24. GENITORE UNO
Non avrebbe mai pensato che le braccia di Alexis sarebbero potute essere di nuovo così confortevoli.
Daniel, seduto accanto a lui sul suo divano, ebbe un violento flashback di come in una situazione estremamente simile solo due anni prima si era sciolto in lacrime proprio lì in quello stesso posto, sempre fra le sue braccia.
Quella volta, però, aveva finito per fare un gran bel casino e baciarlo, confuso dalla sua dolcezza che l’aveva destabilizzato fino a desiderare che Theo e Alexis si fondessero in un’unico essere.
Alla fine, però, dopo aver provato entrambi per capire di chi fosse innamorato, aveva capito che quello che provava quando era con Theo, non l’avrebbe mai provato con Alexis. Così si erano lasciati prima ancora di mettersi realmente insieme e dopo molta fatica e sofferenza da parte di Alexis, erano tornati amici.
Ci era voluto Olivier per rimettere realmente le cose a posto fra loro, perché solo con lui ed il desiderio innescato dal francese, era poi riuscito a tornare veramente amico di Daniel.
Daniel lo benedì, in quel momento, mentre il suo braccio lo teneva a sé dolcemente baciandogli la testa spettinata.
Le lacrime scendevano copiose.
Ci aveva messo molto a smettere di piangersi addosso e a trovare il coraggi di tornare a Milano, ma quando l’aveva fatto aveva deviato verso casa di Alexis realizzando che non era ancora pronto ad affrontare Theo, convinto ormai d’averlo perso grazie al brutale aggiornamento impietoso di Rafa.
‘Theo e Sandro stanno insieme’.
Nient’altro.
Un tentativo di farlo reagire, in realtà, ma alla fin fine solo un ulteriore affondo che gli aveva tolto le forze e la voglia di qualunque cosa.
Aveva sbagliato tutto ed era ormai convinto di non poter fare nulla.
Appena l’aveva rivisto era scoppiato in lacrime e gli si era appeso al collo, Alexis dolcemente l’aveva preso sotto braccio e l’aveva condotto nel suo divano, gli si era seduto accanto ed aveva continuato a tenerlo con sé consolandolo senza dire nulla per un bel po’.
- Non stanno proprio insieme. Rafa ha reagito male, ma ti vuole bene. È duro però vuole scuoterti.
Daniel tirò su col naso cercando di smettere di piangere per capire cosa cercava di dirgli. Alexis si allungò verso la mensola dietro il divano e prese un cleenex dalla scatola e glielo porse. Daniel lo usò per soffiarsi il naso, così l’amico gliene prese un secondo e lo usò sugli occhi, poi prese un respiro profondo e ricominciò.
- Cosa?
Non che fosse tanto articolato il suo ‘ricominciare’.
- Theo e Sandro non stanno proprio insieme, è più complicato di così. Ho parlato con entrambi, ma dovresti parlarci anche tu. Separatamente. - Daniel si girò meglio verso di lui fissandolo torvo, concentrato, per capire bene tutte le sue parole. Lo intimò a proseguire con un cenno del capo e Alexis pensò bene a come esprimersi per essere chiaro, convincente e soprattutto per aiutarlo realmente.
Su una cosa non aveva dubbi, non potevano mollare così. Daniel e Theo erano destinati. A partire dalla passione di Theo per Paolo, che lui vedeva come destino.
- Sandro non aveva cattive intenzioni, non voleva intromettersi. Ha capito che gli piaceva Theo da un po’, però non si sarebbe mai messo in mezzo. Purtroppo quando Theo l’ha usato per vendicarsi di te ha deciso di provare a prendersi ciò che voleva, ma non puoi fargliene una colpa. Dani, lo ama tantissimo... - non voleva essere l’avvocato di Sandro, ma gli si era spezzato il cuore quando gli aveva pianto addosso nel tentativo di spiegare cosa era successo. Lì aveva capito, perché Alexis capiva sempre tutti. Era empatico, per lui era facile riuscirci.
Daniel chiuse gli occhi, prese un respiro profondo ed annuì allungandosi sul tavolino a prendere il bicchiere d’acqua fresca che era andato a recuperare l’amico dopo averlo mollato sul divano. Non l’aveva ancora toccato, ma ora bevve una lunga sorsata che l’aiutò a tornare lentamente in sé.
Come se gli ingranaggi venissero di nuovo messi in moto. Erano arrugginiti, ma bastava oleari un po’ e tutto ripartiva.
L’intera macchina stava tornando in movimento, Daniel lo sentiva.
- Non ce l’ho realmente con lui, lo capisco. Mi ha chiamato subito, è stato lui quello onesto. Mi ha subito detto che non voleva mettersi in mezzo ma che per colpa della mia insicurezza ed indecisione ora non intendeva più farsi da parte e soffrire. So che se non fosse stato Theo ad andare da lui non l’avrebbe fatto. Lo ama, me l’ha detto piangendo.
Era emotivo anche Sandro, oltre che onesto. Entrambi lo capivano aiutati dal fatto che lo conoscevano bene.
- All’inizio è stata dura accettarlo, ho pianto un sacco, sono stato di merda perché era mio amico e non mi ha mai detto nulla, si è chiuso, si è ritirato per non fare un casino e alla fine... beh, non è colpa sua. Se fossi al suo posto avrei fatto lo stesso. Arrivato a questo punto cercherei di tenermi chi amo, ormai. Io e Theo ci lasciamo di continuo, abbiamo sempre avuto problemi e se c’è una possibilità di litigare noi la cogliamo sempre.
Alexis aveva l’impressione che Daniel più che a lui, stesse parlando a sé stesso per schiarirsi le idee ed iniziare successivamente, finalmente, a prendere in mano le cose. La sua vita.
Era rimasto sospeso per mesi senza dire o fare nulla, ritirato nel suo dolore, nella sua nuova casa, incapace di far funzionare il progetto che aveva tanto voluto.
Adesso che non gli importava più nemmeno del calcio e che stava per perdere anche quello, capiva che era ora di fare qualcosa, anche se non sapeva cosa.
Aveva iniziato piangendogli addosso, ma sicuramente parlarne era utile e catartico.
Ma era solo un punto di partenza, Alexis lo sapeva. Serviva qualcuno in grado di spronarlo e si chiese se Rafa sarebbe potuto essere più utile, in quel caso.
Per un momento pensò di scrivergli, ma poi mentre Daniel si alzava a prendersi altra acqua in cucina da solo, capì che forse un altro sarebbe potuto essere più indicato.
- Che ti ha detto Theo invece? Rafa dice che stanno insieme, in che senso non sono proprio una coppia?
Daniel tornò alla carica con più decisione, stile mastino. Alexis fece un sorrisino fra sé e sé, contento di rivedere il suo vecchio amico battagliero, quello che aveva scelto il ruolo d’attaccante in una famiglia di difensori storici.
- Theo voleva davvero solo spingerti a tornare da lui, era convinto che andando con Sandro ti avrebbe dimostrato che avevi torto, che non ti sarebbe stato bene che voltasse pagina e che gli avresti chiesto di tornare insieme. Avrebbe accettato subito. Era veramente convinto di questo piano di merda, infatti ha aspettato un bel po’ prima di accettare la corte di Sandro e consolarsi con lui.
Perfino lui capiva che era stato un piano di merda. Daniel inarcò un sopracciglio scettico.
- Lo so che ne era convinto, ma anche io ero convinto che invece con Sandro avrebbe potuto voltare pagina, perché è perfetto per lui, molto più di me. Infatti... - stava per dire ‘adesso stanno insieme come avevo previsto’, ma poi avrebbe dovuto rispondere ad una domanda peggiore.
“Ho ottenuto quello che volevo, di cosa mi lamento?”
- Alla fine però aveva ragione anche lui... in realtà avevate ragione entrambi. Non ti sta veramente bene che volti pagina, no? - fece Alexis, piano, delicatamente.
Daniel sospirò e appoggiò la nuca al divano dietro di sé, confuso. La testa gli esplodeva. Si prese il bicchier di acqua di nuovo pieno e se lo mise sulla tempia, chiuse gli occhi perdendo di nuovo lo spirito battagliero vagamente ritrovato.
- Non lo so. Non so più niente. Sono confuso. Sì, razionalmente volevo che voltasse pagina e che fosse felice, merita qualcuno che lo ami senza paura, che sappia renderlo felice e Sandro è quella persona. Con lui starebbe molto meglio. Volevo che stesse bene. Ma al contempo... - strinse gli occhi e abbassò il bicchiere sul ginocchio tirando su col naso, di nuovo la voglia di piangere, di nuovo gli occhi che gli bruciavano.
- Al contempo non vuoi che sia felice con un altro, perché vuoi che lo sia con te, no?
La sua voce lo disse al suo posto come se gli leggesse nell’animo. Daniel sospirò abbassando le spalle in tensione. Era proprio così.
- Sono solo un egoista di merda, devo proseguire per il piano lucido e pragmatico che ho iniziato per il suo bene. Amo Theo e proprio per questo devo renderlo felice, ma con me non lo sarà mai. Ci distraiamo a vicenda dalle questioni importanti, non arriviamo da nessuna parte.
- Ma ci sei anche tu... - disse Alexis. Gli girò il viso prendendogli il mento fra le dita, a quel punto Daniel sollevò la nuca e lo guardò forzatamente, ma lì si rese conto d’averlo perso.
Gli ingranaggi arrugginiti erano tornati a fermarsi, non si erano mossi molto. Si era tornato a chiudere e abbattersi.
- Io sono solo un disastro di insicurezza, non merito Theo e soprattutto Theo non merita me. Sandro è un guerriero dalle idee chiare, è lui che lo merita. Lotta per lui e lo può rendere felice. Stanno bene, insieme, vero?
Alexis pensava sinceramente che fosse vero, ma non aveva importanza.
- Ma non stanno proprio insieme, Sandro lo corteggia e Theo si consola con lui, quello non è stare insieme. Quello è aspettare il tuo ritorno, credimi.
Daniel sospirò confuso e stanco, vuoto e perso. Non sapeva più che dire e così Alexis proseguì dolcemente, carezzandogli il braccio e la spalla.
- Dani, tu non ne uscirai, se fai così... stai perdendo di vista anche il calcio, so che va male e non è da te, sappiamo tutti che enorme talento che hai, adesso guardi il campo col binocolo, ma sei allo Spezia, com’è possibile non trovare posto per uno con un talento come il tuo?
Provò a stimolarlo con dolcezza, ma Daniel si strinse nelle spalle girando il capo, riappoggiò all’indietro e fissò il soffitto, perso, vuoto, disinteressato.
- Non importa più. Forse tutti mi hanno sopravvalutato, io stesso per primo. Anzi, mio padre. Mi spiace solo averlo deluso così tanto. Non sono nulla, non merito nulla.
Alexis a quel punto, nella disperazione più totale, guardò il telefono che vibrava e leggendo il messaggio si rianimò con speranza.
Si alzò, andò alla porta ed aprì con aria di gratitudine, annuendo in silenzio ed indicandogli che era in salotto.
Quando Daniel mosse lo sguardo e vide Zlatan alto e con la sua solita presenza fisica imponente, serio e con l’aria di rimprovero, gli occhi gli tornarono a bagnarsi traditori mentre un enorme carico di vergogna lo colpì come un pugno atroce allo stomaco.
Aveva deluso il suo secondo padre, ecco una delle cose da cui non si sarebbe più rialzato.
Daniel girò istintivamente la testa dall’altra parte cercando di nascondere le lacrime, se le asciugò rabbioso con la mano sperando che non si notassero, maledì tutto e tutti in uno scatto non solo di vergogna ma anche di ribellione.
Perché dovevano tutti mettersi d’accordo per farlo sentire un’autentica merda?
Perché?
“No, lui no... lui non lo posso affrontare, cazzo. Non posso.”
- Vi lascio soli, vado in terrazza a fare una telefonata... state quanto volete. E grazie di essere venuto. - sussurrò Alexis con un sorriso di gratitudine a Zlatan il quale non distoglieva lo sguardo dal giovane seduto sul divano.
Zlatan annuì senza dire nulla, così Alexis andò lasciandoli soli.
Non stava meglio, per la verità.
Forse un po’.
Zlatan era ancora un subbuglio interiore da cui stava faticosamente uscendo e non era sicuro di volerlo fare, di voler tornare al mondo, né alla sua seconda famiglia, tanto meno alla prima.
Ma Simon si stava dando molto da fare per aiutarlo a rimettersi in piedi ed in memoria dei suoi sforzi, fatti proprio in un momento delicato anche per lui per il posto in squadra che faticava a riavere dopo tutto quel che aveva fatto per il mister e per quel gruppo, capiva che era ora che anche lui facesse la sua parte in quella storia.
Per Simon.
Così quando Alexis gli aveva detto che c’era Daniel da lui e che era in crisi colossale e aveva bisogno di uno abilitato a calci in culo, aveva avuto il primo istinto di non rispondergli.
Non era ancora rientrato a pieno regime in squadra, era tornato ad allenarsi a Milanello, ma ancora da solo e a parte. Prima di tornare in gruppo ci sarebbe voluto un po’ e non era sicuro delle tempistiche, perciò era nella fase d’incertezza. Non sapeva se rimettersi realmente in piedi o se rimanere chiuso nel suo malumore.
Alla fine, però, aveva deciso di andare.
Daniel era più di tutti gli altri come un figlio per lui.
Quando aveva giocato al Milan ai tempi, fra il 2010 ed il 2012, l’aveva visto nei pulcini e l’aveva subito riconosciuto come il figlio di Paolo. Aveva gli stessi identici occhi.
Non aveva avuto reali interazioni, ma quando era tornato lì e se l’era ritrovato in squadra un anno dopo, si era come sentito catapultato in una specie di multiverso, qualunque cosa significasse.
Aveva avuto un impatto strano, con quel ragazzo. Era come se vedesse qualcosa in più su di lui rispetto a quel che vedeva in tutti gli altri.
Strano, sconvolgente.
Si era legato al punto da sentirsi veramente un suo secondo padre. Era legato a tutta la squadra, grazie ad un ruolo di guida che assolveva molto bene. Li considerava la sua seconda famiglia, non solo per gioco, ma con lui era diverso. Con lui c’era qualcosa in più.
Così era venuto, non sapendo niente di quel che gli stava capitando a livello personale, ma solo calcisticamente.
Si era informato ogni tanto su come andava, gli aveva anche scritto qualche volta, lui non aveva mai detto molto, vergognandosi forse del fatto che le cose non andassero come avevano sperato. Era stato lui a spingerlo ad andare via in prestito per giocare e avviarsi ed ora non giocava e non era minimamente avviato.
Era presto per arrendersi, ma sembrava che avesse già buttato la spugna.
Zlatan in quel momento, ritto su due piedi come una statua, serio e concentrato, pensò che fosse lì il nodo del problema.
Il calcio e la sua resa.
Non aveva idea di quante altre cose ci fossero nel mezzo, ma presto l’avrebbe saputo.
Daniel non riusciva a guardarlo, ma quando lo percepì sedersi nel divano ad una distanza media rivolto verso di lui, con un braccio sullo schienale fra di loro per guardarlo meglio, gli venne il cuore in gola.
A quel punto capì che avrebbe atteso anche tutto il giorno in silenzio in attesa di sapere tutto, e con tutto intendeva tutto, sicuramente.
Non pensava che con i problemi che aveva gli potessero interessare i suoi e comunque si rese conto che non sapeva niente di Theo perché dubitava che qualcuno gli avesse spifferato qualcosa o per lo meno sperava. Pensò di lasciare le cose così.
“Forse me la cavo, se sono abile con le parole.”
Ma quando voltò il capo verso di lui, dopo un enorme sospiro, ed i suoi occhi azzurri si incrociarono coi suoi castano scuro, il cuore tornò a tremare, così come il proprio sguardo tornò lucido per l’ennesima volta.
“Merda!” pensò, lì ormai era già troppo tardi. Zlatan aveva appena capito ogni cosa, ma non gli avrebbe facilitato il compito anticipandolo.
Oltretutto non era sicuro avesse davvero tempo per quelle stronzate, aveva questioni più serie da affrontare, come il suo recupero per un finale di carriera degno di quel nome.
- Non voglio annoiarti, non serve che tu mi dia calci da nessuna parte. È solo un momento, passerà. È normale, no?
Sperava lo fosse, ma non ne era sicuro.
- Non lo so, dimmelo tu. È normale? - gli rigirò calmo la questione e a quel punto capì che non se la sarebbe cavata facilmente.
Daniel distolse lo sguardo da lui, prese un respiro profondo e alzando gli occhi in alto si prese le mani e se le torse nervoso mordendosi l’interno della bocca fin quasi a strapparsi la pelle.
Il nervoso nel dover spiegare ed esprimere qualcosa che non aveva ancora dovuto dire a voce ad anima viva perché già tutti sapevano ogni cosa, era diverso.
A Rafa aveva dovuto raccontare qualcosa, ma molto già lo sapeva.
- Io... - fece a quel punto sentendosi in un confessionale a parlare con Dio in persona davvero. Nemmeno un prete, Dio direttamente. Colpa di Zlatan che si chiamava sempre così. - non so da dove iniziare. - ammise infine, ma notò che la voce non gli tremava più, era solo estremamente giù.
- Comincia da dove ci siamo lasciati. - disse sempre calmo Zlatan.
- Non credo ti interessi davvero tutto questo, chissà quante cose hai per la testa, so che non sei stato bene e... - provò a deragliare, ma Zlatan gli mise la manona sulla testa bloccandolo e questo lo tramortì emotivamente, terrorizzandolo. Sapeva che non gli avrebbe fatto male, ma quella mano sulla testa funse da valvola di coraggio, in qualche modo.
Così come se prendesse coraggio direttamente da lui, cominciò da quel giorno di Maggio, quando in ospedale gli aveva chiesto un consiglio così importante da aiutarlo a prendere la propria vita in mano ed iniziare a cambiarla.
Zlatan ascoltò con attenzione senza mai interromperlo né muoversi e mentre lui parlava, dopo un inizio difficile, lo trovò via via sempre più facile se non addirittura catartico.
Era vero, non ne aveva mai realmente parlato da cima a fondo a nessuno.
Dover spiegare la sua situazione nella propria interezza fu strano, ma assolutamente utile.
Era come se nel dover fare ordine per spiegarlo a qualcuno, lo facesse anche in sé stesso. Non si era accorto di aver tutto quel caos nella testa, mentre aveva vissuto a centottanta all’ora la propria vita, fermandosi al massimo a piangersi addosso; non l’aveva mai guardata da lontano, con occhio distaccato, per capire cosa diavolo fosse successo realmente.
Ora che lo stava facendo, vedeva. Vedeva tutto molto bene e mentre la propria voce usciva dalla bocca esprimendo concetti chiari e semplici, vedeva quanto per la verità era ovvio quel che andava fatto.
Forse perché stava spiegando delle stupidissime questioni sentimentali che avevano minato il suo percorso calcistico ad uno che quel percorso stava cercando di riprenderlo disperatamente in mano, dando fondo ad ogni coraggio, forza, volontà. Qualunque cosa Zlatan aveva in sé e anche ciò che non aveva, stava cercando di usarla per poter tornare in campo gli ultimi mesi della sua ultima stagione. Prima del suo ultimo giorno. Perché tutti lo sapevano che sarebbe stata quella. Non serviva dirlo, nessuno ne aveva bisogno.
Era così.
Voleva farla giocando almeno un po’.
E lui ora stava lì a dirgli che per colpa di problemi sentimentali con Theo, Theo che sapeva perfettamente di amare, stava mandando a puttane una carriera che non riusciva nemmeno ad iniziare, mentre lui al contrario non riusciva a finirla.
Serviva coraggio per entrambe le cose, molto coraggio.
Ma sicuramente per Zlatan era peggio.
Daniel lo pensò distintamente e lo capì profondamente, mentre gli spiegava tutto. e si sentiva davvero stupido.
Ma alla fine, senza che Zlatan avesse avuto bisogno di dirgli nulla, si voltò verso di lui e guardandolo in viso, di nuovo negli occhi ma senza codardia e voglia di scappare, disse piano e sicuro: - Ma al diavolo, sono io quello che ha fatto un casino gettandolo nelle braccia della persona sbagliata ed ora io rimedierò. A tutti i costi. E tornerò ad allenarmi con voglia e convinzione dimostrando che sono un guerriero, al contrario di quel che pensa il mister. E per ogni minuto che mi concederà, gli farò vedere che merito il campo, anche se lui non vorrà mai darmelo, io comunque il mio lo farò.
Zlatan alla fine sorrise soddisfatto, meravigliato di come in realtà avesse fatto tutto da solo.
Sapeva che la sua sola presenza l’aveva aiutato ed era stato così anche l’anno scorso, quando avevano vinto lo scudetto. Non aveva dato grandi contributi in campo, ma fuori, negli spogliatoi, negli allenamenti, ovunque al di fuori delle partite ufficiali, lui c’era sempre stato e li aveva guidati e forse più di ogni altro discorso e sprone effettivo, era stato quello che li aveva ispirati.
Ed ora, tramite un Daniel di nuovo vivo e vegeto e col suo coraggio di sempre, quello che gli aveva fatto scegliere l’attacco invece che la difesa, si rendeva conto di quanto importante fosse anche quello.
Ispirare le nuove generazioni era il suo nuovo percorso.
“Forse non tornerò in campo, c’è la possibilità che non ci riesca. Ma ci proverò comunque ed in ogni caso non è meno importante questo. Esserci per ispirarli e dargli la forza che gli serve per fare ciò che vorrei fare io con tutto me stesso. Ma attraverso loro che lo fanno grazie anche un po’ a me ed al coraggio che gli do con la mia presenza, sarà come se sarò di nuovo sceso in campo anche io. Tramite loro giocherò anche io ogni volta.”
Gli rimise così la mano sulla testa, spettinandolo, strinse leggermente e gli sorrise incoraggiante.
- Sai già cosa fare, allora va e non deludermi.
No, perché Daniel se ne rese conto lì in quello scambio di sguardi quasi solenne in qualche modo. Nella sua vita avrebbe potuto sopportare e superare tutto tranne che deludere le persone che considerava le sue guide. Fra cui suo padre, quello vero, ed ora lui, Zlatan, il padre in seconda.
- Non ti deluderò.
Non l’avrebbe fatto.
Note: le foto del bannerino sono entrambe del periodo di cui scrivo nella fic, (tranne quella di Dani da solo che è del Monza) ovvero quando Daniel quasi a fine stagione andò a trovare i suoi compagni allo stadio durante una partita, lui era un periodo che non giocava per infortunio e così aveva approfittato per andare a trovare i suoi vecchi colleghi. Lì in particolare se lo sono spupazzato Zlatan ed Alexis (oltre a tutti gli altri) e le foto prese sono proprio da quel momento. In quel periodo Zlatan e Simon stavano entrambi passando dei momenti chiaramente complicati, come scritto nel capitolo, ed ho voluto intrecciarli con la mia fic. Ritengo che il ruolo che in quel momento Zlatan avesse nella squadra fosse realmente questo, una sorta di guida che teneva unito il gruppo e lo ispirava. Grazie a chi legge la fic e scusate ogni tanto dei ritardi. Buona lettura. Baci Akane