43. LIBERTÀ

kjbra

Simon, da bravo re del nord, nascose a sé stesso la considerazione sull’essere di nuovo contento solo per aver visto la macchina di Zlatan nel parcheggio e fece finta di non averla nemmeno avuta. Accelerò il passo rientrando dopo due mesi e mezzo nel centro sportivo più bello che avesse mai visto da calciatore. 
Salutò allegramente il custode che ormai conosceva bene, gli chiese come stesse mantenendo le misure che ormai tutti conoscevano bene, mascherine, distanze e lavaggio mani col gel. 
Il custode lo salutò e lo ringraziò dell’interessamento chiedendo come era andata a lui, mentre conversavano eseguirono le nuove procedure di prevenzione e gli prese la temperatura prima di entrare. Quando vide che era a trentasei, Simon poté andare oltre sentendosi strano per quell’ingresso diverso dai soliti. 
Non immaginava che presto si sarebbero abituati a quelle novità al punto da sentirsi strani all’annullamento degli stessi, nell’arco di due o tre anni. 
Sospirò e si riscosse tenendosi su la mascherina e andò verso gli spogliatoi. 
Come prima cosa puntò lo sguardo su quella che sapeva essere la postazione di Zlatan e la vide riempita con le sue cose, si era già sistemato e cambiato. Sorrise di nuovo per qualcosa che lo riguardava, tornando a sentirsi sempre più euforico e vivo per ragioni che non comprendeva.
Stava per tornare ad allenarsi e a incontrare gente, sicuramente quello doveva renderlo allegro, ma non era così sicuro si trattasse di ciò. 
Andò al proprio posto e mise giù il borsone e solo quando sollevò lo sguardo nello scompartimento a lui dedicato, notò una borsa appesa. Inarcò un sopracciglio, la prese e guardò dentro realizzando che si trattava dei propri vestiti acquistati tramite Zlatan durante l’isolamento insieme. 
Sorrise ancora, ma questa volta malinconico e nostalgico, poi richiuse il sacchetto e lo infilò nel borsone. 
Rimase un momento lì fermo a pensare, a catturare quella sensazione. 
Di nuovo la consapevolezza assurda e irrazionale che qualcosa fosse andato perduto, andando via da casa sua. Aveva lasciato qualcosa da lui, una parte di sé, qualcosa che l’aveva cambiato in un modo che ancora non capiva. 
Tornò ad incupirsi e nel farlo innalzò nuovamente il muro di ghiaccio, assumendo la sua solita aria indifferente e freddamente gentile. 
Altri compagni arrivarono e lo salutarono, nessuno con la mascherina addosso ma già tolta, lui l’unico a mantenerla su anche dopo la temperatura. 
Lo presero in giro, ma si misero tutti a scherzare e aggiornarsi, ben presto il caos aumentò e fu bello. O per lo meno pensò che dovesse esserlo, ma ancora mancava qualcosa e dentro di sé non si sentiva più come quando era stato nella bolla. 
Ancora quel qualcosa che aveva lasciato da Zlatan gli impediva di stare bene come aveva sperato di essere dopo quell’esperienza. 
Come poteva fare per ritrovarlo e stare di nuovo bene nella sua vita normale che aveva tanto voluto? 

Zlatan tornò nello spogliatoio dove, avvicinandosi, aveva sentito voci; quando vide che non c’era Simon ma solo un paio dei suoi compagni, li salutò cupo mettendo giù l’asciugamano usato in palestra e infastidito per essere tornato così presto nella fase rabbiosa, superata solo quando aveva pensato di aver sentito la voce di Simon, si insultò andando svelto verso l’area ristoro. 
Gli dava fastidio da morire, non poteva dipendere tanto da una persona, era stato bene con lui, era andata bene, ma non sarebbe più tornato così. Era stato un benessere circoscritto a quella speciale condizione. Un’oasi all’interno di un isolamento forzato. 
Lo loro bolla. 
Non c’erano stati problemi, pensieri, famiglie, estranei, il mondo, regole, doveri, morali. Non c’era stato nulla, in quel mese e mezzo là insieme. Niente. 
Solo loro, i loro desideri e tutto quel che avevano voluto fare. 
Era stato perfetto, lo stile di vita ideale se non per i divieti di uscire e andare a fare tutte le attività all’aperto che gli piacevano. Anche solo le semplici corse in auto oppure le camminate in montagna. 
Gli mancavano i figli da morire, non poteva certo negarlo. Sentirli tutti i giorni non era la stessa cosa, adesso appena sarebbero potuti venire in Italia l’avrebbero raggiunto, perciò non sapeva quanto ma mancava poco per rivederli ed era contento. Tuttavia allo stesso tempo gli mancava e gli sarebbe sempre mancata la condizione raggiunta nella bolla. 
Lui e Simon a fare tutto quel che volevano. 
Varcò la soglia del bar seguito da altri compagni, tutti felici di riprendere il vecchio tram tram, la colazione insieme a Milanello prima degli allenamenti od il pranzo nel caso fossero allenamenti pomeridiani. 
Oltre a questo, contenti di vedere di nuovo persone. 
Con lo sguardo truce sorvolò subito sui tavoli quasi tutti pieni per poi individuare la testa bionda che gli interessava, ormai familiare. 
Appena lo vide al tavolo con Alessio, Gigio e Davide gli sembrò di essere colpito da un pugno allo stomaco e per un momento non respirò.
L’aveva visto quella notte, non era passato molto, eppure era come se non lo vedesse da secoli. Forse perché gli era mancato troppo, molto più del normale. 
Si morse il labbro e si sforzò di andare al tavolo con Ante, Rade ed Asmir, come da buone vecchie abitudini. 
Non si sentì meglio nel riprendere la solita routine. 
Assottigliò lo sguardo che sforzò di non girare su Simon, non sapeva se l’aveva guardato, ma alla fine non riuscì a trattenersi e lo fece. 
Stava ridendo? Si stava divertendo? Come diavolo stava, lo stronzo? 
Appena lo guardò ignorando totalmente le parole dei compagni di tavolo, notò che aveva di nuovo su il suo tipico muro di ghiaccio. 
Era totalmente il Simon di sempre, ma a differenza di quello, nemmeno fingeva di sorridere. 
Era serio, parlavano di covid? Probabile. Poi vide Alessio, Davide e Gigio ridere e lui non accennò ad un reale sorriso, ci provò ma non gli venne nulla. 
Zlatan inarcò un sopracciglio pensando fosse strano, ma non riuscì a capire nulla poiché Rade lo costrinse a rispondere alle sue domande e così si rassegnò a dimenticarsi di Simon per quei quindici minuti di colazione. 

A Simon si chiusero le orecchie quando lo vide passare e andare nel tavolo coi suoi soliti tre. Stava parlando con Alessio e gli altri ed il discorso era anche interessante, presto spostato su cose idiote che avevano fatto ridere tutti, ma lui aveva proprio perso la battuta e così non aveva potuto ridere. Normalmente sarebbe riuscito a fingere, ma non gli era riuscito nemmeno quello, così aveva finito per fissare i ragazzi fingendo un vago sorriso consapevole che non sarebbe stato mai convincente. Non spostò gli occhi verso il tavolo di Zlatan, si sforzò e riuscì a rimanere fermo lì a guardare i suoi compagni, ma ad un certo punto proprio non ce la fece e totalmente estraniato non controllò più lo sguardo che volò al tavolo di Zlatan. 
Lo vide parlare serio e teso con Rebic, si chiese cosa avesse già da rimproverare senza che gli allenamenti fossero ancora iniziati e finalmente si ritrovò a sorridere e non per finta o circostanza. 
Non notò l’occhiata acuta e sorniona di Alessio, ma notò quando Zlatan si alzò dal tavolo insieme ai suoi commensali. A quel punto Simon scattò subito senza rifletterci, agendo totalmente d’istinto e solo lì, ,mentre lo seguiva guardato strano da Gigio e Davide, mentre Alessio continuava a sorridere compiaciuto, si rese conto d’aver fatto qualcosa totalmente lontano dal solito modo. 
“Che diavolo faccio? Lo seguo così senza motivo? Sono forse idiota? Beh, ormai che l’ho fatto è assurdo tornare a sedermi o inventarmi qualcos’altro da fare. I ragazzi al tavolo stavano ancora parlando, sono stato maleducato a scappare così come se avessi fretta di fare qualcosa. Adesso sarà meglio che effettivamente gli parlo o sembrerò solo un gran maleducato. Poi mi scuserò con Alessio.”
Perché Alessio era comunque sempre Alessio. 
Affrettò il passo per raggiungerlo nel corridoio, prima di entrare in palestra con gli altri. Il programma odierno era più o meno quello di sempre. Si faceva un po’ di palestra prima di fare la sessione esterna, perciò in un attimo si sarebbero radunati tutti quanti lì. 
Così superò Ante, Rade ed Asmir e toccando la spalla a Zlatan, gli indicò col capo di seguirlo negli spogliatoi, in quel momento vuoti poiché ormai erano tutti già arrivati e avevano mangiato dirigendosi infatti in palestra. 
- Puoi venire un momento? 
Glielo chiese così, come se si fossero già salutati prima ed ora dovesse ricordargli qualcosa in privato che nessuno poteva sentire. 
In effetti era così. Ma se voleva nascondere che avevano un rapporto al di là del calcio e della squadra e di quel che avevano mostrato loro in pubblico, doveva evitare cose simili. Eppure di nuovo aveva agito d’istinto senza pensare. 
Quando mai faceva così? Cose tanto stupide, poi!
“Di bene in meglio. Cazzo faccio, ora? Non avevo davvero nulla da dirgli! Devo provare a portare avanti il mio piano iniziale di chiudere con lui e tornare alla mia vita normale di prima, ma non ne abbiamo parlato, alla fine ci siamo lasciati senza dire nulla. Forse gli devo qualche parola...”
Cercò di capirsi in quella frazione di secondo, prima di ritrovarsi a tu per tu con Zlatan, il soggetto che l’aveva gettato tanto nel caos. 
Aveva il cuore in gola come un ragazzino e nella mente, mentre cercava di pensare a cose sensate, c’erano solo le posizioni usate nei loro orgasmi, spesso multipli. 
“Oh merda!” pensò infine quando la porta escluse le voci dei loro compagni che passavano in corridoio andando dritti alla palestra. 
Simon si morse il labbro, si voltò brevemente e pensò col cuore che andava sempre più forte che forse potesse entrare qualcuno lo stesso, così per non rischiare si voltò di nuovo e lo condusse nell’altra stanza adiacente, la zona bagni e docce. 
Lì sarebbero stati un po’ più al sicuro. Sì, ma al sicuro per fare cosa? Se era solo per parlare avrebbero potuto farlo di là e parlare semplicemente a bassa voce. 
“Dio, Simon, ti sei rincoglionito a tal punto? Non lo vedi da stanotte, cazzo! Che mi ha fatto? Ho lasciato la mia sanità mentale, da lui, ecco cosa ho dimenticato!”
Lo pensò scherzando cercando di stemperare la tensione alle stelle, ma si ritrovò solo più eccitato appena si voltò verso di lui. Davvero molto eccitato, in effetti.
Se ne accorse solo nel momento in cui lo guardò negli occhi, davanti a lui, alto di qualche centimetro a sovrastarlo serio, dritto e rigido.
Era arrabbiato? Forse aveva ragione, non gli aveva nemmeno detto cosa erano ora... e sicuramente lo sapeva, ma non gli piaceva comunque. 
Stavano per litigare, lo sapevano entrambi. 
Suo malgrado l’eccitazione salì a dismisura fra le gambe, il suo corpo gridava di essere sbattuto contro il muro e piegato in avanti come aveva fatto milioni di volte. 
- Che c’è? - chiese sgarbato Zlatan, Simon pur sapendo che era arrabbiato ed immaginando anche per cosa, non si placò. O meglio, la propria voglia nei bassi fondi non lo fece. 
Nemmeno il proprio cervello logico e razionale, voleva aiutarlo. La testa si era appena svuotata del tutto.
“Com’è possibile? Poche ore di separazione, la convinzione che da ora smetteremo, l’assaggiare la mia famosa vita normale tanto agognata e sono in queste condizioni? Che cazzo mi ha fatto?” 
Simon a quel punto perse ogni traccia residua di controllo. Tragicamente. Inesorabilmente. 
Ed il ghiaccio divenne una caldissima sorgente termale paradisiaca. 

Zlatan non voleva dargliela vinta, principalmente la palla era a Simon, era lui che stava gestendo la partita, era lui che aveva voluto fare quel periodo a casa sua per sfogare le sue fantasie sessuali, era lui che poi aveva deciso di tornare a casa e interrompere tutto. Non si erano parlati chiaramente, ma l’avevano fatto all’inizio e ora lo sapeva. Era sempre Simon, ora, che doveva proseguire nella sua idea, non spettava a lui imporsi. 
Non per il momento. 
Più che altro voleva capire come sarebbe andato avanti e per quanto ci sarebbe riuscito, ma a giudicare da com’era gonfio lì sotto, dubitava che sarebbe riuscito a stare sulla sua bella ‘vita normale’ per molto. 
“Beh, ci ha messo molto meno di quel che immaginavo... avevo creduto di doverci litigare...” 
- Poche ore... - disse a denti stretti Simon, sibilando. I suoi occhi azzurri brillavano fiammeggianti, non c’era l’ombra del gelo nel suo sguardo. Era la prima volta che era arrabbiato in quel modo caldo ed espressivo. 
Di norma era sempre stato un muro spesso di ghiaccio. 
- Poche ore cosa? 
- Come diavolo è possibile che in poche ore io sia già in questo stato? Doveva durare molto di più! Doveva bastarmi per sempre! 
Simon stava uscendo allo scoperto e non solo, si stava aprendo. 
Era come se si fosse trasformato in un fiume ed ora uscisse dall’argine. 
Gli venne in mente un enorme ghiacciaio che si spacca e che va alla deriva in giro per il mare a far danni, mentre si assottiglia sempre più fino a sciogliersi. 
Simon in quel momento era alla deriva, ma Zlatan rimase dritto, serio ed in silenzio. Non lo interruppe e non alzò un dito. 
Le mani sprofondate nelle tasche dei pantaloni. 
- Perché non riesco più a tornare quello che ero? Appena ti ho visto mi sono sentito di nuovo vivo, dal momento in cui ti ho lasciato stanotte ad ora ero vuoto, freddo, scontento! Ed ora ti ho rivisto e sono tornato a stare bene e non sono riuscito a trattenermi dal portarti qui e non volevo, ma eri una calamita appena ti ho rivisto! Noi non ci amiamo, non ci sono sentimenti, abbiamo scopato un sacco e siamo stati bene, ma da quello a... questo... ce ne vuole! 
Simon allargò le braccia esasperato, era davvero fuori di sé e Zlatan era sconvolto, ma rimase impassibile per vedere fin dove sarebbe andato e fu quando gli prese la maglietta sbottando: - Dì qualcosa, dannazione! - che lui gli prese i polsi per fermarlo. 
Rimase serio e fermo, ma non lo respinse. 
- Vuoi sapere davvero perché non riesci a smettere con me nonostante l’avessi deciso? - chiese pacato, mentre finalmente tutto si apriva davanti a sé e capiva cos’era che Simon aveva lasciato a casa propria. 
Simon annuì con aria di bisogno, avvicinando il viso al suo fino ad appoggiarsi col corpo. Zlatan tornò a respirare, chiuse gli occhi e si ammorbidì assaporando la sensazione delle sue forme addosso. Quei vestiti, ora, per quanto leggeri erano così fastidiosi. 
Quell’ombra che gli era stata addosso da quando aveva aperto gli occhi ad ora, venne spazzata via dal suo contatto e dalla consapevolezza che aveva ragione. 
- Cos’è successo, Zlatan? Perché sono in queste condizioni e catalizzi tutta la mia attenzione e me lo fai venire così duro? Riesco solo a pensare a te che mi sbatti e vorrei lo facessi ora qua subito, ma l’abbiamo fatto così tanto proprio per poter essere soddisfatto e tornare alla vita di prima... ma non ci riesco più! 
Stava male, era esaurito, non l’aveva mai visto in quelle condizioni, così Zlatan gli lasciò i polsi e gli prese il viso e con una dolcezza eccessiva rispetto a quella che avrebbe voluto mantenere, ben lontana dai litigi e dagli scontri preventivati, disse: 
- Hai assaggiato la libertà di essere chi sei realmente, ti sei scoperto, ti sei vissuto ed ora non potrai più rimettere in gabbia quell’essere dentro di te. L’hai lasciato da me. Il Simon libero, il vero autentico Simon. Con me tu sei libero di essere chi vuoi, di fare ciò che vuoi, non hai regole ed obblighi. 
Lo vide spalancare gli occhi azzurri, shoccato, e fissarlo come se gli avesse appena rivelato la verità dietro alla creazione dell’universo. 
- Libertà... - mormorò fra sé e sé abbassando lo sguardo nel ripetersi le sue parole mentalmente. Zlatan annuì dolcemente, gli sorrise e si chinò a sfiorargli le labbra. Il calore si espanse restituendogli un benessere assoluto.
Essere liberi insieme era qualcosa che in quel momento Zlatan desiderava sopra ogni cosa. Essere libero con lui, senza definizioni, costrizioni e limiti. 

Simon si sciolse fra le sue mani, sotto le sue labbra che carezzarono le proprie. Il suo corpo forte a sostenerlo. Lentamente chiuse gli occhi abbandonandosi e aprendo la bocca approfondì il bacio lievemente accennato. Lo cercò subito con la lingua fondendosi a lui e Zlatan lo assecondò mentre le mani scivolavano via dal suo viso per spostarsi sulla schiena, abbracciandolo e tenendolo a sé. 
L’aveva desiderato tanto in quelle ore di separazione e adesso si sentiva così speciale, per lui. 
Capì che aveva ragione, che era quello che aveva lasciato da Zlatan, che aveva perso quando se ne era andato. 
La sua libertà. 
L’aveva trovata da lui e poi l’aveva lasciata lì, privandosene una volta tornato a casa, ma non era più stato capace di vivere senza. Non lo era più. 
Adesso, nel panico e nell’euforia di quel che aveva capito, sapeva di non avere idea di come proseguire e di essere nei guai più di prima, perché sapere quel che gli era successo non lo aiutava per nulla, tuttavia una sorta di serenità interiore lo invase mentre lo cinse. 
Per quanto assurdo, sentiva di non averne paura. 
Era qualcosa di nuovo, lui era nuovo, ma non lo spaventava. Razionalmente sapeva che era un casino e che la sua vita sarebbe cambiata, in qualche modo, o forse solo il suo modo di viverla e di vederla ma non ci poteva fare nulla. 
Non avrebbe più potuto rinunciare a quello. 
Alla sua libertà.