*La breve vacanza di Jacoby e Jerry continua su per la montagna. E poi giù. Buona lettura. Baci Akane*
113. UN SEGUITO ALLA JACOBY SHADDIX!
Luna di miele... gli faccio una foto, poi mi siedo e tiro fuori un quadrato di cioccolata dalla tasca che gli do, la prende volentieri e stiamo qua a guardare questo pezzo di paesaggio molto bello, degli alberi si srotolano mentre la pendenza sale.
- È strano camminare io e te così, vero? - Dice poi dopo aver rifiatato. Annuisco.
- Di solito facciamo altre cose che riguardano la nostra attività. - Alza le spalle.
- Anche se visitiamo le città, sono appunto delle visite. Non abbiamo mai fatto scampagnate così e poi mai io e te da soli senza dover tenere d’occhio l’ora per qualche impegno. - Rende l’idea.
- Per questo siamo in luna di miele, no? - Gli ricordo spingendolo con la spalla, lui ride ed annuisce sempre luminoso e felice. Ride con tutto il viso, compresi gli occhi. Ogni volta che ride, lo guardo perché ricordo come lo faceva quando era morto dentro. Sorrisi grotteschi. Che belli quelli di ora.
Ricambia la spinta e poi lo circondo con il braccio, si accoccola contro di me, proprio come un labrador che cerca amore. Stiamo un po’ così, magicamente in silenzio e nessuno si sente a disagio, anzi.
- Sai, quando si vive il proprio sogno non senti mai la necessità di fermarti, soprattutto quando lo fai nel modo giusto, come lo facciamo noi ora. Però poi ad un certo punto ti manca qualcosa, forse è nella natura umana. - Lo guardo di lato sorpreso che dica questo.
- Cosa ti manca? - Chiedo un po’ in ansia ogni volta che se ne esce con cose del genere. Che le condivida però è positivo, una volta se le sarebbe tenuto.
- Il tempo libero. Anzi, il tempo di fare quel cazzo che voglio senza dovermi ricordare di qualcosa. Essere chi cazzo voglio per quanto cazzo voglio. Nelle pause a casa non sono me stesso, c’è sempre qualcosa che devo ricordare di essere, di fare o di non dire. Sto bene coi miei figli, lo giuro, ed è bellissimo. Però sai... sono un padre. Ricopro un ruolo preciso, ho dei doveri, delle responsabilità, cose che devo e che non posso fare... con la band sono molto libero, ora, però siamo sempre pieni di impegni e di gente intorno a cui dobbiamo fare attenzione. E poi amo i fan, sul serio, ma devi ricoprire un ruolo anche con loro, anche se sei te stesso, non lo sei al cento percento. Devi essere carico, forte, felice, una guida. -
Allora glielo chiedo guardandolo da sopra la testa che appoggia a me.
- E quando ti senti te stesso, libero completamente? - ma la risposta la conosco. Lui solleva il capo rimanendo appoggiato a me, mi guarda con un sorriso limpido e, appunto, libero.
- Con te. Ora. Avevo un disperato bisogno di questo. Stare con te al di là del lavoro e della famiglia. Solo io e te senza impegni per un po’. A fare tutto quel cazzo che vogliamo. Questo mi mancava ed ora che ce l’ho sono felice di essere venuto. - mi sento molto meglio sentendoglielo dire e sebbene forse sarò sempre un po’ apprensivo con lui, è bello vedere poi che va tutto bene.
Riempio la piccola distanza che rimaneva e lo bacio, lui si abbandona alle mie labbra, dolcemente le schiude e mi regala il suo calore che faccio mio. Un bacio umido e caldo che sa di cioccolata.
Possiamo essere schifosamente romantici, cosa che a lui poi viene davvero bene visto quanto è sentimentale. Ma mi piace, mi piace anche questo. Non voglio niente di diverso, ora.
Riprendiamo a camminare e la fatica gli impedisce di riempire tutto il tempo con parole, è concentrato a respirare e a non morire.
In realtà lui fa movimento e ginnastica, ma preferisce la palestra e la corsa sul piano dritto, magari la bici, adora la bici, cosa che io per esempio odio. Così come odio correre, anche se stabilisci un chilometraggio ed è appunto tutto dritto.
Preferisco camminare, anche in salita e per ore, ma mi sto godendo uno splendido paesaggio.
Per lui è un altro discorso perché è iperattivo, quindi deve fare tante cose nell’arco della giornata.
Prendi una mattina: in quella mattina io riesco benissimo a farmi solo questa camminata tranquilla. Una cosa. Lui no, lui deve fare almeno 3 cose, perciò quando inizia una pensa subito all’altra e così vuole farla in fretta ed è tutto elettrico ed eccitato.
Perciò lui non è abituato a camminare in salita, sulla neve poi. Ok che c’è il sentiero, ma è diverso. Ansima come un toro e sta zitto, è strano fare questa cosa con lui: è una cosa fuori dal nostro solito e soprattutto in totale silenzio.
Però è bello anche questo.
- Quando riesci a stare bene con qualcuno in silenzio significa che hai il rapporto perfetto! - Dico seguendo questo pensiero, quando mi giro perché improvvisamente non ansima più disperato, non lo vedo alla mia altezza, così mi giro e me lo ritrovo a terra un bel po’ indietro e mi aggrotto piegando la testa di lato, senza capire quando sia caduto e perché non abbia chiamato.
- JACOBY! - Lo chiamo interdetto. Lui alza le braccia da terra e fa cenno di essere vivo, così ridendo torno indietro e mi chino sopra la sua testa, lo guardo piegato sulle ginocchia e lui fa una smorfia seccata, ha le guance rossissime come il naso, gli occhi spiccano incredibilmente, un po’ è la neve tutt’intorno, un po’ il rosso della sua pelle.
Ridendo gli prendo il bordo della cuffia e della sciarpa, li tiro entrambi e li unisco sopra la sua faccia coprendogliela del tutto, poi semplicemente mi alzo e riprendo a camminare.
- Avanti, smettila di poltrire, sfaticato! Non manca tanto secondo i miei calcoli! - ho un buon orientamento, a parte che poi basta seguire il sentiero spalato e non puoi perderti. Avevo calcolato un paio d’ore per arrivare, ormai ci siamo. Il calcolo ovviamente l’ho fatto sulla base della sua camminata lenta.
Qualche secondo dopo vengo investito da una valanga di neve, Jacoby mi ha tirato non una palla ma una bomba, perché lui non sa fare le cose controllandosi, perciò quando si gioca a tirarsi palle di neve, lui ti tira le bombe.
Perdo l’equilibrio ma riesco a rimanere in piedi, mi giro corrucciato e mi arriva una seconda bomba in piena faccia, così finisco per cadere del tutto pancia e piedi all’aria. La sua risata risuona con un ululato di vittoria in stile Peter Pan. In effetti anche quello è un paragone azzeccato. Mi alzo a sedere prendendo velocissimo un po’ di neve e mentre gliela lancio sul faccione che strilla come un idiota, sbotto divertito:
- A CUCCIA COBY! - Lo prendo di sorpresa e finisce che praticamente se la mangia, ma la mia palla era piccola e non dà molto fastidio. Nonostante questo lui prende la rincorsa, si butta su di me come se fossimo al mare, mi romperebbe qualche costola se non fossi imbottito più di un astronauta. Poi comincia a buttarmi la neve addosso come si fa con la sabbia, me la mette a manciate ovunque e visto che ho l’insana e sgradevole sensazione di morire, rotolo e cerco di scappare, striscio via ma lui mi prende per le gambe e mi tira, allora gli do un calcio facendolo finire giù e prima che reagisca mi metto sulle ginocchia ed inizio e spingerlo di lato facendolo letteralmente rotolare come un tappeto giù per la fiancata che abbiamo appena risalito con molta fatica.
Ok, pensavo che ad un certo punto si fermasse, ma non si ferma, anzi, prende velocità e vedendo che potrebbe sbattere contro alberi o pietre che creano delle cunette pericolose, e che probabilmente se non viene fermato in modo doloroso finisce giù a valle, imprecando non mi resta che sedermi bene sulla neve e scivolare giù come si fa con le slitte.
Una cosa che tutti i bambini hanno sempre fatto.
So che sto andando a soccorrere un idiota, ma la scivolata prende velocità sulla sua scia ed è maledettamente divertente.
Ridendo, in pochi secondi, lo raggiungo e lo afferro prontamente cercando di fare perno con i piedi da qualche parte.
Il perno lo trovo, una di quelle cunette che, come sospettavo, nascondono massi.
Però invece di fermarmi, mi rivolto e continuiamo a rotolare insieme.
- MERDA! - Esclamo realizzando che così potremmo davvero finire a valle.
Rotolando lo prendo come un koala per impedirgli di farsi male, mentre lui fa la stessa cosa per impedire a me la stessa cosa, e mentre ci gridiamo un ‘SEI UN IMBECILLE’ in perfetta sincronia, la corsa si arresta contro un albero che per fortuna ci colpisce, o meglio noi colpiamo lui, con il suo enorme e morbido sedere.
Finalmente ci fermiamo e smettiamo di rotolare e scivolare giù.
Rimaniamo fermi un istante senza respirare, gli occhi chiusi, ancora stretti uno all’altro, stesi e storti. Cerchiamo di capire se siamo vivi e dopo che constatiamo che respiriamo, muovo le mani alla cieca alla ricerca della sua faccia, quando sento che ride apro gli occhi e lo guardo incredulo.
Ed invece sì, lui è qua davanti a me, abbarbicato che ride sinceramente divertito.
- LO RIFACCIAMO?! - Così finisce che la preoccupazione per aver fatto un guaio ed averlo ucciso passa, scuoto la testa e sospiro sollevato rilassando tutto il corpo che sciolgo dal suo. Mi stendo sulla schiena e apro le braccia guardando in alto, i rami innevati di questo benedetto albero che ci ha fatto anche cadere un po’ di neve dalle fronde piene.
Lui continua ridendo, gattona verso di me, si butta a pesce vicino a me e si stende nella stessa maniera aprendo le braccia e le gambe, guarda in alto, i rami bianchi che nascondono il cielo azzurro.
- È stato fantastico! -
- Tu sei tutto scemo! - Ma lo dico ridendo perché anche se ero preoccupato da morire, è stato effettivamente divertente.
Come tornare bambini.
- Ma ci pensi ad essere stati bambini insieme? - Dice poi leggendomi come sempre nel pensiero.
Ci guardiamo e si sistema con la testa sul mio braccio che piego cingendolo contro di me, rimaniamo stesi a guardare in alto, uno contro l’altro, stretti e rilassati dopo l’assurda discesa da pazzi, il cuore va ancora a mille, la temperatura del corpo è salita bruscamente, sono tutto un fremito e mentre mi rilasso, lo immagino.
- Ero un bambino tranquillo... - Dico poi. Lui ridacchia.
- Io no! - Rido anche io. - Ho avuto un’impronta selvaggia facendo il senza tetto... per un periodo sono stato in tenda, no? E poi mia madre era hippy, perciò totalmente fumata e bevuta tutto il tempo, fuori da questo mondo, non sapevo proprio se era in sé o no e facevo tutto quello che volevo. Anche dopo, quando ha lasciato mio padre e ce ne siamo andati. - Jacoby inizia coi suoi racconti in questo momento così anomalo. - Perciò ero pieno di paure e fobie e le combattevo prendendole di petto, facevo l’aggressivo per sentirmi forte. E quando fai così cerchi... sai, di alzare sempre più il livello. Facendo stronzate, andando contro le regole, facendo quello che non si può, facendo arrabbiare gli altri, gli adulti, chiunque... io mi sentivo meglio, mi pareva di essere forte. Non ho paura di nessuno, faccio quel cazzo che voglio, tanto non fotte un cazzo a nessuno! Mio padre poi se ne è andato presto dalla mia vita e non è più tornato, mia madre era esaurita ed io cercavo di... di vedere a chi cazzo fotteva. Ero... - Esita, fa uno di quei sorrisi strani: - oh, bello, ero un ragazzo difficile ed un bambino selvaggio! -
Sorrido potendolo immaginare bene, io piego la testa verso la sua, mi giro e gli bacio la testa sulla cuffia.
- Io ero a posto, equilibrato, silenzioso, chiuso; fra me e il sovvertire le regole c’era mio padre, militare quasi a vita. Perciò ti lascio immaginare come funzionava. - Jacoby rimane un po’ in silenzio e penso provi a fantasticare su una nostra amicizia nell’infanzia.
- Mi avresti fatto un fottutissimo bene! Magari sarei venuto su più equilibrato, no? - Alzo le spalle, mi tiro su e lo aiuto a fare altrettanto, poi una volta in piedi gli tengo le mani e dondolo un po’ dubbioso.
- Mi piaci fuori di testa come sei... è grazie al tuo calvario se sei così fantastico ora. - Jacoby a questo fa un piccolo broncio e si aggrotta mettendomi una mano sulla faccia, abbassa il bordo della sciarpa e mi guarda meglio su tutto il viso.
- Vuoi forse dire che non sei fantastico perché non hai avuto un calvario da ragazzo? - Mi stringo nelle spalle, dopotutto quel periodo in cui mio padre era alcolizzato è nulla confronto a tutte le sue diatribe personali col mondo intero.
- Sono una persona normale, no? - Dico semplicemente. Lui così mi afferra le guance e me le pizzica seccato con una smorfia aggressiva, avvicina il viso al mio e mi morde la bocca.
- Non voglio più sentirti dire stronzate del genere. Tu non sei normale, sei una persona meravigliosa! Se non fosse stato per te sarei morto nel fottuto 93, quando ogni giorno guardavo il mare in tempesta e volevo farmi il bagno anche se era suicidio. - Alla fine mi arrendo, mi piego in un sorriso che parte dagli occhi e lui mi lascia le guance per poi appoggiare le labbra sulle mie, chiude gli occhi, sta fermo così in un momento di abbandono. - Ti devo la vita, Jerry. Sei molto più che speciale. Sei unico e prezioso. - Rabbrividisco, mi pungono gli occhi, le lacrime vogliono uscire ma mi godo questo dolce, dolcissimo bacio e accetto questi complimenti splendidi.
Adesso non resta che godersi questa vita per cui abbiamo entrambi combattuto come dei matti.
Quando ci rialziamo ci guardiamo noi, tutti arrossati, distrutti ed imbiancati ma con occhi brillanti, affannati e stanchi, guardiamo la salita da cui siamo appena rotolati giù, guardiamo la discesa che resta che non si capisce quanto manchi, poi ci guardiamo intorno corrucciati, silenziosi, irrigidendoci.
- Scusa una cosa... - Inizia lui, io finisco al suo posto.
- Ma il sentiero dov’è finito? - Quando realizziamo che siamo in mezzo al bianco candido dove solo le nostre scie si intravedono sopra di noi e sono tutte storte e a zig zag, capiamo che abbiamo perso il sentiero e non sappiamo quanto abbiamo deviato e siamo scivolati giù dalla fiancata. In poche parole... - Ci siamo persi? -