*A Zlatan basta molto poco per capire cosa vuole da Simon e soprattutto cosa vuole fargli. Ovviamente non va per il sottile, una volta che sa cosa desidera, cerca di ottenerlo senza riguardi e coi metodi da buzzurro che usa, Simon l'avrà molto dura a mantenere la sua stoica indifferenza. Per chi mi segue da poco e ancora non sa... io nelle mie fic trasformo tutti in gay, perciò noterete che qua le coppie spuntano come funghi e che per me è assolutamente normale che uno come Ibra sia ciò che probabilmente non è (ma chi lo sa?), tuttavia scrivo per puro divertimento personale ed è tutto inventato. Anche se però è vero che erano seduti vicini negli spogliatoi di San Siro il loro primo anno insieme, è vera anche la conversazione dove Simon chiede consiglio a Ibra su dove prendere casa perchè non ce l'aveva ancora e che parlano in svedese (c'è il video in rete). Cercherò di aggiornare ogni 5/6 giorni perché questa serie (Milan on fire, di cui questa è la prima fic) è sempre più affollata, sto scrivendo molto ed è il caso che mi sbrighi a pubblicare! Buona lettura. Baci Akane*

5. IDEE CHIARE

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Simon trovò un’altra curiosa, assurda ed un po’ fastidiosa coincidenza: le loro postazioni erano vicine nello spogliatoio di San Siro. 
Ovviamente non fece trapelare alcun fastidio ed iniziò a mettersela via, comprendendo che chissà come mai, dall’alto, quelli che gestivano quel genere di cose come coppie di camere e posizioni negli spogliatoi, avevano trovato carino metterli sempre insieme.
Si conoscevano, del resto. Lo sapevano tutti che si erano già incontrati in campo e che erano abbastanza vicini d’età, più di quanto Ibra non fosse con altri della squadra; oltretutto entrambi avevano girato per club vari. 
Tuttavia la domanda che sorgeva spontanea a Simon era se sapessero che gli aveva messo le mani al collo.
“Sono convinti che dobbiamo diventare amici e legare perché ci siamo già scontrati tante volte in campo e visto che nessuno conosce nessun altro qua dentro, ci mettono sempre insieme. Potevo volerlo ignorare chissà quanto, sarebbe stata una battaglia persa in partenza. Faccio prima a farmelo piacere. Ci vogliono insieme e finiremo insieme comunque. Punto.”
Ma stranamente non si sentiva poi così scontento all’idea. 
Non gli piaceva particolarmente, ma se doveva farsi andare bene qualcuno, ce la faceva benissimo. Aveva un auto controllo eccezionale, questo implicava saper gestire anche la propria testa e i propri sentimenti. 
Trovandoselo di nuovo come vicino di sedile negli spaziosi spogliatoi rossoneri, Simon in vista della preparazione della sua prima partita col Milan, riprese il discorso di quella mattina così come niente fosse. 
- Sai, sto cercando casa e volevo capire quale fosse la zona migliore... 
Sua moglie Elina era a Siviglia coi figli poiché per l’anno di prestito in Italia non aveva voluto spostarsi, perciò lui prima aveva vissuto in un appartamento a Bergamo ed ora doveva spostarsi a Milano.  
Ibra, sempre parlando in svedese come aveva fatto anche Simon, gli rispose tranquillo, seduto vicino a lui, già pronto per iniziare il riscaldamento pre partita. 
- Beh, dipende da quello che vuoi, ma alla fine è bello un po' dappertutto. E comunque la gente normalmente ha una casa in città e poi una casa per le vacanze vicino al mare. Quindi dipende tutto da dove vuoi avere la casa per le vacanze. 
Simon annuì assorbendo le sue parole, notando che però sembrava distratto da qualcosa, mentre gli parlava. 
Gli diede un’occhiata più attenta e vide che fissava in particolare qualcuno con ripetuti e prolungati sguardi. Ne seguì la direzione del suo serio ed intenso, mentre contemporaneamente gli rispondeva che per lui farsi dei piani a lungo termine era difficile poiché tecnicamente era solo in prestito fino a giugno e se non sarebbe stato riscattato sarebbe tornato in Spagna, al Siviglia, 
Nel caso in cui l’avrebbero riscattato, la moglie l’avrebbe raggiunto.
Riuscì a continuare a parlare con lui notando che fissava Samuel mentre faceva un allegro baccano con Theo, i due sembravano essere molto amici. 
Parlavano in spagnolo e capiva cosa si dicevano, ma era concentrato sul suo discorso con Ibra così non comprese perché lo fissasse in quel modo. 
Naturalmente gli diede fastidio. 
“Parla con me e guarda un altro? È pure maleducato? Riusciremo a costruire un rapporto?”
Simon non ne era più sicuro. 

Zlatan aveva lanciato l’amo e Samu aveva subito colto.
Ebbe conferma che era quel genere di persona e che era abituato alle situazioni da una botta e via in tutta facilità, grazie a come si era accorto di lui e dei suoi lunghi sguardi. 
Non aveva ammiccato né fatto alcun cenno, ma aveva ricambiato lo stesso le occhiate e le sue erano state ben più espressive delle proprie. 
Samuel, dicendo le sue solite cazzate a ruota libera a Theo, gli fece un sorrisino malizioso. 
Nessun ammiccamento. 
Se aveva capito male l’avrebbe ucciso, Zlatan si immaginava le sue ragioni, perciò ricambiò il sorrisino malizioso, lo sguardo più vivo e acceso di prima. 
Seppe precisamente di essere stato visto e notato da Simon, del resto erano vicini e stavano parlando, impossibile non notare che fissava un altro a cui aveva pure sorriso. 
E sapeva d’aver usato un sorriso che andava oltre il semplice saluto.
Sapeva comunicare sempre, qualunque cosa volesse dire. O la diceva a parole o a gesti, ma per lui era impossibile non comunicare. 
Vide che Samu coglieva il messaggio implicito con quel semplice ma chiaro sorriso, gli fece l’occhiolino con gran coraggio e sfacciataggine e tornò a Theo il quale gli aveva appena ripetuto tre volte la stessa cosa. 
Zlatan smise di dare segnali e tornò a fissare Simon accanto a lui che nel frattempo si era improvvisamente zittito. 
Aveva ripreso a parlargli amabilmente, quel giorno doveva essere in uno stato di grazia ovviamente. Perché ora invece se ne stava improvvisamente di nuovo zitto? 
Provò a decifrare il suo viso ma era di nuovo levigato nel ghiaccio, com’era stato il giorno prima.
Si era arrabbiato. 
Quello dunque era il Simon arrabbiato?
“Mi sa che questo non è ancora niente rispetto a quello che può essere se si arrabbia davvero. Sempre ammesso che uno così ci riesca....”
Poi si rese conto.
“Mmh... esperimento interessante... potrebbe essere particolarmente stimolante metterlo alla prova. Chissà se è vero che niente riesce a scalfirlo e se non sa arrabbiarsi. E chissà com’è da incazzato nero. Oh sì, voglio proprio vederlo mentre fa qualche dannata espressione che non sia sempre una così composta e asettica.”

Zlatan non lo sapeva, ma stava giocando col fuoco.
O forse sì, forse lo sapeva, ma gli piaceva da matti, a lui, quel fuoco. Il pericolo, il rischio. Era parte di ciò che per lui rappresentava la vita e non sarebbe di certo cambiato ora. 
Non con un elemento così interessante per le mani. 

Simon giocò dal primo minuto ed uscì a dieci dalla fine, la partita non fu particolarmente complicata, segnarono allo Spal tre goal e mantennero la loro porta pulita; accoppiato ad Alessio, i due centrali fecero una difesa da manuale. Tuttavia non fu una partita impegnativa, infatti Zlatan non giocò nemmeno, preferendo farlo riposare per il campionato.
Non si disperò, ovviamente, perché a fine partita poté finalmente sfogare quella voglia con la quale si era svegliato al mattino. 

Simon li vide entrare per primi negli spogliatoi, quasi avessero fretta. Gli era sembrato strano perché il resto della squadra era ancora in campo a salutare gli altri ed il pubblico, ma a quanto pareva Zlatan era stanco di starsene seduto a far nulla in panchina. 
L’aveva incuriosito che se ne andasse con Samuel, dopo che si erano guardati in quel modo non aveva potuto non trovare strano anche quello. 
Non li aveva seguiti, ma si era affrettato a sbrigare le faccende in campo, essendo stata la sua prima partita col Milan aveva voluto soffermarsi per complimentarsi personalmente col lavoro di tutti, sapeva che era importante quando c’era una prestazione così perfetta.
Curiosità.
Ne era infastidito, mentre camminava più veloce del necessario per entrare negli spogliatoi rossoneri. 
Non era mai stato uno curioso.
Perché ora lo era?
Lo era chiaramente, era ovvio, ma non era da lui e non gli piaceva. 
Zlatan poteva fissare chi voleva per le ragioni che pensava, e poteva anche andarsene in fretta con chi riteneva, non aveva importanza. Non doveva averne. 
Ma quando entrò nello spogliatoio e non li vide, si rese conto che era strano.
Samuel aveva giocato e si sarebbe fatto la doccia, ma Zlatan non aveva giocato e non doveva lavarsi. Tuttavia non era lì, anche se le sue cose invece sì. Proprio dove le aveva lasciate, nel sedile accanto al proprio.
Non si era cambiato, non si era tolto la divisa. Sapeva non avrebbe giocato, ma si era preparato consapevole che nel calcio non potevi mai sapere come andava a finire. 
Per cui pur non avendo messo piede in campo, si sarebbe dovuto cambiare lo stesso. Ma era ancora tutto lì, non l’aveva fatto. 
Nemmeno Samuel, sembrava essersi spogliato per la doccia. 
Aveva iniziato a togliersi la divisa per andare a lavarsi, sempre interrogandosi con morbosa e fastidiosa curiosità su che fine avessero fatto, quando li vide arrivare dall’altro locale, quello dei bagni e delle docce. 
Il resto dei compagni arrivarono e Ibra gli lanciò un’occhiata soddisfatta. 
A lui, non a Samuel con cui aveva fatto chissà cosa.
“‘Chissà cosa’, cosa?! Non si sono lavati e di là puoi fare due cose: o vai in bagno o ti fai la doccia. Ma erano là insieme. E va bene, erano entrambi ai bagni, mica significa che erano nello stesso a fare ‘chissà cosa’. Samuel non lo conosco, ma Ibra di sicuro non fa certe cose.”
Certe cose. 
Nemmeno riusciva a dirlo.
Simon non era pudico e nemmeno omofobo, non aveva problemi di quel tipo, ma non si era mai posto alcuna domanda. 
Ovvero per lui i compagni potevano fare ciò che volevano e con chi volevano, non era affar suo. 
In breve, non aveva mai avuto un’opinione in merito. 
Non era contrario, ma non gliene importava. Non normalmente. Ne aveva viste di cose, sapeva che alcuni calciatori si divertivano insieme, non era strano, ma lì su due piedi gli diede enormemente fastidio trovarsi ad andare subito a quelle conclusioni, davanti a loro due che arrivavano insieme da una parte dello spogliatoio.
Non significava nulla, eppure lui ci aveva innegabilmente visto proprio QUELLO!
Ibra non era tipo, se lo ripeté senza aggiungere altro. Secco e deciso. 
Ma non gli staccò gli occhi di dosso mentre lo vedeva che aveva la maglia della tuta che copriva la divisa tutta fuori dai pantaloni. 
Così come non poteva negare che Samuel avesse un’espressione estremamente realizzata e nella pace dei sensi. Oltretutto anche lui era arrivato disfatto, con la divisa quasi tolta. 
Lui aveva giocato e si doveva lavare, ma c’era qualcosa nel suo modo di essere contento e disfatto. 
Simon tornò a guardare Ibra che fissava lui, non Samuel con cui era spuntato come per magia, dopo essere sparito misteriosamente. 
“Cos’ha ora che mi fissa? So che non ha fatto quello che sembra o che la mia testa mi sta assurdamente dicendo, ma non riesco a non fare quel genere di collegamento. Ma se avesse davvero fatto sesso, non avrebbe senso fissarmi in questo modo.”
Ne era proprio convinto.
Suo malgrado qualunque cosa fosse stata realmente, già solo il fatto d’averlo pensato, anche se poi si era subito smentito, non lo lasciava in pace. 
Ormai era fatta, si diceva.
Aveva compromesso quella scarsa possibilità che aveva di costruire un rapporto decente con lui. 
“Insomma, ho pensato che potesse aver fatto sesso con un altro ragazzo. Con che faccia ci parlo, ora? Se lo sapesse mi distruggerebbe perché è SICURO che non è così!”
Così sicuro che, una volta tolto tutti i vestiti e avvolto nell’asciugamano bianco alla vita, entrò svelto nel locale da cui loro erano usciti, andando alla doccia. 
Aprì il rubinetto dell’acqua calda e si immerse sotto lasciando che l’elemento più limpido e puro lavasse via quegli stupidi e assurdi dubbi. 
Stava rovinando tutto con delle visioni del tutto inappropriate e soprattutto infondate. 
Voleva essere amico di Ibra, anzi, DOVEVA. 
Venne presto raggiunto dagli altri, primo fra tutti un sempre più beato Samuel, il caos presto regnò sovrano e la sua testa si estraniò da qualunque discorso, chiudendosi dietro una patina di freddezza che l’avrebbe protetto da tutto e da tutti. 
Non voleva interagire, non in quel momento. 

Zlatan si era rivestito e rimaneva seduto nella propria poltrona imbottita, rosso e nera. 
Fissava le cose di Simon come se potesse vederlo materializzarsi lì e parlarci.
“Sì, come se uno come quello parlasse...”
Per un momento si provò ad immaginare una conversazione con lui, ma presto dovette desistere. Non era tipo da parlare in ogni caso e comunque non di certe cose. 
“Ma l’esperimento continua. Adesso è facile ignorare e far finta di nulla... non potrà continuare se ci becca in pieno!”
Questo per il semplice fatto che si era messo in testa, chissà perché, di doverlo far reagire e scomporlo. 
Simon tornò di nuovo avvolto nell’asciugamano bianco, ma questa volta era tutto bagnato, i capelli erano all’indietro, fradici, la pelle lattea solcata dai suoi tatuaggi, prevalentemente sulle braccia. 
Zlatan lo trapassò da parte a parte cercando di capire cosa gli passasse per la testa, se avesse avuto reazioni o se avesse capito qualcosa. Se, insomma, gli importasse, ma vide un muro di ghiaccio, di nuovo.
Non gli disse nulla, non parlò minimamente. 
Si sedette nella sua poltrona accanto alla propria, prese un altro telo più piccolo e se lo passò sulla testa iniziando ad asciugarsi il resto. 
Quando lo lasciò intorno al collo, i capelli erano spettinati e scompigliati ed era la prima volta che lo guardava così, nudo e uscito da una doccia. 
“È un gran bell’uomo. Così composto e a modo. Così lontano da tutti. Mi viene una dannata voglia di togliergli quell’asciugamano dal collo e toccarglielo come dico io.”
Non sapeva perché, ma gli era venuta una strana fissa col suo collo.
Lo osservò da vicino, nella sua posizione scomposta, e non gli importava di essere troppo sfacciato. 
Notava delle goccioline che scivolavano sulla pelle chiarissima, percorrevano proprio il collo e si nascondevano sotto l’asciugamano.
Voleva afferrarlo e sfilarglielo per poterlo vedere meglio, ma quando finalmente lo fece da solo per asciugarsi i piedi, Zlatan trattenne il fiato nel ritrovarsi inaspettatamente proprio quello che aveva sperato. 
Il suo collo nudo e libero. 
Non disse nulla, continuò a fissarlo sfacciato consapevole che Simon se ne era accorto, probabilmente era a disagio, ma non lo dimostrava. Era magari seccato, cos’aveva da fissare in silenzio in quel modo? Come osava?
Eppure non dava alcun cenno in tal senso. Se era infastidito non lo dava a vedere.
Fin quanto si sarebbe controllato?
Non gli piaceva chi lo faceva così a tutti i costi, ma prima o poi cedevano sempre tutti, anche i più timidi e lui non lo era. Era solo controllato per motivi che non gli importava nemmeno. 
Simon continuò a non dire nulla, nemmeno inerente alla partita. 
Si alzò in piedi e si aprì l’asciugamano passandoselo sulla parte inferiore del corpo, nel farlo si girò verso di lui e Zlatan prese un altro respiro profondo. 
Oh, sì. Era proprio chiaro.
Voleva farselo.
Non sapeva se era perché gli piaceva, né sapeva se in effetti fosse così veramente. Conoscendosi voleva solo sporcare una tale perfezione levigata nel ghiaccio.
Una sfida, una delle tante belle sfide interessanti di Zlatan. 
Ma l’avrebbe fatto. O meglio. Se lo sarebbe fatto.
Rimase seduto a gambe larghe, comodo e un po’ storto a fissarlo da vicino, lì dov’era. Fissava lui senza nemmeno fingere di avere il cellulare in mano.
Lo fissava per nulla intenzionato a dire qualcosa. Solo guardarlo. 
Lo fece per il resto del tempo, finché Simon si fu rivestito e una volta pronto si avviò al pullman. 
Sicuramente non era indifferente ad uno sguardo come il suo, ma non aveva fatto niente, non aveva lasciato trapelare nulla.
Zlatan pensò che era dannatamente ostico, il ragazzo. E dannatamente erotico, con quei suoi modi distaccati e precisi di fare. 
“Vedrai quanto ti sbatto contro qualunque superficie che mi capiterà a tiro. E vedrai quanto griderai di piacere.”
Due giorni scarsi, ci aveva messo a cambiare intenzione nei suoi confronti. 
Due giorni.