*Ibra ha subito capito che vuole portarsi a letto Simon e per calmare i bollenti spiriti e provocarlo al tempo stesso, va con Samu, ma Simon non li becca in flagrante e anche se si è fatto proprio quell'idea, non è ancora sicuro e può tranquillamente continuare ad ignorare la cosa, che comunque inizia a farsi strada anche in lui. Tuttavia il bel difensore è ostico e non sarà facile fargli capire la sua vera natura. Ma Ibra non demorde e se non funziona farlo ingelosire, ci prova con i propri allenamenti allucinanti. Riuscirà a fare breccia? Nel frattempo c'è spazio anche per un po' di calcio che sarà uno sfondo e non il protagonista, ma sarà comunque presente. È vero che a Milanello c'è la Foresteria per i ragazzi della Primavera che vivono lontani e che i giocatori che non hanno ancora casa perché arrivano in fretta e furia, a volte si fermano a dormire lì per un po'. Buona lettura. Baci Akane*

6. UNO DI QUEI GIORNI

ibraibrasimon

Simon voleva chiedergli cosa avesse, perché lo fissava e cosa aveva fatto prima con Samuel. 
Ma non chiese nulla, non gli fece capire minimamente il suo fastidio né il suo turbamento. Nemmeno mezza parola uscì dalla sua bocca. 
Gli dava fastidio, quel suo sguardo insistente addosso, gli aveva fissato ogni centimetro di corpo senza esitare, non aveva distolto gli occhi un istante e avevano bruciato parecchio.
Due braci incandescenti che promettevano cose che non voleva comprendere. Che dovevano rimanere ben lontane da lui.
Voleva creare un rapporto costruttivo, qualcosa di bello, andare d’accordo e legare perché aveva capito che era importante e che doveva, era proprio una sorta di obbligo se eri una persona adulta, matura e professionale. E lui lo era.
Perciò sapeva cosa doveva fare, ma si rendeva conto che era molto più difficile di quello che aveva pensato. 
“Non ne uscirò. Se non trovo una soluzione, non ne uscirò. Non può fissarmi così, mi dà fastidio e lui lo fa da ieri sera. Sempre. Costantemente. Nudo o vestito che io sia. E poi fissa ammiccante Samuel e sparisce con lui. Io non voglio avere pensieri sconvenienti e mettergli addosso cose che non ha fatto, però cosa dovrei pensare? Io non voglio ma lui se le cerca. Sembra lo faccia apposta. Per cosa, poi? Cosa vuole ottenere? Vuole allontanarmi? Ci sta riuscendo. Eppure...”
Eppure non era astioso come il giorno prima. Appena si erano incontrati aveva percepito nettamente fastidio e attrito nei suoi confronti, amabilmente ricambiato. 
Anche di sera, in camera, era stato chiaramente contro di lui. Ibra era un libro aperto, si faceva capire, non sapeva mascherare i propri stati d’animo. 
Però ora era diverso. Non lo stava in qualche modo contrastando o infastidendo per farlo andare via. 
Voleva qualcosa da lui, ma non capiva cosa. 
Aveva un ottimo autocontrollo, ma o la smetteva di fissarlo in quel modo strano e di comportarsi così incoerentemente, o doveva affrontarlo apertamente alla sua maniera.
Con rispetto, ovviamente, tuttavia mettendo dei paletti e parlando in modo diretto.

Simon aveva comunque un’opinione molto severa e poco edificante di lui, comunque riconosceva la sua importanza all’interno della squadra e sapeva che per funzionare bene, un gruppo doveva essere tale. Dovevano lottare tutti nella stessa direzione, compatti e legarsi. 
Aveva avuto molta esperienza nel calcio e sapeva come costruire qualcosa di buono, l’unione era importante, così come dare la giusta rilevanza a chi doveva trainare un gruppo.
C’erano elementi trascinatori in ogni squadra, quelli più importanti. 
Spesso erano quelli più in forma, che giocavano meglio, i più forti agonisticamente parlando. Ma talvolta l’elemento più importante poteva anche essere quello non più forte di tutti, ma colui che sapeva rendere forti gli altri. 
Ibra era sempre stato forte, una macchina da goal e da vittorie. Aveva modi discutibili ed esagerava sempre in campo. Non gli potevi dire nulla che non sapeva comportarsi. 
Però era sempre stato fortissimo, non c’erano dubbi.
Adesso, all’alba dei 38 anni, sapeva che non poteva più essere quel giocatore che era sempre stato, ma anche senza essere un suo compagno e conoscerlo meglio, sapeva perfettamente quanto importante fosse lo stesso, non giocando, bensì trasmettendo la sua forza agli altri.
Era un arrogante esagerato fuori luogo, ma era professionale e pur non essendo mai stato suo compagno di squadra, lo sapeva da solo. Aveva abbastanza esperienza a calcio per saperlo. 
L’importanza attuale di Ibra era nella forza e nella fame che poteva trasmettere agli altri, l’esempio concreto di come si diventava uno del suo calibro. 
Oltretutto gli era bastata una partita per vedere che anche senza giocare lui faceva il capitano, quel tipo di capitano che anche lui apprezzava. 
Riteneva Alessio una persona deliziosa, ma non adatta a ricoprire il ruolo così come lo idealizzava lui.
A conti fatti il capitano era colui che guidava, che sosteneva e che spronava il gruppo.
Nell’intervallo della partita di Coppa Italia, lo vide farlo nonostante non avesse giocato ed aveva capito che lì un capitano c’era, ed era Ibra. 
Era esattamente così che pensava dovesse essere chi aveva la fascia sul braccio. 
Gli bruciava, perché per il resto rimaneva una persona pesante e problematica, ma guardandolo da un punto di vista puramente calcistico, era una forza della natura. 
Lui era il capitano. 
Simon non sapeva però di esserlo anche lui. Uno di quelli naturali.
O meglio sapeva di esserlo, tecnicamente lo era della nazionale danese e non era sciocco. Avendo un’idea precisa di ciò che quel ruolo era, sapeva farlo. 
Non funzionava realmente così, non bastava avere un’idea di qualcosa per esserlo, ma nel suo caso andava pressapoco in quel modo e non era minimamente consapevole che nel giro di poco, lui lo avrebbe fatto, ma non da solo.
Con l’altro che ricopriva già in modo naturale quel ruolo.
L’arrogante Zlatan Ibrahimovic. 

Il giorno dopo si ritrovarono di nuovo a Milanello per un allenamento defaticante per chi aveva giocato, mentre uno regolare per chi invece non era sceso in campo o che l’aveva fatto per pochi minuti.
Di conseguenza Simon e Zlatan non si allenarono insieme, si incrociarono, si fecero un cenno e mentre uno continuava a fissarlo insistentemente, con una specie di curiosità morbosa irritante, l’altro faceva ciò che gli veniva meglio.
Ignorava.
Fingeva indifferenza. 
Bastava concentrarsi sul calcio, ciò per cui era lì. Giocare. 
Fu così che il terzo giorno di interazione con Ibra, Simon riuscì ad essere ancor più diverso dalle due volte precedenti. 
Il primo era stato gelido, il secondo amichevole ed ora, turbato da quello strano comportamento provocante, era scostante. Non gelido, né contro di lui in alcun modo.
Era evasivo.
Si attaccò facilmente ad Alessio a cui iniziò a spiegare alcune delle sue idee in campo e dei suoi metodi. 
Sapeva sarebbero diventati la coppia di difensori centrali e gli stava bene, era facile andare d’accordo con lui.
Era fortunato a dover giocare insieme a quel ragazzo, se fosse stato collega di reparto di Ibra sarebbe stato un enorme problema. 
La partita del giorno prima, era andata bene, ma dovevano stabilire ancora molte cose e Simon sapeva che ci voleva tempo e connessione. 
Tutti i giocatori di una squadra dovevano conoscersi per giocare bene insieme, ma fra difensori era ancora più importante. Nel loro caso dovevano connettersi, collegarsi mentalmente, conoscersi così bene da sapere cosa avrebbe fatto l’altro e agire di conseguenza e non solo, fidarsi ciecamente. 
Non era uno stato facile da raggiungere, ma era essenziale. 
Decise di concentrarsi totalmente su di lui e sul discorso difensivo, così fu in grado di evadere da Ibra al punto da non riuscire nemmeno a beccarlo negli spogliatoi. 
L’aveva visto fermarsi in palestra a fare macchine tirandosi dietro qualche compagno che secondo lui doveva rinforzarsi fisicamente. 
Simon aveva sorriso senza rendersene conto, compiaciuto, mentre si delineava meglio la sua figura di guida. 
Passando davanti alla porta della palestra, diretto agli spogliatoi con Alessio per parlare della difesa, aveva lanciato un’occhiata dentro e l’aveva beccato in procinto di tuffarsi su un macchinario per gli addominali mentre dava istruzioni a Rafael e si rifaceva la coda. Una morsa istintiva allo stomaco a quella visione, quel gesto l’aveva turbato in qualche modo, ma aveva scosso il capo tornando al suo compagno di reparto che lo precedeva. 
Cercava di stabilire la gerarchia senza farglielo pesare.
Sapeva che Alessio era bravo nel suo ruolo, ma non era sufficiente. Un difensore davvero bravo riusciva a guidare gli altri, li comandava al volo dando indicazioni in partita ed in questo modo gli altri, seguendolo, non sbagliavano. 
In quanto capitano e difensore più anziano nella squadra, non d’età, sarebbe spettato ad Alessio, ma Simon voleva capire se potesse farlo, perché per ciò che aveva visto aveva paura che non fosse in grado.
Faceva molto bene il suo, ma il difensore più forte era quello che faceva diventare bravi anche gli altri che giocavano con lui e da quel po’ che aveva visto, quelli che giocavano con Alessio erano distanti anni luce da lui. Se la difesa ne usciva in qualche modo bene era grazie a lui e al portiere, Gigio. 
Ma Simon sapeva come far cambiare questo stato, oltretutto nel loro caso si partiva da una base buona. Entrambi sapevano ricoprire bene il loro ruolo. 
Questo bastava, per il momento, ma dovevano capire chi avrebbe preso il comando della difesa. Chi avrebbe seguito chi. 
“Potrebbe anche non essercene bisogno. Ci sono casi nei quali i difensori sono allo stesso livello e si leggono nel pensiero, non serve che uno comandi e dia indicazioni. Agiscono in perfetta sincronia, ma è uno stato che si raggiunge dopo tanti anni insieme. Come per esempio nel caso di Bonucci e Chiellini. Per iniziare è meglio che ne parliamo e lo mettiamo in chiaro.”
Sapeva di non poterlo dire esattamente come l’aveva pensato, ma era fiducioso che avrebbe trovato il modo. 
- Guarda che puoi rimanere a dormire qua, se non hai ancora preso casa... 
Alessio lo colse di sorpresa, mentre si finivano di preparare negli spogliatoi. 
Simon lo guardò meravigliato. 
- Come sai che non ho ancora casa? 
Non avevano ancora parlato molto al di là del calcio o della squadra. 
Alessio si strinse nelle spalle. 
- Ibra mi ha chiesto se era ancora come ai tempi in cui era qua l’altra volta. - Simon si ricordava che Zlatan era già stato al Milan, anni addietro. 
- E com’era? - non capiva bene cosa c’entrasse con quella frase. 
- I giocatori che vogliono o che ne hanno bisogno si fermavano a dormire. È ancora così. Di solito lo usano i giocatori della Primavera che non abitano in città e che devono studiare oltre che allenarsi, c’è la foresteria. Però ci sono anche casi come il tuo, giocatori che arrivano all’ultimo e hanno bisogno di un po’ per sistemarsi. Possono fermarsi qua. 
Simon lo guardò confuso prendendo la giacca senza infilarsela. 
- Come lo sai che non ho casa? - tornò a ripetere senza capire il passaggio. 
- Ibra. - ripeté ancora Alessio, infilandosi il giaccone. 
Con questo per lui era chiaro e prendendo il borsone d’allenamento, lo salutò dandogli appuntamento alla sessione mattutina del giorno dopo e se ne andò. 
Simon rimase lì fermo a scrutare la porta che si chiudeva, mentre le figure degli altri compagni si confondevano intorno a lui fino a non vederle nemmeno più. 
“Ibra...” pensò inebetito. “Ma se aveva questa idea per me e questa preoccupazione, perché non me l’ha detto direttamente lui? Non sapeva che i giocatori possono fermarsi a dormire qua anche senza le partite di mezzo, lo doveva chiedere? Certo che lo sapeva, ma se me l’avesse detto lui stesso avrebbe fatto la figura di quello gentile. È proprio un idiota cronico!”
Decidendo di ringraziarlo subito per non abbassarsi al suo livello e fare la parte di quello che si vergognava di mostrarsi umano facendo così l’ingrato, uscito dallo spogliatoio invece di prendere il corridoio che andava al parcheggio, andò verso la palestra dove l’aveva visto dopo la sessione esterna, trascinandosi un poco incline agli approfondimenti Rafael 
Aveva fatto una cosa carina per lui, ma gli voleva dimostrare come si faceva, che non c’era da fare gli sciocchi e nascondere un bel gesto. 
Arrivato alla porta, l’aprì e la musica irruppe come l’altro giorno, ma non c’era già più traccia del giovane portoghese arrivato in estate. Era sicuro di non essersi fermato chissà quanto con Alessio a chiacchierare, ma forse aveva perso la cognizione del tempo e non aveva visto Rafael concludere il suo allenamento con Ibra che ora era solo. 
l’attenzione di Simon si concentrò immediatamente su l’unico rimasto ad allenarsi ancora, il quale era a torso nudo e a testa in giù appeso alle sbarre a fare flessioni addominali. 
Il difensore rimase un istante fermo a guardarlo senza respirare, impressionato ed ammirato da come dopo un allenamento intenso al freddo invernale del nord Italia, riusciva anche a fare un esercizio così faticoso. Ma non era colpito solo da quello.
I suoi occhi azzurri si concentrarono su tutti i cuscinetti dei suoi addominali scolpiti e sotto sforzo. Ogni muscolo era in tensione nel sollevarsi e nel stendersi. 
Il sudore colava lungo la sua pelle ricoperta di tatuaggi e i suo capelli erano di nuovo mezzi disfatti.
Se prima vederlo rifarsi la coda l’aveva turbato, ora quella scena lo paralizzò. 
Fu un momento, un istante nel quale si sentì congelato lì, incapace di muoversi e parlare. 
Non disse nulla, lo osservò fino a che Ibra notò la sua presenza e prendendosi con le mani ai lati delle ginocchia, sulla sbarra che lo teneva appeso a testa in giù, si sciolse scendendo con uno scatto felino che lo ribaltò, riportandolo alla stazione eretta, coi piedi per terra. 
Appena lo vide, Simon sbatté le palpebre e tornò in sé a fatica. 
Si era incantato ad osservare i movimenti del suo corpo prorompente. Ma la cosa che lo turbava davvero era che non gli era mai capitato prima. Non era uno che si perdeva ad ammirare gli altri, non nel modo in cui l’aveva fatto con Ibra, fissando i suoi muscoli. 
L’attaccante gli andò incontro prendendo un asciugamano e dell’acqua, si gettò il telo nero sulla spalla e mentre con una mano si asciugava distrattamente il sudore dal viso, con l’altra si portava la borraccia di plastica alle labbra e bevve senza parlare subito.
Inchiodò per l’ennesima volta gli occhi ai suoi rimettendolo a disagio, ma Simon non diede a vedere nulla. 
Controllandosi alla perfezione fece un cenno di sorriso. 
- Alessio mi ha detto che posso fermarmi a dormire a Milanello finché non trovo casa. Non sapevo si potesse. 
Zlatan capì subito perché glielo diceva e alzando le spalle sminuì la cosa. 
- Non ero sicuro si potesse ancora fare, magari con la nuova gestione era cambiato qualcosa... 
Simon non la bevve, sapeva che era una scusa. 
- Grazie per aver pensato a me. Mi ha fatto piacere. 

Il vago sorriso di prima divenne più accentuato e Zlatan, che non sarebbe arrossito nemmeno sotto tortura, si trovò a pensare che quando sorrideva era ancora più bello. 
“Decisamente un altro genere rispetto al mio solito, ha proprio l’aria di un principe. Ma forse è proprio per questo che sto andando in fissa e me lo voglio sbattere. Perché è diverso.”
Non aveva idea di quanto lo fosse, in realtà. Non sapeva nemmeno di non avere ancora intravisto nemmeno la punta del suo iceberg. 
- Ti fermerai? 
Simon piegò la testa di lato riflettendoci.
- È conveniente. Adesso andrò in albergo a recuperare le mie cose e le porterò qua. Avverto Paolo, naturalmente. 
- Non ci saranno problemi, ma ok. 
- Ho anche appuntamento con qualche agente immobiliare. Ancora non ho le idee chiare su dove voglio prendere, ma per il momento penso di andare in affitto fino almeno a giugno, poi se tutto va bene e rimango verranno anche mia moglie e i bambini e vedremo dove andare.
Zlatan ascoltò con cura i suoi piani e le sue intenzioni, infine gli disse qual era la sua zona. 
Disse solo questo, senza aggiungere ‘magari lì c’è qualcos’altro’ o ‘perché non vieni anche tu lì?’
Simon però annuì memorizzando con cura il dettaglio e Zlatan si irritò nel non capire cosa gli passasse per la testa.
Era sempre così illeggibile. 
- Ho visto che hai parlato e lavorato molto con Alessio... - aggiunse poi quasi casualmente. Non capiva se stava mettendo a disagio Simon in quella maniera, stando davanti a lui a torso nudo, tutto sudato dopo l’allenamento. Non gli piaceva non riuscire a capire nulla di chi aveva davanti. Di solito gli riusciva molto bene. 
- È molto bravo, ci metteremo poco a connetterci. Non devo lavorare molto su di lui, sarà solo questione di capirci. 
Zlatan annuì infastidendosi di come sembrava trovarsi già così bene con lui. 
- È uno dei pochi che non crea problemi qui dentro. 
- In che senso? 
- È una squadra che ha molti problemi in molti reparti, devono tutti migliorare... ma con il giusto esempio e spronati a dovere, possono fare molto meglio di come fanno ora. 
Simon fece un sorrisino ironico divertito. 
- È per questo che sei finito ad allenarti da solo anche se ti eri trascinato Rafael? 
Zlatan ridacchiò alzando il mento in segno si sfida, sfilandosi l’asciugamano dalla spalla lo fece schioccare per terra ai piedi di Simon che non fece una piega e non si mosse, ma accentuò di nuovo quel suo bel sorriso che poteva diventare ancora più bello, più coinvolgente. 
Sarebbe dovuto essere splendido. 
- Il piccolo stronzo è scappato dopo la serie di addominali che gli ho ordinato di fare, quando gli ho detto di provare a fare quelli che stavo facendo, mi ha detto se ero impazzito ed è andato a cercare qualcosa da mangiare. - Simon sembrò divertirsi dal suo racconto personalizzato e Zlatan cercò un modo per farlo ridere, senza sapere perché lo volesse tanto vedere: - Ci vuole tempo per raggiungere questa tempra! - così dicendo si batté il petto possente con una mano finendo poi per stringersi il pettorale come se si auto palpasse con vigore. Simon non rise come lui sperava, ma venne catturato dal gesto e non riuscì a non fissargli il torace vigoroso. 
Zlatan non si perse lo sguardo e compiaciuto di avere il primo segno in suo favore, gli si avvicinò lentamente con quella di andarsene. 
- Pensi che sono nato così? - chiese allargando poi le braccia come per farsi guardare, cavalcando l’onda che aveva intuito doveva aver colpito la sua preda. Simon lo guardò ancora, dalle spalle in giù, passandolo ai raggi X come il giorno prima aveva fatto lui. 
- Ho qualche dubbio. - cercò di buttarla sullo scherzo, ma il tono uscito fu indecifrabile e Zlatan provò l’istinto di toccargli di nuovo il collo. Glielo guardò e faticò a non mettergli le dita sotto il mento, sulla giugulare. Non voleva stringere, né fargli male. Voleva carezzarlo.
Era diventato molto difficile, ormai, non pensare al suo collo. 
- Comunque spesso mi fermo anche io a dormire, perciò magari ci incontriamo finché non trovi casa... 
Lo avvertì come se fosse essenziale, come se fosse vero. Si guardò bene dal specificare che a casa era solo perché Helena e i bambini erano rimasti in Svezia e non lo avevano seguito in Italia.
Era successo anni prima, quando era lì l’altra volta. Aveva passato un periodo strano e aveva avuto bisogno di isolarsi, perciò era venuto lì a Milanello e spesso si era fermato a dormire, come per staccare la spina da casa e da Helena. 
- Non hai una casa? - chiese divertito Simon. Zlatan gli sfilò davanti infilandosi nel corridoio dopo aver chiuso la musica col telecomando che aveva messo insieme all’asciugamano e all’acqua. 
- Troppo grande... - commentò divertito, ironico. Simon finì per ridere compiacendo Zlatan che gli lanciò un’occhiata vittoriosa, come se avesse appena vinto un premio. Il premio, in effetti, era molto bello. Quel sorriso lo era tanto da togliere il fiato. Una volta arrivati ad altezza spogliatoio, Zlatan entrò mentre Simon tirò dritto salutandolo con una leggerezza che fino a quel momento non aveva ancora avuto con lui. Un’altra piccola vittoria. 
“Uno di questi giorni ti trascino dentro, vedrai. E ti sbatto come si deve. E a quel collo, vedrai cosa faccio.”
L’avrebbe visto, uno di quei giorni, di sicuro.