40. ULTIMO GIORNO

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Il giorno dopo arrivò la notizia che dal 16 maggio in Italia avrebbero permesso la ripresa di alcune attività, fra cui quelle sportive. C’era ancora il divieto di uscire dalle rispettive regioni ed espatriare, ma il primo scioglimento del lockdown partì da quella data. 
La notizia fu riportata alcuni giorni prima e nel momento in cui Simon e Zlatan l’appresero, si resero conto che quella era realmente la fine. 
La fine di quella specie di sogno, di parentesi, di esperimento. 
Il momento era arrivato, il momento a cui entrambi avevano pensato sempre più negli ultimi giorni e che li aveva spinti a completare la lista delle cose da fare insieme assolutamente, 
Avevano vissuto alla giornata, il modo preferito da Zlatan, quello più odiato da Simon, eppure si era adattato molto bene, alla fine. 
Non gli piaceva, non poteva dire che si trovasse a suo agio a vedere giorno per giorno, però l’esserci riuscito l’aveva fatto crescere e sentire diverso.  
Si sentiva quasi vittorioso ed in qualche modo cambiato, non poteva dire come, era una sensazione strana. 
Adesso sarebbe tornato alla sua vita normale, programmata e prestabilita. 
Quella che aveva sempre fatto. 
Avrebbe dovuto sentirsi meglio, invece non capiva come mai all’idea di tornare alla sua confort zone si sentiva più agitato e nervoso. 
Naturalmente inghiottì e nascose come sempre alla perfezione, iniziando a progettare la sua partenza come niente fosse, con una freddezza che sconcertò notevolmente il suo coinquilino. 

Zlatan lo sentì spiegare come e quando se ne sarebbe andato, ovvero quella notte stessa. Iniziò subito a radunare le sue cose e a sistemarle nella borsa a tracolla che si era portato dietro cercando di non saltare all’occhio nel caso fosse notato. 
- Purtroppo certe cose non mi stanno, ma non voglio rischiare di trasportare una valigia a mano... 
Simon nella sua permanenza lì aveva comprato diverse cose, essendosi fermato più di quel che aveva preventivato inizialmente, ma non lo valutava sicuro portarsi tutto dietro in una valigia più grande. 
- Mi porterai tu a Milanello le cose che non riesco ora... 
Mentre lui parlava e sistemava tutto e predisponeva, Zlatan lo ascoltava mangiando una mela. 
La prendeva a morsi con sempre più vigore, quasi come si immaginasse di avere qualcos’altro fra i denti. Qualcun altro. 
Il fastidio stava aumentando, dentro di sé, e se ne rendeva conto, come si rendeva contemporaneamente conto che non aveva il diritto di sentirsi contrariato. Era qualcosa che sapeva sarebbe successo da subito, era rimasto più di quello che si era immaginato e nel complesso era contento di come era andata. 
Si era preso tutto ciò che aveva voluto da lui, ed anche di più. 
Si era liberato e sbloccato, si era lasciato andare ed ora se ne tornava a casa pieno di dubbi e confusione, non di certo sereno e realizzato e pronto e portare avanti il suo programma iniziale. 
Zlatan sapeva che Simon era in crisi esistenziale, ora, molto più di come era stato al suo arrivo. 
Sapeva che non sarebbe riuscito a smettere di fare sesso con lui così facilmente. 
Anzi, che in realtà non ci sarebbe riuscito per niente.
Non pensava che provasse qualcosa, come non la provava Zlatan stesso. Stavano però molto bene insieme ed il tempo passato lì era stato bellissimo. Sarebbe stato difficile rinunciare e smettere. 
Ed il punto era questo, non ce l’avrebbe fatta. 
Purtroppo, però, Zlatan aveva imparato a conoscere Simon molto bene. 
“Ci proverà comunque. Anche se non vuole e non ci riuscirà. Ci proverà a chiudere perché era il piano iniziale e o lo fa ora o mai più. Ed io sicuramente mi incazzerò.”
E ci sarebbe stato male, ma non l’avrebbe detto. 
Male non era proprio il termine adatto a descrivere come sarebbe stato, che già cominciava mentre se la prendeva con la sua mela. 
Scaricato. 
Ecco come si sarebbe sentito. 
Scaricato. 
Poi magari Simon l’avrebbe cercato di nuovo ed avrebbero ripreso, però nel frattempo l’avrebbe scaricato e lui si sarebbe sentito come una bestia feroce. 
La sentiva già, quella sensazione sgradevole ed odiosa. 
Essere scaricato per lui era inaccettabile, non era mai successo, era sempre stato lui ad andarsene e a chiudere per primo. Sempre. 
Ma Simon avrebbe osato scaricarlo, perché lo conosceva. 
Gettò il torsolo della mela e poi scuotendo il capo infastidito lasciò Simon alle sue stupide valige andando a chiudersi nel suo studio dove, seduto nel sedile davanti al computer, si mise a sparare a raffica in uno dei videogiochi da missioni in guerra. 
Missioni in guerra. Si sentiva in uno di quelli, in quel momento. 
Ed in procinto di fallire. 
Aveva conquistato un sacco di livelli, con Simon, ma quello lì non sarebbe riuscito a superarlo, lo sapeva già. 
Non avrebbe potuto evitare la disfatta. 
- Che merda! - sibilò a denti stretti, col fastidio crescente che non veniva minimamente smaltito dal gioco che stava facendo. 
Più sparava e più quell’odio profondo per l’inevitabile che stava per vivere, si nutriva. 
Non voleva stare così, sembrava che provasse qualcosa per lui, ma non era così. Non voleva smettere, tutto lì. Perché gli piaceva quel rapporto paritario che aveva con lui, gli piaceva fare sesso, stavano bene insieme, si divertivano. 
Invece avrebbe dovuto perché quel deficiente l’avrebbe costretto. Lui si sarebbe infuriato per la costrizione e avrebbero litigato. Chi lo poteva sapere se poi sarebbero tornati a rotolare tra le lenzuola? 
Sarebbe finita davvero, alla fine? 
E ricominciare da capo alla ricerca di qualcun altro con cui stare lì al Milan, perché lui lì ci voleva stare davvero bene, non se ne voleva più andare e c’era solo un modo per legarsi davvero ad un posto. Trovare qualcuno con cui stare bene oltre al calcio. 
Si conosceva. Gli serviva per stare bene. 
“Felicità... “ pensò con amarezza ricordandosi quel che gli aveva detto il giorno prima. “Cosa cazzo ne so io della felicità, alla fine? Per me felicità è essere libero di fare quel cazzo che mi pare. Volevo farmi Simon, me lo sono fatto, ero felice. Adesso voglio continuare a farmelo, ma me lo impedirà, quindi non sarò più felice perché non sarò più libero di fare quel cazzo che voglio. Come osa avere le palle di darmi contro? Come fa ad essere quello che mi piaceva tanto di lui? Come ho fatto a volermelo fare fino a questo punto solo per questo? È proprio quello che ora mi farà tanto incazzare.”
Lui lo sapeva, come sarebbe andata. Lo sapeva e comunque non avrebbe potuto impedirlo e questo lo riportava a quello stato insofferente e nervoso dell’inizio. 
Aveva avuto ragione all’ora, ma ormai era tardi. Ci era già cascato. 
“Me lo riprenderò, ma nel frattempo mi farà sentire una merda. Devo per forza passare per questo litigio del cazzo? Porca troia, che palle!”
E lui lo sapeva. Lo sapeva eccome. 

Simon non era idiota, ovviamente. 
Aveva capito da come mangiava la mela che Zlatan non era felice, ma era una cosa che sapevano sarebbe successa, perciò non ci poteva fare nulla.
Era comunque libero di prenderla come voleva, non glielo poteva di certo impedire di essere arrabbiato, sapeva che non lo era con lui ma col fatto che fosse finito quel periodo. 
Non poteva essere altrimenti, del resto, visto che avevano saputo sarebbe successo ancora prima di cominciare. 
Era contento che alla fine si fosse trovato così bene con lui ed era reciproco. 
Al momento di programmare la fine di quella convivenza e di quegli esperimenti, si sentiva comunque scontento. 
Fosse stato per lui avrebbe fermato il tempo in quel preciso istante. 
Non era vivere, era sospendersi, ma non dover pensare a niente e nessuno, non dover affrontare alcun problema, alcuna vita, alcuna persona, poter semplicemente stare in quella bolla per sempre, dove non esistevano davvero, non vivevano, non succedeva realmente nulla, ma stavano bene così. 
Lì non serviva prendere decisioni, affrontare problemi né conseguenze. 
Lì potevano stare così, fare quel che gli piaceva e contemporaneamente il resto del mondo esterno rimaneva intatto. 
Elina, Helena, i loro figli, nulla mutava. 
Eppure non era possibile. 
Il momento di farlo finire era arrivato. 
Il progetto era quello, Simon lo sapeva come Zlatan. Perciò avrebbero vissuto l’ultima giornata insieme e poi ognuno per la propria strada. 
Una volta uscito da quella casa, Simon avrebbe ripreso la sua vita normale e doveva riuscirci sul serio, o tutto quello era stato fatto per niente. 
Questo era ciò di cui era convinto. 
Perciò ci avrebbe provato in ogni caso, consapevole dell’incertezza del risultato finale. 
Quando finì di sistemare le sue cose e gli piegò in parte quelle che sarebbero rimaste da lui e che gli avrebbe riportato a Milanello, sospirò e guardò la camera che ormai considerava anche sua. 
Era triste. Non lo poteva negare. 
Era stato bene lì. Troppo, in effetti. 
“Ho sbagliato qualcosa, anche se non capisco né cosa, né perché. Non doveva andare così, anche se non capisco così come. Né perché so che non doveva.”

Raggiunse Zlatan nel suo studio e lo trovò intento a sparare a creature magiche in un mondo inesistente, all’interno dello schermo del suo videogioco. 
La pistola finta in mano con cui massacrava sempre più persone o esseri, la musica assordante ed inascoltabile a cui ormai si era abituato rimbombava fra le pareti di casa. Sospirò rimanendo fermo lì a guardarlo un istante, silenzioso. 
La stava vivendo davvero male e voleva essere certo di una cosa, andandosene via, visto che l’avrebbe rivisto a Milanello e che sarebbero stati insieme in squadra, davanti a molta gente che non doveva capire nulla. 
Si avvicinò silenzioso contro il caos che rimbombava dalle casse, voleva parlargli, ma non l’avrebbe mai sentito e non aveva la minima idea di dove fosse l’interruttore od il volume della musica, così gli mise le mani sulle spalle, da dietro la sedia imbottita da computer, piegata all’indietro per farlo stare più comodo nel sparare, e lo massaggiò. 
Zlatan si tese ancora di più, sentendolo, ma non si fermò e non abbassò il volume, continuò a sparare imperterrito. 
“È proprio furioso.”
Continuò a massaggiarlo per poi chinarsi e aggiungere le labbra sul suo collo, iniziando a baciarlo dolcemente. 
Sperava si ammorbidisse e che abbassasse il volume per poter parlare, ma vedendolo che proseguiva, Simon alzò gli occhi al cielo esasperato e come avesse a che fare con un bambino troppo cresciuto, girò intorno alla sedia e si sedette su di lui a cavalcioni, obbligandolo così a mettere in pausa il gioco e a spostare la sua attenzione su di sé. 
Zlatan fu costretto, ma era chiaramente contrariato. 
Lo guardò negli occhi torvo, in una mano la pistola che pendeva da un lato della sedia ora dritta, l’altro braccio largo dall’altra parte per evitare di toccarlo. 
“È furibondo.” pensò ancora. La musica ancora ostinatamente altissima, Simon attese che abbassasse, ma quando non lo vide minimamente intenzionato a farlo, indicò col capo una delle casse. 
- Abbassi? Dobbiamo parlare... 
Zlatan sbuffò, suo malgrado allungò la mano e toccò qualcosa sul suo telefono, questo spense tutto.
Il silenzio fu totale ed improvviso e colpì Simon, il quale tornò a posargli le braccia intorno al collo, ammorbidendo l’espressione il più possibile. Non che fosse facile, cominciava ad innalzare di nuovo i suoi muri per proteggersi da quello che stava per succedere. Oltretutto non doveva capire che stava male. 
- Che hai? - chiese diretto andando subito al punto. 
Zlatan spalancò sconcertato gli occhi. 
- Davvero mi fermi per chiedermi questo? Sei tu che devi parlarmi, dimmelo tu che hai! 
Simon alzò gli occhi al cielo come avesse a che fare con un immaturo. 
- Allora cambio domanda. Perché sei arrabbiato? 
Zlatan indurì il volto, non voleva parlare, non voleva aprirsi e spiegargli nulla. 
Non voleva proprio, ma Simon non si sarebbe mosso da lì fino a che non avrebbe ottenuto una risposta sincera. 
- Dobbiamo per forza parlarne? Siamo mica una coppia! Eravamo qua per scopare e basta! 
Dal momento che glielo ricordò diretto, Simon decise di seguire il suo suggerimento ed usare il solito metodo. Evidentemente capiva solo quel linguaggio.
Senza esitare, avvicinò il viso al suo e posò la bocca sull’orecchio, lì sussurrò: - Mi dispiace che sei arrabbiato... - iniziò suadente, la mano si infilò nei suoi pantaloni ed iniziò a toccargli l’erezione per nulla reattiva. 

Zlatan ancora non lo toccava, rimanendo testardamente rigido sotto di lui. E soprattutto zitto. 
Se non voleva parlarne, non poteva obbligarlo, ma non aveva idea delle tecniche convincenti di Simon. 
Gli leccò l’orecchio facendogli partire i brividi che contro la sua volontà corsero lungo la sua pelle, arrivando fino al proprio inguine invaso dalla sua mano che si muoveva. 
Zlatan continuò a non muovere un muscolo. 
- Sapevamo sarebbe arrivato questo momento... - continuò sensuale. Ora era praticamente difficile comandare al suo pene di starsene buono, non era una cosa che in effetti gli era mai riuscita, figurarsi ora con lui addosso che gli faceva quei servizi. 
La bocca di Simon scese sul collo a parlarci sopra e baciarlo. 
“Maledetto. Cosa vuoi ottenere? Vattene e basta!”
Ma non riuscì a dirglielo e lasciò andare la pistola finta del videogioco, chiudendo gli occhi, appoggiò la nuca all’indietro, sullo schienale. 
- Non vuoi passare l’ultimo giorno nella nostra bolla in modo indimenticabile e godertelo fino all’ultimo istante? 
Zlatan sentendolo rimase stupito che smettesse di chiedergli cosa avesse, aveva pensato volesse farlo parlare per forza, a quel punto avrebbero davvero litigato, ma in effetti se ne sarebbe andato via male, avrebbero rovinato un’esperienza sorprendentemente bella e positiva. 
Forse aveva cambiato idea sui suoi programmi ‘di fine rapporto’. 
“Strano, lui non cambia mai idea...” poi si corresse. “Beh, quasi...”
Alla fine mosse le mani e le posò alla sua vita tenendoselo addosso. Simon sorrise sulla sua pelle mentre aumentò il ritmo notando che finalmente reagiva. 
Zlatan si infilò con le dita sotto la sua maglia che gli alzò carezzandogli la schiena. 
Forse ragionava sempre e solo col suo genitale, e forse Simon lo sapeva e ne approfittava per calmarlo tutte le volte che partiva, ma in effetti era un metodo efficace e non poteva certo rimproverarlo. Lui al suo posto avrebbe fatto lo stesso, se solo si fosse deciso a mostrarsi nervoso invece che cercare di mascherare e nascondere tutto.