*La luna di miele continua senza incidenti, questa volta. È momento di confidenze per Jacoby e Jerry, confidenze che vengono ogni volta con sempre più facilità. Volevo precisare che quello che dice Jerry è totalmente inventato da me, non so quale sia stata la sua infanzia e non conosco alcun dettaglio dei suoi genitori, se non che suo padre era veramente un militare. Buona lettura. Baci Akane*
115. COME UNA COPPIA VERA
È piuttosto bello rientrare in casa. O per meglio dire, zoppicare visto che mi ha fatto un male bestiale nonostante i mille strati di piume varie.
Lo chalet non è caldo come speravamo perché non abbiamo acceso il riscaldamento, così ci cambiamo in fretta mentre gli lancio sguardi assassini per l’investimento che mi ha provocato chissà che livido gigantesco, lui se la ride ovviamente. Dopo che ci mettiamo asciutti e caldi con delle tute in pile, io mi occupo del fuoco nel caminetto e lui del pranzo.
Il signor idiota è un cuoco eccellente, ormai. Dote che nascondeva perché si vergognava, ma alla fine, ad un certo punto delle nostre lunghe ed infinite convivenze, è venuto fuori che non faceva finta, ma sapeva davvero cucinare.
Sua madre era un disastro in cucina, non sapeva nemmeno rompere due uova senza distruggerle, suo padre era il classico maschilista che non può alzare un dito in casa, ma gridava come una bestia.
Ogni tanto mi racconta di queste scene.
Alla fine Jacoby ha dovuto per forza imparare a cucinare, altrimenti lui gridava sempre e sua madre piangeva puntuale.
Non hanno vissuto sempre da senza tetto, ovviamente. Hanno anche avuto una casa normale, però il periodo in tenda lo ha segnato molto e comunque anche la vita in casa non è stata serena ugualmente.
- Una volta mia madre si era persa a fare non so cosa, quindi ha bruciato lo sfornato che per qualche miracolo aveva fatto in tempo e quasi decentemente. Sai, non avevamo un cazzo di soldi perché lui aveva la pensione di militare e l’accompagnatoria per il PTS che è considerato invalidante. Così lui non è che non avesse soldi, ma se li beveva tutti. Ogni tanto faceva la spesa, pagava un po’ di cose ma... ma sai... era un disastro. Quelli che hanno quella malattia lì non... non ci sono e quando ci sono è meglio non ci siano... - Annuisco mentre le fiamme prendono forma davanti ai miei occhi e ci soffio sopra mettendoci altri legni più grandi ma non troppo per non soffocarli.
Lui, dall’angolo cottura di questo enorme splendido stanzone in legno, continua a preparare da mangiare e a raccontare. Mette su l’acqua per la pasta sul fornello, operazione per cui ne rovescia un sacco per strada dal rubinetto al gas. Poi inizia a tirare fuori tutto quello che dovrebbe servirgli per la salsa ed in breve il piano di lavoro diventa un autentico casino senza precedenti.
- E così questa volta lei aveva bruciato la cena, io ho cercato di sistemare tutto e buttare via in modo che non se ne accorgesse, ma dovevo anche preparare qualcosa in tempo prima che venisse. Alla fine non ho fatto in tempo a fare tutto, lui è arrivato che stavo preparando una frittata, l’unica cosa che non mancava mai era latte e uova. Lui ha cominciato a gridare che non voleva fare colazione ma cenare, mia madre per difendermi si è messa a strillare che era colpa sua che aveva bruciato lo sfornato, lui le ha gridato contro, lei si è messa a piangere, lui ha iniziato a picchiarla ed io che ho sempre reagito a lui gli ho tirato le uova strillando ‘SE VUOI MANGIARE QUALCOSA DI DIVERSO PREPARATELO CAZZO! SEI UN DISOCCUPATO DEL CAZZO, LEI NON È CAPACE DI CUCINARE E NON TI STA BENE QUELLO CHE FACCIAMO NOI!ALLORA FALLO DA SOLO INVECE DI BERE TUTTO IL GIORNO, CAZZO! ‘ - Lo guardo shoccato della scena raccontata e di quel che ha urlato contro a suo padre. Me lo immagino alto grande, grosso e furioso contro un bambino di sei anni, perché poi lei se ne è andata perciò...
- Davvero gli hai detto così? - Alza le spalle come se non fosse niente di speciale, ma si gira ridacchiando divertito mettendo a soffriggere in padella la cipolla tritata col coltello che sventola come se fosse un mestolo di legno e non una lama enorme affilata. Intanto dove ha tagliato ha lasciato le bucce della cipolla che si mescolano all’acqua che ha rovesciato prima e non ha raccolto.
- Ero uno scricciolo biondo con una padella e delle uova in mano e gliele tiravo tutte ed usavo le stesse parole che sentivo dire da mia madre quando si lamentava di lui con noi. Ti immagini un nanerottolo che ti tira le uova e ti parla così con cazzo ad ogni due parole? - Questo mi fa ridere per non piangere, mi copro la faccia con la mano non nera di fuliggine, mentre il fuoco diventa più intenso e ci posso mettere un altro legno più grosso ed aumentare di poco il calore. Jacoby, invece, riesce a rovesciare in qualche modo anche l’olio mentre quel che usa lo lascia in giro ed appoggia cose in posti impensati, in bilico, come il piatto della bilancia con la pasta pesata messo su un porta pane curvo che se non cade tutto per terra è un miracolo.
- Porca puttana Jacoby, eri pazzo già da quella volta! Ma non ti ha ucciso? -
- Eh certo, me ne ha date così tante con quella padella che non mi sono seduto per giorni! Per fortuna poco dopo si è tagliato le vene. È come se se ne fosse andato lui. Tecnicamente mia madre ci ha presi e portati via e siamo stati in un rifugio per un po’, però in realtà lui se ne era andato già da tempo, con la testa. - Spiega poi il suo punto di vista su chi ha lasciato chi come se fosse importante. Forse lo è. Immagino potrebbe farci una canzone.
- Però, che storia... - rispondo poi ancora shoccato mentre il profumo di cibo contrasta con quello di fumo che finalmente sale sul camino invece di impuzzare la stanza.
Rimango accucciato davanti al fuoco acceso che riscalda abbastanza mentre lo guardo correre dal fornello al ripiano, al frigo. Versa la salsa sia in padella che nel ripiano, l’olio caldo fa schizzare tutto di rosso e sembra abbia sgozzato qualcuno. Lui ride e mentre prende la pasta la fa cadere per terra. Mi copro la faccia e lui impreca. Lo sapevo che finiva così.
- Beh, ci sarebbe la regola dei 5 secondi... - Dice fissando la pasta mentre fa per chinarsi a raccoglierla. Io gli tiro un pezzo piccolo di legno avendo cura di non fargli male.
- Se la raccogli e la metti a cuocere ti uso come legna da ardere! - Lo ammonisco. Lui così alza le mani in segno di resa e allora torna a pesare la pasta, questa volta la mette subito nell’acqua che bolle.
Ovviamente ha versato anche il sale ovunque.
Mentre aspetta che la pasta e la salsa si cuociano, corre ad apparecchiare la tavola per due facendo cadere tutto quello che tocca. Non che questo lo fermi, se non mi viene una malattia venerea è un miracolo. Guardo il disastro colossale che ha lasciato in cucina: sembra esplosa una bomba e dopo toccherà a me pulire. Spero almeno che sia buono quel che fa.
Ridacchio mentre mi perdo ad osservarlo con il grembiule alla vita e la felpa dalle maniche tirate su. È concentrato mentre racconta o parla di questo periodo della sua vita e di come ha iniziato a cucinare bene.
Nella casa nuova il padre adottivo lavorava molto, sua madre era sempre fuori comunque e la cucina era una nemica, così il nonno gli ha insegnato a cucinare meglio. Lo aiutava ai fornelli. Il famoso nonno Roatch che ha dato il nome al gruppo e lo ha incitato a fondare una band.
E niente, alla fine starei ore a guardarlo cucinare mentre fa disastri e sentirlo parlare della sua infanzia. Prima era incapace di farlo davvero se non con pochi input ogni tanto. Ora è come se non potesse mai smettere, penso sia positivo. Il fuoco, il caldo, il profumo di cibo, lui che insozza tutto mentre cucina e la sua voce meravigliosa che parla costantemente di tutto quello che si ricorda. Momenti di vita quotidiana privata che mi mancavano e che in realtà così non abbiamo mai potuto avere. Momenti meravigliosi che non dimenticherò mai.
A pancia piena è tutto molto meglio.
Jacoby ha cucinato un pranzo favoloso, ho cercato di sistemare la cucina ma mi ha letteralmente inchiodato alla sedia impedendomi di farlo prima di mangiare.
L’ambiente ormai è deliziosamente caldo e il mio stomaco è in pace col mondo.
- E tu? - Mi fa poi. Io inarco le sopracciglia preso alla sprovvista mentre lui mi guarda diretto e sicuro:
- Io cosa? -
- Tu che episodi hai da condividere? - Ridacchio, non gli sfugge niente di me.
Io alzo le spalle correndo con la memoria a quei periodi, a quei giorni. Scuoto la testa ed alzo le spalle non sapendo cosa scegliere. Non ci siamo mai raccontati cose della nostra infanzia.
- Ricordo le lunghe missioni di mio padre come militare, era come essere orfani. Mi chiedo... mi chiedo se le mie figlie abbiano la stessa impressione quando andiamo via nei tour. - Piega la testa di lato pensandoci anche lui.
- Penso di sì. I cantanti di oggi sono gli eroi di guerra di ieri. - Riflessione particolare, lo guardo attento e afferro il pensiero al volo.
- Perciò siamo il riflesso dei nostri genitori? - Alza le spalle.
- Io sì, tu? - Mi sfida a raccontare. Sorrido mentre mi trovo più comodo a parlare di certe cose tenendomi occupato, così mi alzo e vado a pulire la cucina, lui mi aiuta e quando sta per rompere i piatti lo rilego alla sedia obbligandolo a stare lì mentre faccio tutto io.
Chi cucina non pulisce, a me piace fare così.
Mentre mi occupo di questo campo di concentramento, gli racconto qualcosa di mio padre e delle sue fasi.
- Rimaniamo segnati da qualcosa che ci forma, no? Io sono stato formato dal suo reagire al dopo missione bevendo. Per fortuna non ha avuto un vero e proprio stress post traumatico, da quella roba sai... è dura. Però beveva, seppure l’abbia fatto per poco. E ricordo che compativo mia madre, mentre poi dopo ho scoperto che lei l’aveva tradito quando lui era in missione, quindi poi ho rivalutato tutto. Ma quando lui beveva mi sono ripromesso che non avrei mai toccato un bicchiere in vita mia. Punto. E così è stato. Poi l’ho visto risalire e l’ha fatto per noi figli. Mi rifugiavo nella musica, ho imparato a suonare ed era metal il genere in cui mi rivedevo. Sono stato formato da quegli episodi. Perché ci formano gli episodi negativi? Perché quelli positivi passano quasi inosservati? -
Lui sorride amaro, inarca le sopracciglia e risponde mentre gli do un’occhiata veloce da oltre la mia spalla, le mani immerse nella schiuma per lavare i piatti.
- Appena lo scopri dimmelo! - Così ridacchio e torno ai miei compiti cambiando discorso, questa volta gli racconto qualche episodio divertente con mio fratello che cercava di portarmi sulla via della perdizione mentre io ero ben sicuro delle mie posizioni. Io e mio fratello più diversi non avremmo potuto essere.
Quando metto a scolare le stoviglie lavate, Jacoby mi aiuta ad asciugare, evito con cura di dargli in mano cose che possano rompersi, quelle le metto nella griglia dell’armadietto sopra il lavandino. Fa cadere la pentola e la padella puntuale, non so come faccia, è nella sua natura.
Lasciare il segno. È questa la sua natura. In un modo o nell’altro l’ha sempre fatto.
Dopo pranzo ci mettiamo a costruire la scultura 3D in legno che il genio ha distrutto ed ovviamente ci metterei la metà del tempo se lui non volesse aiutarmi a tutti i costi, alla fine fa i capricci e pianta il muso perché cerco di escluderlo seccato mentre dico per la millesima volta ‘QUELLO NON ORA!’ Così mi decido a riammetterlo nel club.
Mi dà un pezzo qualunque a caso. Io lo guardo e sospiro, ho composto tutt’altro, per ora.
- Jacoby, vedi che sto mettendo insieme i pezzi di questa tonalità e grandezza? Potresti cercare quelli simili? - Cerco per l’ennesima volta di essere paziente. Lui guarda bene massaggiandosi il mento serio.
- Ecco... vediamo... - comincia cercando. Poi me ne dà uno: - Questo va bene? - E sto per dirgli ‘no’ per partito preso o abitudine quando mi fermo e mi viene un colpo, lo prendo sorpreso.
- Jacoby finalmente hai capito! Questi pezzi mi devi dare ora! - E lui, tutto felice, torna a tuffarsi alla ricerca di quelli giusti. La volta dopo torna a darmi un altro colore. Ok.
- Beh dai, non è poi tanto diverso da questo colore... è solo un’altra sfumatura, ma... -
- Sei daltonico? Hai bisogno di una visita oculistica? No perché cominci a preoccuparmi! - Rispondo acido e seccato. Lui così si stufa, butta il pezzetto per terra dove siamo sistemati a fare la scultura, sul tappeto davanti al fuoco, e se ne va in camera:
- Va al diavolo, diventi insopportabile quando comandi! - Così alzo gli occhi al cielo esasperato, guardo la porta sbattuta della camera e soppeso l’idea di finire la scultura da solo prima di andare a fare pace con lui, ma ho idea che se non corro subito quello mi rovina la luna di miele.
Sto imbecille!
Prendo un altro pezzo e lo attacco alla scultura, sto per prenderne un altro quando lo tiro sul tappeto insieme agli altri, metto un bel legno sul fuoco e brontolando un ‘al diavolo’ vado da lui.
Perché deve essere così?
Quando entro in camera sta disegnando ferocemente qualcosa sul quaderno, è seduto a gambe incrociate sul letto ed usa il cuscino come tavolino quindi mi dà le spalle.
Silenzioso salgo dietro di lui e sbuco dalla sua spalla per guardare.
Sta disegnando un buco nero. Ovvero un cerchio in mezzo al foglio con un enorme cerchio che sta ferocemente dipingendo di nero. Ora non sono uno psicanalista, ma mi sa che questo significa che è arrabbiato!
Gli mordicchio la spalla mentre mi sistemo in ginocchio dietro di lui e allargo le gambe infilandole ai lati. Le mani strisciano sulla vita e poi davanti, sul petto, alla ricerca della fine della sua felpa grossa e comoda.
- Non devi arrabbiarti se certe cose non ti riescono, ti vengono altre. Hai cucinato una pasta spettacolare! Un italiano non poteva fare di meglio. Io ai fornelli... beh, lo sai, non sono poi così bravo! - Sospira ed io continuo coprendogli il collo di tanti piccoli baci. All’inizio sta dritto e rigido, dopo un po’ smette di colorare il buco nero, ma mantiene il suo delizioso broncio. - Tutti hanno il suo talento, no? -
- Lo so, ma volevo fare qualcosa con te, no? Prima io ho cucinato e tu hai acceso il fuoco, poi tu hai lavato e... -
- E tu hai asciugato. -
- Le pentole perché non si potevano rompere! - Si lamenta subito girando la testa verso di me, così finiamo per guardarci ed io mi sforzo di non ridere, ma sorrido. Osservo bene i suoi bellissimi occhi e lui si perde nei miei, meno imbronciato di prima. Le mie mani trovano la sua pelle sotto gli strati di stoffa che lo ricoprono, gioco con i suoi capezzoli mentre lo abbraccio da dietro e lo avvolgo con le gambe ora allungate lateralmente.
- Quella scultura la dobbiamo rifare per forza perché era a posto prima. Appena la finiamo facciamo qualcosa insieme come vuoi. - Dico piano ed indulgente. Sospira e dondola la testa a destra e sinistra poco convinto, ma comunque non più arrabbiato.
- Insegnami a suonare la chitarra! - Ridacchio, è una cosa che non gli è mai riuscita, ognuno ha i suoi talenti appunto. Jacoby è un tipo da batteria, si deve rassegnare.
Però annuisco e suggello il patto con un bacio, unisco le nostre labbra già piuttosto vicine e mentre le lingue si trovano nelle nostre bocche unite ed aperte, una delle mie mani lascia il suo capezzolo e scivola sotto i pantaloni della tuta, sotto i suoi boxer e afferro l’erezione calda ancora a riposo.
Per poco, suppongo, visto che appena inizio a muovere su e giù facendola spuntare fuori dai vestiti, lui si appoggia del tutto contro il mio petto, allarga ed allunga bene le sue gambe e si abbassa meglio i pantaloni per permettermi di lavorare meglio.
Si abbandona a me ed adoro quando lo fa. Mi occupo del suo piacere mentre il bacio si interrompe per permettergli di allietarmi con i suoi gemiti. La sua splendida voce bassa e roca riempie l’aria mentre io gli lecco l’orecchio, un altro dei suoi punti deboli, in sincronia con la mia mano sul suo membro duro.
Ovviamente viene ed ovviamente poi tocca a me, ma lui usa la bocca perché è sempre il solito esagerato. Dopotutto discutere un po’ non è poi così male visto come si fa poi pace!