42. PARTE MANCANTE

simonibra

Immergersi nella notte fresca di primavera, fu per Simon come una terapia d’urto.
L’ultima volta che aveva camminato in quello stesso modo, all’esterno e di notte, era ancora freddo ed umido. Adesso la primavera era inoltrata e le temperature notturne erano meno rigide, si stava bene con la giacca leggera, ma lui aveva ancora quella pesante indossata quando era uscito di casa la volta precedente. 
Era meno umido, quei due mesi di blocco totale di qualsiasi attività aveva giovato moltissimo all’inquinamento, l’aveva sentito e letto in numerosi siti, ma lo percepiva nella pelle, nell’aria annusata che era pura, finalmente.
Così come quel cielo così bello che aveva visto con Zlatan pochi giorni prima. 
Sollevò lo sguardo, pensandoci, ma si rese conto di vederci poco. Li strinse più volte cercando nitidezza che non arrivò, così rinunciò.
Eppure il cielo era di nuovo terso, sicuramente le stelle dovevano vedersi bene. Era un problema dei suoi occhi, non volevano smettere di bruciargli.
Gli edifici erano ancora tutti bui, le attività ancora chiuse e le strade che stava percorrendo erano secondarie, senza lampioni. 
Non aveva paura di essere in un posto simile da solo, il quartiere in realtà era molto buono e sapeva di non correre rischi, ma non era questo il punto. 
La sua mente era ancora troppo piena del saluto con Zlatan. 
Quella sua frase finale l’aveva demolito. 
La loro bolla sarebbe rimasta lì per lui se avesse voluto. 
Lui era dunque disposto ad esporsi di più su di loro? A far capire che avevano un rapporto e che era anche molto ambiguo? 
Scosse il capo. Forse Zlatan sì, ma era lui a non esserlo. 
L’indomani avrebbero ripresi gli allenamenti e non poteva di certo permettersi di andarci con Zlatan uscendo direttamente da casa sua. 
Doveva essere pragmatico, la sua vita sarebbe ripresa che l’avesse voluto o no, doveva prepararsi e pensare alle cose pratiche, come aveva sempre fatto. 
Però era stato bene con lui, molto più di quello che aveva pensato inizialmente.
Era convinto di andare da lui per qualche giorno, il tempo di fare sesso un paio di volte e soddisfarsi da quel punto di vista, con la consapevolezza che per loro andare d’accordo, per giunta in una convivenza, sarebbe stato difficile. 
Eppure sì, era stato difficile, ma poi era stato anche bello. 
Gli vennero in mente le parole sempre del loro saluto, parole più difficili da digerire. 
‘Sei solo troppo rigido e poco elastico. Devi buttare giù i muri di ghiaccio che innalzi da solo per abitudine, nemmeno sai perché lo fai e da cosa ti difendi, lo fai e basta. Ma in realtà non c’è niente da cui proteggersi. Sei troppo forte per farti scalfire e ferire.’
Come sempre sapeva colpire e affondare. 
“Un muro, eh? Davvero mi difendo da qualcosa che nemmeno so? E di cosa avrei paura? Come dice lui, di essere ferito, o di qualcos’altro?”
Simon sospirò scuotendo la testa coperta dal cappuccio in stile Zlatan. 
Non c’era anima viva in giro, ma non sapeva chi poteva guardare da qualche casa. Era notte fonda, ma di nottambuli poteva essere pieno il mondo.
Un mondo che dall’indomani sarebbe tornato alla vita, lentamente e andando per gradi. 
Non capiva cosa diceva Zlatan e tanto meno se aveva ragione, ma non sapeva trovare risposta. 
Si allontanava dagli altri in modo naturale, ma era qualcosa che gli veniva spontaneo, non aveva idea del motivo per cui lo facesse. Era solo fatto così. 
“Forse è questo che intende. Lo faccio e non me ne rendo conto, non so perché, forse non c’è nemmeno un motivo. Però il punto è che allontanando gli altri mi perdo qualcosa, alla fine...”
Ripensò alla ‘bolla’, era stato così bene con lui. 
Non avevano una relazione, non c’erano sentimenti di mezzo, però avevano un rapporto ed era bello. 
Ed ora era finito. 
Lo era davvero?
“Come posso pensare di rivederlo domani a Milanello, dormire con lui di nuovo prima delle partite e non fare quello che abbiamo fatto per un mese insieme? Davvero penso che basti uscire da casa sua, tornare nella mia e riprendere con la vita di prima, per riuscirci?”
Sapeva che stava per pretendere di affrontare una sorta di impresa, si sentiva diverso già da quella camminata all’esterno. L’ultima volta che l’aveva fatta era stato pieno di regole rigide e paletti mentali, lui ed il suo bel piano ben progettato, specifico e preciso. Un paio di scopate e stop. Poi ognuno per la sua strada. Solo per togliersi quel pensiero ossessivo che non capiva proprio perché non volesse lasciarlo andare. 
Ora non si sentiva più ossessionato da Zlatan e dal suo corpo, né dal fare sesso con lui. Perciò da un certo punto di vista aveva funzionato. 
Tuttavia gli sembrava d’aver dimenticato qualcosa da lui. Sapeva d’aver preso tutto, aveva radunato e sistemato ogni cosa più volte e poi aveva rivisto tutto prima di andarsene. 
Non era niente di fisico, quel che si sentiva d’aver lasciato da lui.
“Vorrei solo girarmi e tornare indietro. Vorrei che le cose fossero diverse. Vorrei riuscire ad essere egoista e più elastico, come dice lui. Vorrei essere diverso. Zlatan si è preso qualcosa da me e forse non me lo restituirà mai.”
Simon arrivò a casa senza capire di cosa si trattava e prima di aprire la porta ed entrare, scrisse a Zlatan che era arrivato e che era andato tutto bene. Lui gli rispose con l’emoji dell’ok indicandogli che era rimasto su fino a quel momento ad aspettare sue notizie.
Sorrise con dolcezza e quello fu l’ultimo che fece. 
Appena entrato il freddo e l’odore di chiuso lo investì. Rabbrividì ed alzò il riscaldamento andando contemporaneamente a spalancare le finestre per far arieggiare. 
Senza rifletterci si mise a sistemare la casa cercando quello che potesse fare odore. Era andato via un mese prima pensando di star via al massimo qualche giorno e poi non era più tornato. 
Aprì il frigo consapevole che qualcosa doveva essere andato a male e della puzza di marcio lo colpì in pieno facendogli arricciare il naso. 
Trascorse il resto della notte a pulire il frigo di fino e poi passò anche la casa intera, infine chiuse le finestre, si avvolse in una coperta calda con l’interno di pecora e si attaccò ad un termosifone alzato a venticinque gradi che andava al massimo da un’ora almeno. 
Prese la tazza di tisana calda che si era fatto una volta concluso tutto e se la tenne fra le mani, seduto per terra contro il radiatore.
Lo sguardo perso nel vuoto, la casa in penombra, solo una luce ad angolo nel salotto illuminava l’ambiente, per il resto era di nuovo tutto buio. 
Guardò l’ora senza vederla veramente, senza registrare che ormai l’alba era vicina e che avrebbe dovuto dormire un po’ per presentarsi in forma agli allenamenti.
In forma per quanto potesse esserlo avendo lui fatto solo palestra con Zlatan e qualche palleggio al chiuso. 
Era fuori dalla bolla. 
Era ufficialmente fuori dalla bolla. 
Era uscito da là, aveva camminato libero per le vie, era tornato a casa propria, aveva pulito e fatto tutto quel che gli pareva. 
L’indomani mattina sarebbe andato a Milanello ad allenarsi, come al solito per le nove, l’orario della sessione mattutina. Gli sembrava ieri l’ultima volta che c’era andato eppure al tempo stesso una vita. Una sensazione ridondante, come quando ti entrava acqua nelle orecchie e non usciva del tutto. I suoni arrivavano rimbombando. 
Nel pomeriggio avrebbe fatto la spesa e poi avrebbe fatto una chiamata con skype al computer, dicendo ad Elina che aveva finalmente potuto aggiustarlo. 
Mentalmente si era programmato come d’abitudine la sua vita, era libero, era di nuovo nel suo ambiente. Poteva riprendere da dove si era sospeso, progredire, portare avanti i propri progetti, ma ancora non era contento.
Non si sentiva come aveva pensato all’inizio. 
C’era qualcosa che non tornava, perché non era entusiasta di riprendere la sua vita come voleva, tornare alla normalità? 
Appena Elina avrebbe potuto espatriare dalla Spagna sarebbe venuta da lui coi bambini e sarebbe stata lì per un po’, poi nel frattempo gli avrebbero fatto sapere qualcosa del contratto e se l’avessero riscattato, sarebbero venuti da lui, come da programma. 
La vita era in procinto di investirlo come un camion e lui si sentiva fermo sul ciglio di una strada, incapace di capire perché non fosse contento, cosa gli mancava, cosa aveva perso. 
Era cambiato, l’aveva capito appena aveva messo piede fuori dalla casa di Zlatan, ma ancora il modo in cui era diventato non riusciva ad afferrarlo.
Sapeva solo che ora che era lì dove aveva tanto voluto prima di cominciare quel piano, quell’esperimento, non era contento.
Non stava bene.
Il termosifone contro la schiena era bollente e lo stava ustionando, così come la tazza nelle mani e la coperta era molto calda, ma lui continuava ad avere freddo.
Si sentiva gelido. 
Indifferente. 
Non gli importava davvero di tornare ad allenarsi, di poter uscire più liberamente, andare a fare attività in giro per la città. Non gli importava di poter rivedere Elina. Non gli importava d’aver completato il suo programma personale di recupero mentale. 
Il suo corpo era lì, ma la sua mente no, non voleva saperne. 
C’era ancora qualcosa che gli mancava. 
Qualcosa che aveva lasciato da Zlatan.
“Cosa si è preso di me?” 
Simon si addormentò lì, senza trovare alcuna risposta. 

Zlatan aveva dormito male e si era alzato di pessimo umore. 
Guardando poi il telefono aveva visto che Simon non gli aveva nemmeno scritto se non quando era arrivato e lui gli aveva fatto l’ok. 
Del resto non l’avevano mai fatto, non erano mai stati molto in contatto su whatsapp, non erano tipi da esserlo e pretendere ora segni e gesti che andavano ben oltre non solo loro stessi ma anche il loro rapporto, era assurdo. 
Per questo il suo umore si girò ancor peggio e sbuffando si preparò per andare agli allenamenti.
Doveva essere contento, finalmente poteva uscire più liberamente di casa senza rischiare multe, poteva pure tornare agli allenamenti a Milanello, la monotonia sarebbe stata spezzata. Era già pieno di impegni per gli sponsor e interviste di vario genere. Normalmente non era felicissimo di fare quelle cose, ma in quel caso, dopo quel lungo lockdown, ne era molto contento. 
O per lo meno appena ricevuto gli appuntamenti dal suo agente si era sentito così, ma ora, alle otto del primo giorno d’allenamento a Milanello, era irritato da tutto. 
“Lo rivedo fra un’ora, l’ho salutato stanotte e lo rivedo oggi, perciò tutte queste scene sono ridicole!”
Ovviamente parlava a sé stesso sgridandosi nella speranza di ritrovare un po’ di contegno, ma sapeva che non sarebbe servito. 
Si rendeva conto che era assurdo essere di malumore in una situazione simile, ma non poteva farci nulla. 
Si aggirava nella propria casa completamente vuota, si fece la colazione usando le cose che aveva preso per Simon e che non aveva finito. Mentre mangiava e beveva una tazza di caffè doppio, nell’usanza del danese, si incupì ulteriormente. 
Tornato in camera prese le proprie cose per vestirsi e guardò nel cassettone dove Simon gli aveva lasciato le sue, quelle che gli aveva comprato e che non erano state nella sua borsa. 
Cos’è che gli aveva detto di quelle? Di bruciarle o di riportargliele? 
“E se me le tengo e basta?”
Poi si rese conto che impossessarsene sarebbe stato solo un segno di tenerci più di quel che dovesse, così come eventualmente buttarle. Così decise semplicemente di restituirgliele. Le prese e le infilò in una borsa grande che gli avrebbe portato. 
Si prese il proprio cambio ed andò in bagno a lavarsi. Alla specchiera i prodotti che si era fatto arrivare tramite Amazon, cose specifiche che usava in particolare per la pelle delicata. 
Il suo spazzolino era sparito dal bicchiere accanto al proprio. 
Fece una smorfia amara, se lo prese ed iniziò a lavarsi i denti mentre girava con lo sguardo per il resto del bagno nella speranza di distrarsi, ma gli occhi si posarono sull’asciugamano che gli aveva fatto usare l’ultima volta. Gliene aveva sempre dato uno tutte le volte che si era fatto una lavatrice lavando tutte le sue cose e ciò che usava. 
Lo sguardo cadde nella porta della lavanderia aperta, la cesta dell’ultima asciugatrice fatta proprio da lui dove aveva lavato le lenzuola in quella che per lui doveva essere proprio una fissa. 
A quel punto Zlatan finì di lavarsi e si rivestì sbuffando ancora più forte. 
“Come cazzo faccio ad andare oltre se questo posto è pieno di lui? È come se avesse dimenticato qualcosa, anche se in realtà non è così. Quel che mi ha lasciato l’ha fatto di proposito, non è una dimenticanza. Eppure sembra abbia perso qua dentro qualcosa...”
Non capì di cosa si trattasse, ma la sensazione di averlo ancora lì lo spinse ad innervosirsi ancora di più e ad uscire prima di casa, com’era d’abitudine per le sessioni col club. Arrivare prima e andare via dopo era la sua regola di sempre. 
Quella volta, però, era uscito prima per un’assurda e fastidiosa incapacità di stare in casa propria un secondo di più. 
Così come la colazione, di solito la faceva a Milanello, ma quella volta l’aveva fatta a casa senza rifletterci. 
Si stava odiando perché gli stava mancando più di quello che sarebbe dovuto. 
Sapeva di non voler smettere quella cosa con Simon, che si rifiutava di chiamare relazione, ma che comunque era qualcosa. 
Ma non poteva di certo accettare di essere tanto influenzato per questo. Per lui. 
Appena accesa l’auto si sentì subito il rombo tonante e contemporaneamente la musica elettronica tipica che ascoltava l’assordò come di consueto, ma la spense con un gesto secco. 
Simon l’aveva cambiato, era stata forse quell’esperienza con lui o qualcosa che non comprendeva, ma ora era diverso. Era un fatto e questo non gli piaceva, in quel momento. 
“Non provo niente, non stiamo insieme e non siamo nulla, ma mi manca più di quello che doveva. Era solo sesso, sicuramente torneremo a scopare perché non può farne a meno, è questione di tempo. Poco, secondo me, e riprenderemo da dove ci siamo interrotti. Eppure mi manca troppo e non dovrebbe.”
Poi ripensò al mese di convivenza, com’era stato difficile all’inizio e poi semplicemente bello. Alla loro bolla. 
Forse gli sarebbe mancato quello, quel vivere insieme a modo loro, con difficoltà, piccole vittorie e divertimenti. 
Quella cosa strana, diversa e speciale che avevano costruito e vissuto... quella non sarebbe mai più tornata. Avrebbero ripreso la loro relazione sessuale, la loro amicizia e tutto il resto, ma non avrebbero più vissuto quello che avevano condiviso in quel mese. 
La loro bolla era scoppiata per sempre, si era dissolta, non sarebbe mai più tornata. 
Accelerando irritato, con una rabbia che sembrava minacciare di farlo scoppiare da un momento all’altro, Zlatan girò per le vie periferiche di Milano allontanandosi presto dal centro, in direzione Milanello. 
“Non va bene così, non va un cazzo bene. Non doveva essere così. Perché diavolo mi deve mancare tanto? Torneremo a scopare ed anche se non fosse me ne troverò un altro! Non è così importante, non deve esserlo. Non è da me.” 
Non era da lui, eppure per poco non fece un incidente. 

Simon arrivò dopo di Zlatan a Milanello, quando parcheggiò vide la sua macchina e gli venne un tuffo.
Una sorta di deja-vu. 
Era come tornare a due mesi e mezzo prima, quando tutto era proprio in quel modo, come se nulla si fosse interrotto e non avessero passato nel frattempo un isolamento completo forzato. 
Quante cose erano successe, invece, dall’ultima volta che era arrivato al centro sportivo e aveva trovato la sua macchina lì? 
“Starà facendo palestra come al solito...” pensò facendo un sorriso. Solo quando lo fece si rese conto che l’ultima volta che l’aveva fatto era stato proprio leggendo il suo ‘ok’ nel telefono. 
Si riscosse e scese prendendo il borsone d’allenamento. 
Era una bella sensazione, in realtà. 
Era una bella giornata e si stava bene fuori, veniva proprio voglia di allenarsi. Era la prima volta che lo provava, in effetti. Fino ad ora non aveva sentito il bisogno né la voglia di scendere di nuovo in campo, ma solo di fermarsi da Zlatan per sempre. 
Invece stava per tornare alla vita e stava andando meglio di come era andata quella notte, ma forse era complice la macchina di Zlatan ed il fatto che sapeva ora l’avrebbe rivisto.