23. BRUCIARSI COL FUOCO
Theo entrò in camera con ancora l’animo in subbuglio, tremava dentro di sé, ma era rimasto forzatamente rigido e zitto. A stento si era trattenuto dal spingere Rafa a sua volta ed insultarlo dicendo di non infilare il naso nei cazzi suoi.
Aveva bisogno di gridare e litigare, ma per miracolo non l’aveva fatto, ma il non sfogarsi nel momento della necessità l’aveva portato ad uno stato di tensione allucinata.
Si sentiva in procinto di esplodere.
Quando entrò in camera in quelle condizioni, vide Sandro seduto nel letto con gli occhi rossi e gonfi di lacrime che aveva appena versato copiosamente.
Appena lo vide, Sandro si asciugò il viso e si alzò di scatto andando verso il terrazzo, ma non aprì la porta scorrevole perché Theo fu più veloce.
Imprecò, lo prese per il braccio e lo girò a forza abbracciandolo prepotentemente e nascondendogli il viso contro il proprio collo, la mano fra i capelli neri.
Inizialmente Sandro rimase rigido, le mani premute sul petto pronto a respingerlo, ma poi poco dopo lo sentì allentare e scivolare sotto le braccia e poi sulla schiena, aggrappato alla sua felpa sulla schiena.
Theo lo sentì ammorbidirsi contro di lui e singhiozzare e mentre lo faceva, sentiva la voglia di aiutarlo e farlo stare meglio sbaragliare quella di spaccare la faccia a Rafa e gridare contro Daniel.
Si rese conto, mentre capiva di non poter sopportare Sandro in quelle condizioni, che non era con Rafa che ce l’aveva. Perché si era intromesso da amico di Daniel ed era del tutto normale la sua reazione.
Era con Daniel, che ce l’aveva. Perché aveva osato non reagire, non correre da lui per gridargli che aveva capito d’aver sbagliato, che invece lo voleva e dovevano tornare insieme.
Perché le cose non erano andate come aveva voluto e sperato. Perché aveva giocato col dannatissimo fuoco, ma la verità era che si era scottato, bruciato, carbonizzato.
Lì, realizzandolo, quel bruciore sotto pelle risalì in superficie facendo piazza pulita di ogni cosa, fino ad uscire dagli occhi sotto forma delle stesse lacrime che ora impregnavano il viso dilaniato di Sandro.
Stavano entrambi male per motivi diversi, ma vivevano un dolore così simile che a quel punto lo pensò senza rifletterci realmente molto.
“Perché non dovremmo unire i nostri drammi di merda? Noi soli contro tutti, ma almeno a sostenerci e aiutarci ad uscirne?”
Unendosi avrebbero curato, sia pure momentaneamente, i rispettivi animi carichi di un dolore terribile.
Theo gli prese il viso fra le mani sollevandolo dal proprio collo, glielo asciugò coi pollici trovandolo splendido.
- Non sopporto quando piangi... - non era successo spesso, ma aveva appena realizzato che non avrebbe mai potuto sopportare le sue lacrime.
Sandro aprì gli occhi confuso e vide che piangeva anche lui, sicuramente per motivi diversi. Da lì pensò nella nebbia totale del suo dolore che poteva aver sentito Daniel che magari gli aveva dato il benservito.
A quel punto la nebbia iniziò a dipanarsi portata via da un vento sempre più forte ed intenso.
Quel vento gli portò il sole e l’azzurro e mentre si allungava verso di lui, cercò le sue labbra e le trovò.
Le prese dolcemente fra le sue e con una cura pazzesca, un sentimento carico e traboccante, intrecciò la lingua alla sua donandogli tutto l’amore che in quel momento nutriva e che era ben felice di volergli dare.
- Ti amo... - sussurrò sulla sua bocca, mentre si staccava per girare il capo e premersi meglio su di lui, avvinghiandosi al suo corpo.
Theo rabbrividì mentre il bruciore divenne calore, un dolce calore tenerissimo.
Sentirsi dire quelle parole, parole che Daniel non gli aveva mai detto in modo normale, ma solo fatto intendere con l’intenzione di aspettare chissà cosa. Sentire il suo amore. Sentire tutto quel sentimento che Sandro non aveva paura a donargli, lo stordì ubriacandolo e aprendo meglio la bocca si fuse a lui senza remore, con la più totale intenzione di vivere qualunque cosa di bello da lì in poi avrebbe potuto trovare.
Perché ne aveva bisogno, Dio, ne aveva così bisogno.
Era così bello essere amato, sentirselo dire, essere voluto, essere al primo posto, avere qualcuno che lottava per te in quel modo, che ti voleva assolutamente.
Era così bello ed intossicante che in quel momento si aggrappò senza rifletterci un solo istante.
Non vide che il proprio telefono suonava. Non vide la chiamata di Daniel. Non gli rispose.
Le mani di Theo gli lasciarono il volto e scesero sotto il mento, gli prese la cerniera della felpa e gliel’abbassarono aprendogliela. Scivolò sotto la stoffa, sulle spalle, scese sulle braccia e gliele percorse accompagnando l’indumento fino ai polsi, da lì cadde giù con un fruscio.
Le labbra e le lingue continuavano ad intrecciarsi fra loro fameliche in un crescendo di passione e desiderio, carico di quell’amore appena dichiarato, appena ricevuto, ebbri di qualcosa di finalmente bello su cui concentrarsi.
Dai polsi scese sulle proprie dita e le intrecciò alzandogliele, con estrema calma e dolcezza che l’altra volta non avevano minimamente usato.
Si erano persi qualcosa, quella sera.
La delicatezza, il piacere di godersi a vicenda.
Forse era la sua seconda scelta, Sandro ne era consapevole. Si stava consolando perché evidentemente con Daniel non era andata come aveva sperato, ma l’avrebbe amato lui al suo posto. Avrebbe fatto per due, anzi, per tre. Avrebbe fatto di tutto per conquistarlo, per tenerlo con sé.
Sandro mise le mani sui suoi fianchi e poi sotto la maglia, trovò la sua pelle sulla schiena e andò sotto l’elastico dei pantaloni. Scese oltre anche quello dei boxer, gli abbassò entrambi che andarono oltre la curva invitante e soda del suo sedere, sotto l’inguine che rimase scoperto. Strisciò poi davanti e gli carezzò l’erezione, prendendogliela e massaggiandola; la sentì crescere nel palmo mentre contro la bocca i primi gemiti lo spinsero a scendere a baciarlo sul collo.
Erano entrambi ricoperti di brividi di piacere.
Febbrile Theo infilò la mano nell’inguine di Sandro, lo spinse contro la porta che dava sul terrazzo; questi si appoggiò lasciando che si occupasse di lui mentre faceva altrettanto fino a perdersi in ogni senso.
Si ritrovò a gemere quando Theo si inginocchiò davanti prendendoglielo in bocca finendo poi per accompagnargli i movimenti della testa contro di sé.
La stanza ora era piena dei suoi gemiti, mentre si sentì vicino all’orgasmo col piacere che cresceva.
- Theo... - sussurrò in un lamento. Non voleva semplicemente venire e non voleva essere bruciato nella sua passione.
Aveva bisogno di goderselo meglio per inciderlo a fuoco nella memoria e non scordarlo mai più, perché sapeva che ognuna delle volte che l’avrebbe fatto sarebbe potuta essere l’ultima.
Perché sapeva che stavano sbagliando e che presto Daniel sarebbe riuscito a riprenderselo, ma fino a quel momento avrebbe lottato strenuamente.
A costo di sbagliare tutto, ogni cosa, fino a perdere qualsiasi cosa.
Lo staccò da sé sollevandolo per le spalle, lo spinse riprendendo possesso della sua bocca; arrivato vicino al letto si separò per finire di spogliarlo con Theo che faceva altrettanto con lui.
Lo fece stendere e una volta che fu adagiato in mezzo al letto, nudo, lo ammirò.
Era splendido, pieno di voglia e di confusione e quegli occhi rossi di lacrime, le stesse che aveva versato lui, chiedevano imploranti solo una cosa.
Di amarlo e riscaldarlo e farlo sentire desiderato e non respinto.
Quando Sandro si stese su Theo iniziando a leccarlo, baciarlo e ricoprirlo di carezze col suo corpo caldo e protettivo, quello partì per un viaggio che lo risanò lentamente.
Forse stava sbagliando tutto per l’ennesima volta. Anzi, sicuramente, ma in quel momento aveva un disperato bisogno di quello.
Di quell’amore, quella dolcezza, quell’adorazione, quel tenero affetto carico di delicatezza.
Sandro lo amò ad ogni bacio, ogni carezza, passando per ogni centimetro del suo corpo.
Non era passione bruciante come l’altra notte, era così adulto il modo in cui lo stava facendo. Così bello.
Si abbandonò totalmente a Sandro e alla sua bocca nella quale l’eccitazione crebbe a dismisura; stava per venire, ma il compagno scese ad occuparsi della sua fessura, alzandogli meglio le gambe che si afferrò contro il petto.
Sandro vi si immerse con la lingua e le dita facendogli continuare quel viaggio sconvolgente pieno di un piacere crescente.
Theo stava per venire di nuovo quando si staccò, si alzò e si chinò sulla sua bocca.
Lo baciò premendosi su di lui mentre gli fece allargare le gambe, si appoggiò con le mani ai lati del suo corpo ed infine, con una spinta decisa, ancora con la bocca sulla sua, entrò.
Theo era di Sandro in quel momento e lo sarebbe stato tutte le volte che l’avrebbero fatto.
Far suo qualcuno era bello, ma con lui stava scoprendo la bellezza dell’essere preso.
La mente venne completamente svuotata, si abbandonò al compagno e a quel piacere che tornò a salire, pieno di brividi ad ogni spinta fino a che culminò in un’esplosione.
Theo si sentì inondare di caldo sperma e non capì se era suo o di Sandro, solo dopo si rese conto che era di entrambi.
Strinse le braccia intorno alla sua testa e cercò la sua bocca che trovò alla cieca, confuso e senza capire nulla.
Rimasero così, avvinghiati stretti, dolcemente insieme, gli occhi chiusi, persi in un piacere di cui avevano avuto disperato bisogno.
Stavano sbagliando tutto e non avrebbero avuto futuro. Dopo l’orgasmo fu una rivelazione lampante, ma non per quello si sarebbero mai potuti privare di qualcosa di tanto bello nel momento in cui avevano necessità.
Il cuore di Sandro batteva impazzito al punto da non riuscire a dormire. Quando realizzò che non ci riusciva, spalancò gli occhi ricordandosi che non avrebbero dovuto.
- La cena! - esclamò nel panico il centrocampista alzandosi di scatto dal petto di Theo su cui si era adagiato spegnendosi sfinito.
Il francese lo riprese e se lo rimise addosso abbracciandolo prepotentemente.
- La saltiamo. - brontolò assonnato.
Sandro, ormai sveglio, cercò di ribellarsi ma notò che le sue braccia erano incredibilmente convincenti mentre se lo stringevano come fosse un orsacchiotto di peluche.
- Ma io ho fame.
- Anche io. Ma adesso non metto piede là sotto. - rispose pigramente Theo rivelando che in realtà era ormai sveglio.
Tentò di alzare la testa rimanendogli steso a pancia in giù addosso, ricoprendolo come una coperta. La stessa che si era tirato su non sapeva nemmeno quando dopo l’orgasmo.
- Faremo gli esiliati a vita? Siamo reietti? - iniziò a fare i conti con quel che stava succedendo, immaginando come li stavano vedendo gli altri, specie gli amici che sapevano di loro.
Sicuramente ora anche Alexis ed Olivier sapevano, oltre a Rafa e Brahim.
Di Brahim non aveva dubbi sul fatto che fosse dalla loro parte, era stato il primo a capire come sarebbero andate le cose e non era uno che patteggiava per Daniel per partito preso, come invece faceva Rafa.
“Partito preso non è nemmeno giusto, Rafa è un suo grande amico, così come Alexis... è normale. Anche io in teoria lo ero... che pezzo di merda che sono...” pensò disperato Sandro.
- Piantala di macinare... - sbottò Theo improvvisamente. Sandro batté gli occhi forzando le braccia del compagno per poterlo guardare.
- Come lo sai?
Theo gli sorrise e fu come balsamo. Iniziò immediatamente a sentirsi meglio.
- Ti conosco. Ti dico io cosa succederà... - Sandro si sistemò meglio appoggiando il gomito vicino alla sua spalla, si sollevò meglio per stare più comodo scendendo parzialmente dal suo corpo caldo e confortevole. Una mano di Theo appoggiata sulle sue natiche, mentre l’altra gli carezzava i capelli sistemandoglieli dietro le orecchie e scoprendogli gli occhi in un gesto estremamente dolce.
- Adesso io e Rafa ci faremo la guerra e litigheremo un po’. Alexis cercherà di farmi tornare con Daniel. Brahim invece sarà la mia spalla fedele, non si schiererà contro di me, ma nemmeno mollerà Rafa, perciò cercherà di fare come la Svizzera.
- Ci serve uno imparziale. - commentò drammatico Sandro che aveva anche lui un’immaginario simile, solo più in negativo. - E gli altri? - chiese poi preoccupato.
- Gli altri... beh, anche Oli non si schiererà. Anzi, lui mi capisce. Ne ha fatte tante come me, anche peggio... a parte che non ho colpa io se quell’altro idiota mi ha lasciato! - Sandro non ne sapeva nulla di Olivier ma si fidava, aveva l’aria di essere incapace di consacrarsi solo ad uno. Tralasciò il resto del commento, non aveva ancora facoltà mentali per riflettere sulle colpe.
- Ante non farà assolutamente nulla, se ne terrà totalmente fuori, mentre Rade proverà a farmi ragionare per farmi tornare con Dani.
Sandro sospirò disperato.
- Insomma, sarò io quello veramente solo contro tutti. Beh, con due neutri, wow!
Theo scoppiò a ridere dandogli di nuovo sollievo e lo maledì per quel suo potere di infondergli luce solo ridendo. Come osava?
- Hai me, no?
Sandro fece il broncio e gli mise una mano sulla faccia per coprirgliela visto che osava essere troppo bello, sfacciato e terribile.
- E i genitori? - chiese realizzando di avere un sacrosanto terrore di Simon e Zlatan.
In effetti non sapeva chi gli faceva più paura fra loro.
- Quelli mancano da un sacco dai radar, so che Zlatan sta male per via di Mihajlovic e Simon a parte questo nuovo infortunio, è occupato con lui. Al momento non sanno nulla e per quando rientrerà sarà tutto a posto. Ibra penso starà un po’ per conto suo prima di tornare in questo manicomio...
Sapevano che il rientro in campo era in teoria previsto verso febbraio, forse avrebbe ricominciato ad allenarsi verso metà gennaio, avevano comunque tempo per sistemare tutto, anche se Sandro non aveva idea di cosa intendesse con ‘sistemare tutto’.
“Mi scaricherà, tornerà con Daniel e tutto tornerà come prima... fanculo, che prospettiva di merda.”
- Guarda che non mi è venuto a cercare, cosa credi, che quello si pieghi anche se capisce d’aver sbagliato? Si è pentito, te lo dico io, ma è troppo orgoglioso. Starà piangendo, starà malissimo, ma non tornerà mai da me strisciando, anche se vorrebbe. Dobbiamo solo far capire a tutti che è finita. Punto. Lentamente tutto tornerà a posto, vedrai.
Ne sembrava sicuro, ma lui sapeva che lo era solo perché al momento aveva appena fatto dello splendido sesso con lui, appena l’effetto orgasmo sarebbe svanito e avrebbe risentito Daniel, perché di sicuro si sarebbe fatto vivo, il casino di prima sarebbe tornato come uno tsunami.
“Piangerò male, molto male. Ma non mollerò.”
Con questo lo baciò suggellando la promessa muta fatta a sé stesso.
Bacio che Theo accolse ben volentieri.
La tensione si tagliava col coltello, il mattino successivo, quando la squadra si riunì per il risveglio muscolare e successivamente per la colazione.
Rafa e Theo non si parlavano e non lo fecero per molto tempo, dando vita ad una spaccatura destinata a peggiorare e andare in metastasi come un cancro.
Al punto che mano a mano che i compagni venivano inevitabilmente a sapere cosa fosse successo, alcuni si schieravano, altri paternalizzavano con discorsi e prediche vari.
Altri ancora stavano imparziali o nemmeno si intromettevano, ma questo diede comunque vita a quello che per anni e con fatica Zlatan e Simon avevano faticosamente cercato di eliminare.
Tornarono i gruppetti e gli schieramenti, il gruppo principale si disgregò e tutto, lentamente, andò via via sempre più peggiorando.
Specie in campo, nella fascia più forte della squadra, la sinistra.
In un paio di partite fu evidente che l’epicentro del terremoto derivava proprio dalla spaccatura fra Rafa e Theo.
Da un paio d’anni non solo erano diventati la coppia d’oro della squadra, portando al successo molte azioni in attacco grazie agli scambi e all’intesa perfetta e ad uno stile di gioco simile e sincrono, ma anche alla loro amicizia e al legame che, essendo simili, era stato facile creare.
Forse il punto era proprio quello.
Proprio perché erano tanto simili, Rafa sapeva meglio di chiunque altro quali erano le sue colpe, in realtà. Ne aveva molte, ma le poteva capire solo lui, forse nemmeno Theo stesso ne era consapevole.
Ma non parlarono, né lì, né poi.
Non parlarono, non chiarirono e invece di cercare di risaldare la spaccatura, si aprì ulteriormente diventando addirittura un’agonia guardarli giocare in campo partita dopo partita, sconfitta - o pareggio - dopo sconfitta.
Due mesi di nero e vuoto che li portò a sprofondare anche psicologicamente, che fece affondare tutti, anche chi non c’entrava con loro.
Una reazione a catena inevitabile che avrebbe potuto aver fine solo con un chiarimento fra loro, ma quel chiarimento né Rafa né Theo era minimamente intenzionato ad averlo.
Per Rafa era evidente la colpa di Theo, per lui era evidente che Rafa non c’entrasse un cazzo. Tutti potevano avere un’opinione e comunque era amico di Daniel, ci stava. Però fargli la guerra fredda in quel modo era fuori luogo e sbagliato, perciò no. Non avrebbe mai fatto lui il primo passo.
Quando Simon tornò in squadra si rese conto in un istante del disastro che stava succedendo, ma ci mise un po’ a risalire all’origine e a capire bene la situazione completa, per fare un piano d’azione e comprendere dove e come agire per sistemare le cose.
Ci mise anche più del necessario per via di un Zlatan non ancora ristabilito emotivamente, che faticava fra l’altro più del previsto a tornare ad allenarsi in campo con gli altri, dando vita a sua volta a malumori e tensioni. Specie per quel discorso tabù che non si poteva sfiorare.
Quello che iniziava con ri e finiva con tiro. Quella parola no, non si poteva nemmeno vagamente pensare, ma Simon sapeva che era quello il problema reale del suo ragazzo.
Perché sì, la perdita improvvisa di un amico l’aveva demoralizzato e colpito molto, ma dopo era andato oltre specie in memoria di un guerriero come Mihajolovic che aveva sempre combattuto per la vita e per i propri obiettivi.
No, Simon lo conosceva bene. Si era ripreso da quello, ma era rimasto giù, scontroso e si era chiuso per ben altro e sapeva perfettamente cos’era.
Purtroppo fra il saperlo ed il riuscire a trovare una soluzione e aiutarlo, c’era un abisso infinito stile Fossa delle Marianne.
Zlatan sapeva, così come sapeva lui, ma non intendeva parlarne, accennarne, ammetterlo.
Era il ritiro, il suo problema. Ritiro che si avvicinava e che sembrava proprio non poterlo fare come aveva sempre sognato, ovvero giocando e vincendo. Perché aveva sbagliato e lo sapevano entrambi anche questo.
“Doveva ritirarsi alla fine dell’anno scorso, aveva giocato le ultime partite, era stato determinante negli spogliatoi per la vittoria dello scudetto, era stato il vero capitano, avevamo vinto il campionato. Doveva ritirarsi là. Ma ne ha avuto paura, ha fatto di testa sua ed ora eccolo qua. Non riesce a recuperare come pensava, c’è da mettere in preventivo che non riesca a tornare a giocare per nulla nonostante tutto e che alla fine sarà costretto a ritirarsi. Che bel finale, eh?”
Simon lo capiva, ma non glielo poteva dire. Si limitava a stargli vicino e lo fece per tutto il tempo necessario. Tempo che corse lungo i giorni, le settimane ed i mesi fino a maggio, al giorno della sua resa, quella più commovente che avesse mai vissuto.
Era preso dal consorte, Genitore Due, oltre che dal proprio infortunio incorso al mondiale, dovuto anche ad una forma fisica non ineccepibile con la quale si era sforzato nonostante avesse dovuto evitarlo. Perciò nonostante il suo ritorno in panchina, si era reso conto d’aver perso il posto da titolare e dovette affrontare in concomitanza a Zlatan ed agli evidenti problemi abnormi del gruppo, anche i propri.
Realizzò infatti di essere a rischio ma non solo nelle considerazioni del mister che poteva non vederlo più come titolare, ma anche a conti fatti.
Forse, in effetti, ciò che aveva ormai perso fisicamente dopo quel durissimo e lungo infortunio, non l’avrebbe più recuperato. Del resto l’età era quella che era e c’era da mettere in preventivo anche quello. Avrebbe lentamente perso sempre più forma, ma era già ora di arrendersi all’inevitabile sconfitta o era presto e doveva continuare a combattere per sé stesso, per tornare in forma e riconquistare la titolarità?
Fu lì, per colpa di questo insieme di problemi non leggeri che inevitabilmente trascurò i suoi ‘figli’, contribuendo così indirettamente a quella voragine che per due lunghi mesi non ci fu verso per nessuno di risaldare. Fino a quando Simon decise di tornare a salire in cattedra a forza per dimostrare cos’era un vero capitano.