevo notato solo che era odioso, freddo, scostante e snob. Uno che giudica un altro arrogante e fuori luogo sulla base di un cazzo, di sicuro è snob. Ed io odio gli snob. Principe di sto cazzo!”
Zlatan a quel punto, seccato, si alzò dal letto in cui si era seduto e si tolse la felpa della tuta sfilandosela via dalla testa, i capelli legati si spettinarono e dovette scioglierseli, ma a quel punto li lasciò liberi sulle spalle larghe e muscolose.
Simon stava parlando con sua moglie dicendo che era andato tutto bene e che il giorno dopo avrebbe avuto la prima partita. Lei era rimasta in Spagna coi due figli, non avendo trovato sensato spostarsi per un anno di prestito che non sapeva poi come sarebbe finito.
Non era uno che ipotizzava risultati positivi e si trascinava per forza sempre tutta la famiglia ogni volta, già si spostava spesso, se poi li faceva girare anche solo per i prestiti, non avevo proprio senso, sarebbe stato eccessivamente egoista.
Al momento, però, essendo venuto via da Bergamo in fretta, non aveva avuto tempo di pensare ad un nuovo appartamento, perciò in realtà aveva solo spostato tutte le valige, non molte, in hotel, e poi era venuto diretto a Milanello.
Quando Ibra si tolse la maglia, questi attirò la sua attenzione un po’ troppo, tanto che si perse un pezzo del discorso di Elina, che dovette ripetere.
Colpa sua che si era improvvisamente spogliato davanti a lui mostrando i suoi famosi tatuaggi ed il suo ancor più famoso corpo forte e possente.
Prima, dopo gli allenamenti, era scappato in palestra a fare altre macchine col suo solito tipico fanatismo, perciò aveva potuto evitarlo con sommo piacere.
Ora, lì bello davanti a lui, non poté evitarlo ed anzi non si spiegò il motivo di tanta distrazione da parte propria, tuttavia per tornare a concentrarsi su Elina dovette dargli le spalle.
Non si fece domande e di conseguenza non si diede nemmeno risposte.
Mostrandosi a torso nudo e coi capelli sciolti l’aveva distratto, il motivo era trascurabile, completamente di poco conto.
Non gli era mai capitato di rimanere incantato a fissare qualcuno e non era un problema, era strano fosse successo ora con lui, ma non contava nulla.
Come niente altro, ovviamente.
Non c’erano molte cose degne di attenzione, nella sua vita.
Si era sposato due volte e dal secondo matrimonio aveva avuto due figli, loro in particolare riteneva fossero forse le uniche due cose che contavano realmente per lui.
A volte Simon pensava che se non fosse stato per i suoi figli, non avrebbe saputo cos’era il vero amore e forse si sarebbe chiesto se fosse in grado di provarne.
Per il resto poche cose avevano meritato la sua attenzione e non era sicuro di averne realmente mai trovata qualcuna al di fuori della sua famiglia.
Finita la sua breve e formale conversazione con sua moglie, Simon continuò a mettersi il pigiama per poi sistemarsi sul letto senza guardare più Ibra.
Evitò con cura, non casualmente perché aveva altro per la testa.
Lo fece di proposito, ma non si diede di nuovo alcuna spiegazione logica del motivo per cui non voleva intenzionalmente guardarlo nemmeno di striscio. Non aveva importanza.
Era bravo ad ignorare. Qualunque cosa, specie se riguardava sé stesso o ciò che provava.
- Parli svedese? - chiese Ibra improvvisamente sempre in quella lingua, Simon saltò sul posto non aspettandosi la domanda e lo guardò stupito che gli parlasse di punto in bianco.
Per fortuna anche lui aveva finito di vestirsi. Beh, si faceva per dire.
Simon trattenne lievemente il respiro evitando di fare altre espressioni nel vedere che aveva solo una maglietta e che sotto aveva i boxer.
“Non si veste come ci si aspetterebbe d’inverno?”
- Non hai freddo? - chiese invece di rispondere, anche lui mantenendo lo svedese. L’altro alzò le spalle infilandosi sotto le coperte.
- Ho sempre caldo.
Simon notò che si era fatto mettere sulle lenzuola un piumino leggero piuttosto che uno pesante.
- Allora lo svedese? - tornò a chiedere stranamente interessato alla questione.
Simon si chiese cosa gli importasse, l’aveva ignorato anzi guardato chiaramente torvo tutto il tempo, tanto che era evidente la sua volontà di cacciarlo di camera, ed ora cosa veniva a chiedergli?
- Mia moglie è svedese. Parliamo quella lingua, insieme.
- Lei non parla il danese? - chiese ancora come se fosse normale, ora, conversare insieme.
Voleva chiedergli cosa diavolo gli importasse, ma si controllò bene e rispose cordiale, rimanendo seduto nel letto con le spalle tirate sulla spalliera, il cellulare ormai attaccato al carica batteria appoggiato sul comodino accanto.
- Per me è più facile imparare le lingue, sono portato. Lei un po’ conosce la mia, ma a me viene meglio lo svedese piuttosto di come a lei viene il danese.
Il danese era una lingua molto simile al tedesco e non era molto facile.
Ibra annuì.
- Anche io sono portato per le lingue, viaggiando tanto ci si abitua ad impararle in fretta.
Entrambi avevano cambiato club frequentemente, passando da una nazione all’altra molto facilmente e altrettanto facilmente avevano imparato ogni lingua.
Simon voleva dirgli ‘chi te l’ha chiesto’, invece si trovò a continuare quella conversazione come se gli interessasse.
- Quante lingue conosci? - gli chiese fingendo interesse e guardandolo distrattamente di tanto in tanto, evitava di fissarlo negli occhi in modo insistente, cosa che invece lui stava facendo. Lo fissava.
Lo fissava con la testa girata verso di lui ed il busto a tre quarti, per farlo meglio.
Lo metteva a disagio, ma naturalmente lo nascondeva bene.
- Svedese, serbocroato, inglese, italiano, francese e spagnolo. - elencò pensandoci, Simon annuì pensando di aver adempiuto al suo compito di inquilino cortese, anzi. Di esserci pure andato molto oltre.
Lui però a quel punto, probabilmente spinto da una curiosità per capire chi ne conosceva di più in una sorta di gara da bambini, gli chiese:
- E tu?
Decise di continuare ad essere cortese.
- Danese, tedesco, svedese, italiano, francese, spagnolo.
Ibra annuì di nuovo.
- Sei anche tu, eh... - lo disse pensieroso, guardando per terra, probabilmente senza rendersene nemmeno conto, ma Simon scoppiò a ridere improvvisamente destando l’attenzione dell’altro che lo fissò nuovamente sorpreso, non capendo per cosa ridesse.
Simon si affrettò a ritrovare il controllo perso per un momento leggendario.
- Scusa, mi ha fatto ridere questa piccola gara. A me non interessa quante lingue sappiamo, non mi sento in competizione con te, ma mi ha fatto ridere perché sapevo che ti stava interessando quante ne parlo per questo!
Zlatan lo fissò incredulo, come osava dirgli una cosa tanto sfacciata in quel modo, come nulla fosse?
Sembrava tanto gentile e a modo, che stava al suo posto e faceva quel che serviva fare seguendo etichette e regole, ma in realtà se c’era da tirare fuori le palle, lo faceva senza esitare.
In quel momento si ricordò come un flash potente e veloce quel giorno in campo, quando dopo lo scontro gli era andato davanti a continuare il confronto anche a gioco fermo. A come gli aveva tenuto testa senza perdere la propria nonostante lui gli avesse preso il collo, poi gli venne il flash di dopo, quando gli aveva candidamente dato dell’arrogante davanti ai media. Non a lui in faccia, ma probabilmente sarebbe anche stato capace di farlo se l’avesse incontrato di nuovo.
Fu lì, in quel preciso istante, che per la prima volta lo ammirò e lo fece per le stesse cose che fino a quel momento l’avevano irritato e fatto fortemente incazzare.
“C’ha davvero le palle, sto stronzo snob del cazzo! Si crede tanto superiore e sarebbe pure capace di dirmelo in faccia senza tirarsi indietro. E anche se mi fanno incazzare quelli che mi giudicano senza conoscermi, mi piace chi ha le palle di tenermi testa senza cadere nelle mie trappole.”
Le sue trappole consistevano nel far infuriare gli altri al suo stesso gioco.
Lui era un provocatore nato, aggressivo, per giunta. Se la persona con cui lui ce l’aveva cedeva alle provocazioni con altrettanta aggressività andandogli contro alla sua stessa maniera, con forza bruta ed insulti pesanti, lui li giudicava degli stupidi ingenui patetici. Così facili da manovrare.
In campo vincevi i contrasti coi tuoi avversari anche facendogli perdere la calma, lui era il migliore in questo.
Simon rientrava in quella rara categoria di chi teneva testa alle sue provocazioni aggressive senza spaventarsi o infuriarsi alla stessa maniera. Non cadeva in trappola e non scappava.
Aveva un suo metodo.
“Interessante.” pensò solamente con un mezzo sorriso.
In realtà non erano poi così diversi, anche Simon provocava a modo suo.
Anche se capire cosa passasse per la mente di quella strana creatura seduta nel letto accanto, così sfuggente e fintamente sincero, era davvero impossibile, al momento.
- Sono competitivo. - ammise guardandolo di nuovo in viso sfidandolo a fare altrettanto. Simon alla fine fu come costretto a ricambiare anche se per tutto il tempo aveva eluso lo sguardo. - Sempre. - aggiunse poi con forza, senza la minima paura di ammettere qualcosa che avrebbe potuto farlo sembrare infantile, probabilmente l’intento di Simon. Dimostrare la sua infantilità e quindi la sua inferiorità. Ma Zlatan non si sentiva inferiore a nessuno. Mai.
Perciò trovò che ammettere ciò che era, ovvero competitivo e non infantile, fosse l’unico modo per uscirne vincente. Quando vide la sua fatica nel sostenere lo sguardo, ma al tempo stesso la forza nel reggerlo comunque, ritrovò quella strana ammirazione che gli era appena fuoriuscita improvvisamente.
“Non è vero che non mi piace. In qualche modo invece mi piace. Lo trovo stimolante.”
Stimolante fu il massimo, per quella sera, ma presto sarebbe diventato altro.
Simon fece un sorrisino indecifrabile, né di apprezzamento, né di disprezzo. Fu qualcosa. Non disse nulla, limitandosi poi a distogliere tranquillamente gli occhi per stendersi e mettersi comodo. Usando l’interruttore sulle singole postazioni, chiuse la luce grande senza chiedere al suo compagno di camera e poi anche quella piccola posta sopra il letto.
Infine, senza dire più nulla, si girò dall’altra parte dandogli la buonanotte. Così come se nulla fosse successo e, soprattutto, come se non avessero da parlare di una certa questione.
“Parleremo mai del fatto che l’ho preso per il collo e che mi ha dato dell’arrogante?” si chiese Zlatan chiudendo a sua volta la luce e stendendosi, rimanendo però rivolto verso di lui.
Come faceva a non avere il minimo timore, dopo le sue mani strette intorno al collo?
Mentre ci pensava gli venne una strana e assurda voglia.
Quella di tornare a toccarglielo.
Si leccò le labbra e fece uno strano sorrisino. Il sorrisino alla Ibra.
Un ghigno.
“Non glielo toccherei certo per stringere e fargli male come quella volta.” pensò assaporando la voglia che gli era sopraggiunta, rimanendo a sorridere malizioso.
“Chissà se rimarrebbe ancora imperturbabile.”