116. COL DESTINO NON SI SCHERZA
Dopo il puzzle inizia la lezione di chitarra che va meglio di quel che mi ero immaginato inizialmente, magari è merito del fatto che mi sono seduto dietro di lui e lo avvolgo come un guanto, le mani sulle sue, le gambe intorno a lui, aperte, e col mento sulla sua spalla controllo quel che fa e lo guido.
Qualcosa la sapeva già, così il mio lavoro non è complicato. Specie se gli insegno in questa maniera.
Le nostre dita corrono sul manico a premere sulle corde per suonare Scars, a volte sbaglia, gli correggo la posizione e riprendiamo da capo finché non la fa bene. La mano che pizzica le corde non ha bisogno di aiuto, così la mia sta intorno alla sua vita, a tenerlo a me.
Io spalmato su di lui, sulla sua schiena, lui rilassato e noi seduti insieme per terra davanti al fuoco che ci riscalda mentre fuori ormai il sole tramonta calmo.
Jacoby è molto concentrato mentre impara e memorizza le dita nelle posizioni corrette, la punta della lingua fuori mentre ogni tanto chiede piano con la sua voce bassa e roca ‘così?’ Ed io ‘sì’ sempre piano come se parlare più forte rovinasse questa splendida atmosfera.
Se dico bello non rende. Magia. Forse rende più così.
Dopo un giro completo corretto, gli dico di cantare e così lo fa, io non gli tocco più le dita sul manico perché fa tutte le note giuste e lo abbraccio da dietro con entrambe le braccia, il mento sempre appoggiato sulla sua spalla, gli occhi chiusi completamente abbandonato a lui. Ascolto la sua voce che amo come niente di più nella mia esistenza e mentre penso che non è corretto amare sopra ogni cosa la voce di qualcuno, non ci posso proprio fare niente.
Quando sono teso, nervoso, arrabbiato, triste, a pezzi o freddo, mi basta sentire la sua voce. Che parla piano e normale oppure che canta.
La mia preferita è quella del periodo del Paramour Session, in quel periodo aveva una voce così roca e profonda che non penso d’aver mai sentito, se lo senti ora un po’ per l’operazione, un po’ perché utilizzando tanto le corde vocali queste si modificano e nel farlo cambiano un po’ la voce. Mi piace sempre, ma se devo scegliere un periodo, è quello. Anche se lì era buio. Più che mai.
Ora è luce, è tutt’altra cosa.
A volte ho paura che dal buio non guarisci davvero, che certi buchi ti restano. Però lo vedo ora e penso no, invece. Si guarisce. Però la paura che ricada, che sia guarito per finta mi rimane. Spero davvero... cazzo, spero davvero che non succeda mai più niente di brutto. Non a lui.
Quando finisce tutto ha un’aria meravigliata e mi guarda da vicino spontaneo, incredulo di essere riuscito ad imparare così bene rispetto alle precedenti lezioni. Per qualche ragione ci teneva tanto a fare qualcosa con me o forse ad imparare Scars, chi lo sa. Comunque è felicissimo e mentre mi sorride illuminato come un albero di Natale, io rido e dico rimanendo così abbracciato a lui da dietro, fissandoci vicini sulla sua spalla:
- Adesso puoi creare i riff da solo per i tuoi testi! Io non ti servo più! - Così gli stampo un bacio divertito sulla bocca e sciolgo le braccia da lui appoggiandomi indietro coi gomiti, rimango sempre seduto dove sono, ma non lo abbraccio. Lui mi guarda torcendosi tutto col busto corrucciato mentre mette giù la chitarra per capire quanto sono serio. Io faccio un ghigno divertito che di solito fa lui, così capisce che scherzo e si gira completamente mettendosi a carponi su di me, io mi stendo del tutto per terra con il resto della schiena e mentre la nuca si adagia sul tappeto ed il fuoco crepita nel caminetto, lui gattona con le mani fino ad arrivare alla mia testa, chiudo gli occhi e lo aspetto. Prima i suoi denti mi mordono il labbro, io rido ma non mi oppongo, dopo me le succhia ed infine mi bacia. Le labbra si aprono, si fondono e giocano insieme dando vita a quest’altro momento intimo di cui non siamo mai sazi.
Sono momenti di una normalità unica.
Passiamo dal fare qualcosa di attivo e pazzo al fare cose tranquille e pacifiche, non sempre ci sbellichiamo dal ridere, a volte è uno stare insieme serenamente.
Il momento della cena è piuttosto complesso in realtà perché decidiamo di farla insieme, lui il capo chef ed io l’assistente, perciò si mette a darmi ordini, ma finisce che pulisco dietro di lui i disastri che combina e gli metto a posto le cose che tira fuori e sparge per tutta la cucina.
- Non so come fai a cucinare nel cesso! - Commento dopo l’ennesima posata lasciata in un angolo impensabile, dimenticata e sostituita con un’altra.
- Gli artisti funzionano meglio nel caos. - Risponde mentre aggiunge i sapori alla carne che sta cuocendo sulla padella grigliata.
Scuoto la testa e mescolo l’insalata mista che mi ha fatto preparare. Fino ad un’insalata ci arrivo.
- Statisticamente ho letto che i cuochi maschi sono ordinati e puliti in cucina, mentre le donne sono un disastro a livello di ordine e pulizia. Quindi o tu hai una forte componente femminile, o sei la classica eccezione che conferma la regola! - Dico dopo che passo per l’ennesima volta il panno bagnato sul ripiano di lavoro che lui, puntualmente, sporca posando le pinze per girare la tagliata di carne. Sospira insofferente ed alza gli occhi al cielo vedendo che continuo a pulire.
- Senti, così non riesco. Mi serve quel famoso cesso! Lascia che sporchi tutto! - Inizia a brontolare spingendomi verso il tavolo.
- Ma io... - Tento di fare resistenza.
- No no, senti, vuoi mangiare bene? Allora lasciami insozzare tutto! Apparecchia e siediti! Grazie! - Con questo ordine perentorio mi caccia letteralmente dalla cucina, finisce che eseguo poco convinto i suoi ordini, do uno sguardo a lui che riprende a sporcare tutto e non so nemmeno come ci riesca visto che deve solo cuocere una cavolo di tagliata di manzo. Ma vai tu a sapere!
Scuoto la testa vedendo tutto sporco ed in disordine e sventolo le mani girando velocemente la testa. No non posso vedere, mi rifiuto. Mi fa sentire male guardare quel disordine!
Alla fine il risultato ne vale la pena, è effettivamente molto buona la carne, non so come riesce a cuocere questi pezzi giganteschi e lasciarli morbidi, quando la faccio io diventa suola di scarpe. Fortuna che Jessica e Jacoby cucinano bene.
Ridacchio pensando che ho appena associato mia moglie ed il mio amante perché sono dei bravi cuochi. I miei cuochi.
Meglio che non glielo dica, a Jacoby piace abbastanza Jessica, più di quanto a me piaccia Kelly. Più che piacere è fastidio o magari proprio gelosia, non so. Con lei lui ha cercato di tenermi a distanza quando era convinto che non potessimo stare insieme, salvo poi stare con me lo stesso perciò alla fine avrebbe potuto evitarla. Io mi sono sposato con Jessica perché lui si era sposato con Kelly, ma ero disposto, un giorno, a vivere insieme io e lui. Col tempo penso lo sarei stato. Ora invece è impossibile, ci sono le famiglie, dovremo fare teatro per sempre. Amiamo i nostri figli, ma il resto è pura finzione.
Quando ripenso alla nostra storia vedo chiaramente i passi falsi che abbiamo fatto, se avessimo fatto diversamente certe cose sarebbe andato tutto in un altro modo. Io e lui eravamo destinati a stare insieme, ora ne sono più convinto che mai. Abbiamo avuto paura, eravamo giovani in tempi ben diversi da questi. Se succedesse ora, con le teste di adesso, le maturazioni che abbiamo ora... beh, non ci sposeremmo mai, vivremmo insieme e faremmo la nostra vita. Non siamo tipi da mettere i manifesti, lui forse, ma quando sta con me capisce che mi dà fastidio essere troppo espansivo e quindi sta diciamo al suo posto, sa comportarsi, ha imparato. Per cui potremmo vivere alla luce del sole questa storia senza dover dire che siamo una coppia o cose così. Senza fingere nulla. Non avremmo avuto i nostri figli, ma non avremmo vissuto una vita di finzioni e facciate.
Diciamo che... diciamo che in questa situazione non congeniale e non corretta per nessuno, l’unica consolazione sono i nostri figli. Sono un dono che non avremmo potuto avere in nessun altro modo ed in qualche modo anche loro erano destinati a nascere. Così come io e lui a stare insieme.
In qualche modo i destini si compiono.
Nel dopo cena ci mettiamo a vedere un film, ognuno di noi ne ha portato uno, il proprio preferito. Così iniziamo con quello di Jacoby che introduce dicendo ‘ehi amico questo film mi ha segnato l’esistenza in tanti modi che non so nemmeno spiegarli! È una parte del piccolo Jacoby, sai? Le mie fobie sono nate da questo, in qualche modo...’
Il film è ‘Qualcuno volò sul nido del cuculo’.
Non l’avevo mai visto ma ovviamente l’ho sentito nominare spessissimo. Jack Nicholson è un mostro del cinema e questo film è un pugno allo stomaco.
- Tu... tu davvero hai guardato questo da ragazzo? - Chiedo sorpreso ad un certo punto mentre siamo stesi sul divano a guardare il film abbracciati uno all’altro. Lui con la testa scivolata sul mio petto, tutto steso storto su di me, il mio braccio intorno al suo corpo ricurvo su di me, scomposto come non mai.
Una di quelle posizioni che andrebbero fotografate.
Lui annuisce ed io non dico altro.
Il film parla di quest’uomo eccentrico con una personalità di spicco che però pensa e vuole fare il furbo, per una serie di comportamenti fuori norma che oggi verrebbero giudicati assolutamente normali, lui viene internato in quelli che una volta erano i manicomi.
In questi manicomi sono rinchiusi alcuni che sono effettivamente fuori di testa ma altri che in realtà non sono matti ma hanno solo qualche eccentricità o magari qualche caratteristica strana, ma obiettivamente non sono pazzi. Per una buona parte del film si ride anche, perché si presentano scene piuttosto buffe e il protagonista è deciso a sfruttare l’occasione per i propri scopi e per fare quel che vuole, ma nel farlo a modo suo aiuta gli altri poveracci con cui instaura un rapporto. Siccome lui continua a sovvertire le regole e ad avere certi comportamenti non consoni, alla fine lo lobotomizzano ed entrato sano rimane lì perché lo fanno impazzire sul serio.
Una volta i manicomi erano così, questo non è solo un film, è mostrare la verità prima della riforma. La gente veniva rinchiusa sana e spesso impazziva sul serio. Il film è meraviglioso e sconvolgente, ma quello su cui mi focalizzo è il motivo per cui Jacoby l’ha scelto.
- Davvero sei rimasto segnato da questo? Eri piccolo che l’hai visto? - annuisce, non si alza, rimane qua su di me mezzo steso con al testa sul mio cuore, la mia mano giocherella con la sua maglia. - Come mai questo su tutti i film anche più impressionanti? Pensavo mi avresti proposto ‘La metamorfosi’... - Jacoby alza la testa di scatto e mi guarda così storto da vicino con l’aria da ‘sei pazzo?’ Ed io così rido sdrammatizzando.
- Guai se lo vedevo! - Vedendo che rido si alza a sedere e si stiracchia facendo scricchiolare le ossa, sbadiglia mentre io lo guardo.
- Dunque come mai questo ti ha impressionato? Penso ci siano stati film più shoccanti, no? -
Jacoby scende dal divano e va al caminetto a mettere qualche altro legno, si accuccia davanti e muove la brace con il ferro, rimane lì a fare questa operazione sovra pensiero mentre gli occhi rimangono incantati dalle braci e dalle fiamme che ballano davanti ai suoi occhi, per un momento anche i miei si incantano da qua, quindi mi alzo e lo raggiungo sedendomi vicino a lui. La nostra posizione preferita. Davanti al fuoco a guardarlo. Il calore ci rilassa, gli dò un bacio sulla guancia dolce e gli prendo il ferro mettendolo giù.
- Avevi assistito a scene in casa che ti hanno ricordato il film? -
Jacoby si stringe nelle spalle.
- Penso... penso di sì... - Dice con aria quasi infantile. Quando parla di certe cose gli anni sulle sue spalle scendono drasticamente ed è come se tornasse ad un certo periodo.
- Adesso non funziona più così. Hanno chiuso i manicomi proprio perché lobotomizzavano. Ci sono gli ospedali psichiatrici, ci sono un sacco di altre soluzioni alternative valide. Non possono obbligarti più a nessun Trattamento Sanitario a meno che tu non sia pericoloso per te e per gli altri e c’è un serio rischio che richiede il TSO. Ma generalmente è tutto estremamente volontario. Anche ammesso che facciano diagnosi di una qualche malattia mentale, non possono rinchiudere la persona contro la sua volontà in nessun posto. Non ci sono più quei posti, quei manicomi che ti fanno impazzire definitivamente... - Dico dolcemente ed indulgente.
Lui stringe assorto le labbra e fissa il fuoco passando la mano sulla punta delle fiamme come se non fosse nemmeno presente ma ipnotizzato, come se scivolasse agli anni in cui vedeva questo film.
- Una sera guardavamo dei filmini girati con... sai, quelle videocamere di una volta. Non so dove sia finita. Insomma, era il filmino del matrimonio di mamma e papà. Prima che lui partisse per la guerra, sai si fanno le missioni per cui si va e si viene. Gesù, lo sai anche tu, tuo padre l’ha fatto. I padri di tutti noi l’hanno fatto. Comunque niente, questo filmino mostrava mio padre del tutto normale. Una persona sorridente, allegra, solare che faceva tanti scherzi e giochi con la mamma. Era... era così bello... e non conciliavo l’immagine che avevo ora di mio padre, così depresso, così fuori in certi momenti. Non capivo, ero piccolo... non capivo come mai parti per una cosa di lavoro sano e torni così fuori. Come fai? Così poi quel film ha scavato nel mio inconscio, suppongo, tirando fuori le mie paure recondite. Come fai ad andare in un posto o a fare una cosa sano ed uscirne completamente matto? Come funziona la follia, la mente umana? Una persona normale è comunque spacciata, potrebbe impazzire da un momento all’altro... questa paura ha lavorato tanto in me. Mettici anche quel periodo che abbiamo fatto in tenda, lungo o breve che sia fidati che essere senza tetto da piccolo che non capisci un cazzo ti segna. - gli prendo la mano che ormai sta ferma sulla fiamma da qualche secondo e prima che si bruci la tiro via ed intreccio le dita alle sue e me la porto alle labbra. Non so bene cosa dovrei dire a questo punto, non sono tanto bravo con le parole.
- Ne sei uscito. - dico solo. Lui stringe le labbra, si gira verso di me, sorride con quella paura di sempre negli occhi, la paura che non gli vedevo da molto e che temevo tornasse. Come immaginavo certe cose non le abbatti, le soffochi.
Fa quel sorriso quasi grottesco e di scuse con gli occhi seri e le labbra piegate all’insù di poco.
- Ne sei sicuro? Perché io non ne sono proprio sicuro. Si guarisce sul serio da certe cose? A volte vedo la voragine sotto i miei piedi, quella in cui ero prima, e mi chiedo ‘cosa ci vuole a ricaderci?’ - Rabbrividisco.