34. CONVINZIONI
La fronte poggiava su qualcosa di solido, caldo, grande e rassicurante, permettendogli così di avere un sonno rigenerante.
Simon era totalmente abbandonato, il volto immerso nella schiena ampia di Zlatan, in particolare fra le sue scapole.
Stesi sul fianco, uno davanti all’altro, nella stessa posa e rivolti entrambi dallo stesso lato, dormivano della grossa. Il braccio di Simon sulla vita del coinquilino come quando nel sonno si abbracciava il secondo cuscino.
Quella mattina non fu lui a svegliarsi per primo, come era accaduto il giorno prima.
Zlatan iniziò a percepirlo nel sonno, dapprima il suo braccio, poi la sua fronte sulla schiena. Il suo respiro lieve, accennato, di chi dormiva bene e senza sogni turbolenti.
La prima cosa che il suo sguardo assonnato e velato controllò fu istintivamente l’ora nella sveglia. Notando che erano le dieci passate, diede un’occhiata stupita anche all’esterno, dalle saracinesche abbassate meglio rispetto al giorno prima, passavano comunque dei raggi di sole, indicando che fuori doveva essere una bella giornata.
“È proprio giorno... “ pensò stranito percependo Simon dietro di sé.
Si voltò lentamente per non svegliarlo, facendo attenzione a non schiacciargli la testa, gli prese delicatamente il polso che aveva sopra e girandosi supino se lo appoggiò sulla pancia. Sempre continuando a dormire lo vide che si sistemava meglio con la mano sul petto, le dita sul capezzolo.
Si morse il labbro girando il capo verso di lui. Ora il suo viso, più bello che mai, era poggiato alla spalla, a cercare il contatto inconscio della sua pelle erano le labbra.
Si ritrovò a sorridere ebete, vittorioso e sorpreso insieme. Quella volta si era svegliato prima, a meno che non avessero un programma d’allenamento o di calcio non era normale succedesse. Simon tendeva a svegliarsi sempre prima.
“Due scopate in 24 ore forse fanno un certo effetto...”
Avevano deciso di non farlo di nuovo, dandogli il tempo di recuperare.
Simon non era abituato al sesso, non di quel tipo, a quell’intensità.
Glielo aveva detto apertamente. Era sempre più bello, ma aveva bisogno di riprendersi fisicamente poiché si sentiva stranamente e assurdamente distrutto.
Zlatan non aveva capito come potesse essere, si era anche trattenuto per i suoi canoni. Con Gerard ai suoi tempi aveva perso il conto di quante ne avevano fatte in una giornata intera.
Le labbra sottili si piegarono in un sorriso malizioso soddisfatto di quella che poteva essere vista come una vittoria, anche se al momento per lui la partita era finita e conclusa.
Era riuscito a farsi Simon, non c’era più uno scopo.
Pensandolo si sentì strano, perdendosi nei tratti delicati e perfetti del suo viso ancora addormentato. Era sereno e si vedeva che stava dormendo bene.
Forse non aveva più una partita stimolante da giocare dove Simon gli dava contro, ma sicuramente non si sentiva demotivato e privo di scopo.
Dedusse che inconsciamente aveva trovato un altro obiettivo e pur non riuscendo a focalizzarlo e comprenderlo, non si turbò e non si infastidì.
Realizzò che solo il giorno prima, con pensieri simili anche se leggermente diversi, si era alzato malissimo ed era stato di pessimo umore per tutta la mattina. Che tecnicamente aveva passato a letto, ma comunque aveva avuto un pessimo risveglio nonostante la colazione di Simon ed il suo bel sorriso.
Ora, invece, si sentiva sereno e pieno di buone prospettive. Non riusciva a comprenderle, sapeva che doveva aver trovato altro su cui ‘puntare’, non capiva cosa, ma non aveva importanza.
Stava bene, era innegabile.
“Ero in astinenza, per di più sono stato completamente solo a fare letteralmente un cazzo rispetto a quel che sono abituato. Un mese così. Stavo impazzendo proprio. In un certo senso Simon mi ha salvato perché sì. Sarà anche il sesso che mi ha rilassato, gli ormoni e tutto quel discorso. Ma è anche il fatto che non sono più solo. Anche le piccole battaglie con lui per le stronzate, in realtà mi fanno bene. È così importante non essere veramente soli? O forse è lui che mi sta proprio salvando? E lui? Lui di cosa ha bisogno, in realtà, dentro di sé?”
Sapeva che Simon cercava risposte, ma più di quelle aveva bisogno di capire e provare e vivere. Vivere tutto quel che voleva con lui, una volta per tutte, fino in fondo.
Perché ne aveva bisogno?
Sapeva che voleva farlo per poter poi tornare alla sua vita normale, ma sapeva anche che non sarebbe successo. Ormai Simon era cambiato e non sarebbe più stato come prima, quella vita non l’avrebbe più voluta.
“Lo capirà da solo...” decise infine senza forzare nulla. Normalmente lo faceva, ma in quel caso specifico, avendo a che fare con uno particolare, decise che gli avrebbe permesso di fare quella cosa come voleva, solo così avrebbe capito quel che per lui era già lampante.
“Se glielo dicessi io non lo accetterebbe, ma lo capirà perché ho ragione, è come dico io. Ormai ha scoperto sé stesso e quando ti liberi non puoi tornare in catene, non ci riusciresti nemmeno se volessi. E lui ormai non lo vuole più!”
Gli spostò delle ciocche bionde che ricadevano disordinate sugli occhi. Si stavano allungando, i suoi capelli, in quanto ormai da più di un mese era tutto fermo.
Fortunati erano quelli che avevano i capelli lunghi come lui o quelli che se li rasavano corti e potevano fare da soli con un rasoio elettrico, bastava regolarlo ed il gioco era fatto. Ma quelli come Simon, con dei tagli corti che necessitavano di un parrucchiere, erano fottuti.
Seguì con le dita il suo viso, scendendo delicatamente sulle sue labbra che rimanevano leggere contro la sua spalla nuda, gli toccò l’angolo per poi percorrere la mascella e andare giù sul collo.
Ripensò a come l’aveva fatto uscire di testa, era partito tutto da lì. Dal stringerlo al carezzarglielo era stato un attimo. Uno schiocco di dita.
Un giorno voleva strozzarlo, quello successivo voleva farselo.
Come era stato possibile?
“Non aveva paura di me e mi sfidava in quella sua maniera gelida, inarrivabile. Come se io non potessi scalfirlo, toccarlo, disintegrarlo.”
Il suo collo ora lo mandava in estasi, percorse le linee che univano la mascella alla clavicola, in quella posizione un po’ più esposte.
Proseguì poi sul resto del corpo, leggero, con un desiderio che si accendeva via via.
Il giorno prima aveva voluto proprio quel risveglio, ma lui insensibile era sgattaiolato fuori a fare la colazione e chissà cos’altro.
Quelli erano i risvegli migliori ed ora gliene avrebbe dato uno, tanto più che si era addormentato solo con i boxer.
Aveva messo in chiaro che non voleva fare sesso, che gli serviva un po’ per ricaricarsi e lui, ridendo divertito, gli aveva detto di dover provare a dormire nudo con lui anche senza scopare.
La mano scivolò in basso, sul suo ventre piatto e poi giù sull’inguine.
Le gambe erano piegate ma non si erano avvinghiate alle sue.
Zlatan, ora girato a tre quarti verso di lui, infilò la mano sotto i suoi boxer e lì trovò l’amico nella consueta condizione mattutina fisiologica e non faticò a farglielo spuntare fuori.
Quando iniziò a masturbarlo, finalmente il bell’addormentato diede segni di risveglio e lo fece girandosi supino per dargli un miglior accesso.
Fu come un invito e Zlatan, con un gran sorriso malizioso e vittorioso, si sollevò su un gomito e toccandolo meglio fra le gambe, si immerse sul suo collo leccandoglielo e baciandolo, dandogli così il buongiorno.
I brividi di piacere furono la prima cosa che Simon percepì quel mattino.
In secondo luogo arrivarono le sue mani addosso e poi la sua bocca che gli bruciava la pelle sensibile del collo, trasmettendogli un insieme di sensazioni sconvolgenti.
Aprì le braccia in totale abbandono, gli occhi ancora chiusi ed il viso in pieno godimento, ma ormai ben sveglio.
Lo sentì scivolare con la bocca sul suo petto, succhiargli e mordicchiargli i capezzoli, mentre la mano lo eccitava occupandosi del suo inguine.
Simon mugolò di piacere, suoni di gola che crebbero quando la sua bocca scese ancora a raggiungere la sua mano e la bocca sparì fra le sue cosce. Gliele mordicchiò dandogli una scarica di adrenalina di un piacere puro e sempre più intenso.
Divenne più forte ed elettrico quando l’avvolse con la bocca e succhiò con impeto.
Le mani di Simon corsero sulla sua testa, gli radunarono i capelli lunghi e sciolti e lo accompagnarono nei movimenti, mentre il bacino spingeva.
Nella stanza la sua voce si levò più limpida nei gemiti che crebbero, fino a che Zlatan lo fece venire ingoiando il suo sperma.
Il pensiero di quel che aveva fatto gli fece coprire il viso ed in particolare gli occhi con l’avambraccio, mentre il suo compagno risaliva soddisfatto trovando le labbra libere proprio per lui.
Con un sorriso sornione lo baciò trasmettendogli parte di quel che aveva invaso la sua lingua, questo sconvolse Simon che avvampò all’idea di quel che aveva fatto.
- Sei sempre così estremo, non puoi mai limitarti quando fai le cose. O esageri o non sei contento!
Era una specie di rimprovero, ma sembrò più uno sfogo disperato.
Sicuramente quel suo aspetto era uno di quelli che lo mettevano più in crisi perché, sebbene fosse lontano da lui anni luce ed in quello fossero proprio opposti, in realtà era quello che lo attraeva di più.
- Se faccio qualcosa o la faccio bene o evito!
Simon rise al suo concetto di ‘fare bene qualcosa’, che per lui era solo estremizzare ed esagerare. Ripensò al modo in cui aveva fatto gli addominali: appeso al sacco da boxe a testa in giù. Perché farli così? Per far vedere quanto era superiore a tutti gli altri, ovviamente.
Era questo il motivo per cui l’aveva chiamato arrogante, a suo tempo. Aveva espresso precisamente quel concetto, lui doveva esagerare sempre nelle reazioni, aveva detto quella volta, andando spesso fuori luogo. Ora la sua opinione era cambiata di poco, non lo reputava arrogante, ma esagerato sì. Tuttavia, adesso, gli piaceva così.
Zlatan gli prese il braccio con cui si copriva gli occhi e glielo aprì posandolo di lato sul cuscino, scivolando contemporaneamente sul polso fino ad intrecciare le dita; rimase sul suo volto fino a che non si decise a guardarlo e quando lo fece, lo vide felice.
Quell’espressione serena e limpida lo colpì. C’era anche un’ombra di sadismo per la vittoria che nel suo cervello distorto doveva aver ottenuto, ma il tutto era ben amalgamato e risultava sexy e da schiaffi insieme.
Tuttavia, ciò che lo colpì maggiormente era la sua felicità.
Si vedeva che lo era, come se avesse fatto pace con sé stesso circa qualcosa che fino al giorno prima l’aveva turbato.
Non gli chiese di cosa si trattasse e nemmeno cosa avesse capito, sospettava che in qualche modo centrasse lui e sperava solo che alla fine di tutto, Zlatan non avrebbe sofferto.
Era l’ultima cosa che voleva. Aveva acconsentito a cominciare quel percorso perché aveva pensato che a lui non sarebbe mai importato, che non si sarebbe mai legato e che non avrebbe mai voluto niente più del sesso. Se però quella condizione cambiava, le cose si complicavano.
“Eppure devo andare avanti per la mia strada, dritto e senza deviazioni. Il tempo massimo per questo esperimento è l’isolamento. Il giorno in cui lo scioglieranno e potremo tornare alla pseudo vita, allora questa cosa fra noi dovrà finire.”
Dopo di quello si baciarono di nuovo, ognuno con le proprie convinzioni ferree, ma quella volta fu Zlatan a scendere per primo e ad ordinargli di stare ancora un po’ a letto, che gli avrebbe fatto lui la colazione quel giorno.
Simon non si oppose, rimase a rotolarsi sconfinando nel lato dove aveva dormito lui, ancora pieno del suo profumo così maschile e caratteristico.
“Glielo dico che questa cosa fa tanto fidanzati o faccio finta di niente?”
Poi pensò ai vantaggi e decise che per lui avrebbe avuto di certo più senso stare zitto e ricevere le sue insolite ed impensate attenzioni.
“Che poi lui così carino verso qualcuno è una cosa da non farsi sfuggire!”
Più lo conosceva, più gli piaceva.
Dopo la colazione a letto, Zlatan si era lavato per primo per poi andare in giardino a fare una videochiamata con i suoi figli ed Helena.
Una volta riaffacciato in casa per vedere se fosse nei paraggi, notò che non era a portata di occhio e per non rischiare di fargli saltare chissà quale copertura aveva inventato con sua moglie, in videochiamata anche lui, aveva deciso di rimanere fuori a fare qualche esercizio con la palla. Giochi, in realtà, perché per lui quelle cose erano puro divertimento.
Quando il tempo era diventato un po’ troppo, rientrò per andare alla ricerca di Simon e nel non vederlo in salotto, iniziò a preoccuparsi.
La mattina prima aveva tentato di fare le pulizie, temeva che quel giorno ci fosse riuscito.
Stava andando a cercarlo dritto in camera, ma passando davanti alla cucina, si bloccò di colpo vedendolo con la coda dell’occhio.
Così si fermò e tornò indietro e si affacciò allo stipite. Una volta lì rimase fermo con la testa piegata di lato e l’aria sconcertata.
Simon, coperto di farina quasi dalla testa ai piedi, era intento a fare il pane. O per lo meno supponeva stesse facendo quello, dal momento che impastava una massa informe bianca e tutta appiccicaticcia che non voleva chiaramente saperne di staccarsi dalle sue mani, sebbene ci stesse provando.
Zlatan ridacchiò.
Era in evidente difficoltà, non ne capiva un accidente di quelle cose, ma era chiaro che qualcosa non andava, tuttavia era sempre dritto impassibile.
“Poteva chiamarmi se aveva bisogno... figurati se mi chiedeva aiuto! Non che io possa fare chissà cosa... sicuramente ne uscirebbe meglio da solo e conoscendolo è questo che ha prodotto il suo cervello altezzoso, ma resta un idiota!”
Un idiota che quando cercò di grattarsi la guancia con una mano piena di un grumo enorme di impasto, finì per sporcarsi.
Zlatan rise e si avvicinò da dietro, silenzioso. Lo cinse alla vita e invece che baciargli il collo, gli succhiò la guancia per pulirlo dall’impasto.
- Il sale va bene, se ti interessa saperlo...
Simon si irrigidì un istante ritrovandoselo addosso, poi si rilassò contro di lui e decise di sfruttarlo.
- Sì, era la fase finale, Elina ha detto che bisogna mettere il sale dopo aver creato la pasta, ma a questo punto devo averci messo troppa acqua e si è ammollato troppo... ora però non si stacca dalle mani e non riesco a metterci altra farina per controbilanciare...
- Sai che potevo prendere un’impastatrice od una macchina per fare il pane, se me lo dicevi? Sarebbe arrivata al massimo in due giorni, con Amazon!
Zlatan si stava divertendo agganciato alla sua vita da dietro, il mento appoggiato alla sua spalla a guardare che faceva.
- Non voglio una macchina, mi basta che mi fai da assistente...
Sembrava padrone della situazione, ma lui sapeva che doveva essere irritato per lo stato in cui era. Ridendo, gli baciò il collo rimanendo attaccato alla sua schiena.
- Mi dica, chef, come posso aiutarla? - chiese prendendolo in giro e senza sindacare sul fatto che tecnicamente. Simon finse di non percepire note derisorie e continuò come nulla fosse.
- Prendi la farina e versala, mi sembra abbastanza scontato. - era acido e le sue parole tradirono l’apparenza composta e Zlatan continuò ridendo più forte. Suo malgrado prese il sacchetto di farina e ne versò un po’ sulle dita.
Simon annuì e a quel punto riprese ad impastare. Finalmente l’acqua si asciugò e la pasta che ingombrava le sue mani, iniziò a staccarsi. In parte aiutata dalla farina, certamente. In parte dalle mani di Zlatan che decisero di unirsi alla festa e scivolando dalle braccia ai polsi, si unirono a quelle del panettiere.
Lo sentì mollo contro di lui, sorrideva divertito scuotendo la testa.
- Serviva proprio il tuo prezioso aiuto, eh?
- Sono un aiuto cuoco o no?
Tornarono a scherzare insieme, di nuovo entrambi rilassati, ed il risultato alla fine arrivò in una palla di impasto ben formato e della giusta consistenza.
Dopo che la massa molla ebbe lasciato le loro mani e fu riposto in una ciotola, ricoperta dalla pellicola trasparente per la lievitazione, Zlatan prese le mani di Simon e se le portò alla bocca iniziando a succhiargli i residui dalle dita.