*Finalmente Jacoby si decide ad andare da un terapista vero, non è facile per lui perché ne è terrorizzato, ma decide di fare il grande passo. Jerry immancabilmente ad accompagnarlo e a dargli il suo sostegno. Poi si parla di fare un altro album, ma gli vengono proposti dei produttori molto bravi che però lavorano a Las Vegas, la città che più lo terrorizza per via delle troppe tentazioni. Per Jacoby è un problema ed ha paura di non potercela fare. Anche nella realtà lui non voleva inizialmente lavorare con loro per quel motivo, è una cosa che ho preso dalla realtà. Buona lettura. Baci Akane*
122. COSA NON FARESTI PER LUI
Stringe le mani e tamburella sulla coscia dei jeans, si morde di continuo la bocca e l’interno delle guance, sicuramente sta sanguinando.
Quando attacca con le pellicine intorno alle unghie gli prendo la mano ed allaccio le dita fregandomene che potrebbe entrare qualcuno o chiamarci proprio ora.
Lui mi guarda sorpreso che gli prenda la mano proprio qua ed io sorrido mettendoci sopra la giacca, così ridacchia e sembra rilassarsi.
- Andrà tutto bene. Se osa rinchiuderti sfondo la porta, lo giuro! - Esclamo per sdrammatizzare. Lui mi spinge col copro, seduto accanto a me.
- Scemo! Non possono ricoverarmi senza il mio consenso! -
- A meno che non ti reputi incapace di intendere e di volere ed un pericolo per te e per chi ti sta intorno. In quel caso possono farlo... - Rispondo serio guardandolo senza scompormi. Lui si aggrotta e fa il broncio.
- Ehi, a che gioco stai giocando? - Chiede truce, così io poi rido e gli stringo le guance con la mano libera.
- Al gioco di chi ti prende in giro! - Lui si scosta infastidito dalla mia presa, ma fa il broncio e sospira.
- Io sono seriamente angosciato e tu giochi! -
Così gli stringo la mano sotto la giacca e continuo guardandolo insistentemente, sereno e calmo.
- Lo faccio perché so che andrà tutto bene. È vero che possono internarti per quei motivi, ma io so che tu sei capace di intendere e di volere e non sei un pericolo per nessuno. Magari per me quando ti annoi, ma in generale... - A questo Jacoby si gira e mi morde la spalla come un cane rognoso ed io grido lamentandomi per la fitta improvvisa che non mi risparmia.
In questo perfetto momento di idiozia la porta dello studio dello psicologo si apre e spunta un uomo sulla sessantina, corporatura media che sorride cordiale. Si ferma prima di parlare e ci guarda in questa posa da coppietta idiota, così piega la testa e indica di entrare:
- Signor Shaddix? - Jacoby si ricompone, lascia la mia mano e fa la faccia da bambino che finge di fare l’adulto, ma almeno non entra come un condannato a morte.
annuisce.
- Presente! - Come se facesse l’appello.
Ridendo l’uomo lo fa entrare e lui, prima di varcare la soglia, si gira verso di me e mi guarda con un’ultima aria di terrore. Io rido e gli indico di andare e non cincischiare. Lui sospira, entra e chiude la porta.
Appena lo fa tocca a me stare nervoso... mi strofino il viso e spero che vada davvero tutto bene, che sia un bravo psicologo e che lo aiuti.
Finalmente si è deciso ad andare da un vero terapista, è un passo enorme, molto più grande di tutti gli altri che ha fatto.
Sai, per uno arrabbiato con Dio che torna in chiesa e si riconcilia con Lui tramite un prete in gamba non è una cosa impossibile da concepire.
Nemmeno i gruppi di sostegno o le corse di terapia, diciamo, sono un enorme passo in avanti. È un bel passo, quello non si discute... però il passo davvero, ma davvero insormontabile, era andare da un terapista serio.
Raduna in sé tutte le sue paure maggiori che si vedono nel terrore di essere seriamente pazzo, un terapista lo può decretare. È come una sentenza, no?
Da sempre Jacoby è scappato da questa figura, ha preferito far pace con Dio piuttosto che parlare con uno laureato in scienza della mente.
Spero che sia buono, ho cercato il migliore e quando mi ha detto se lo accompagnavo al primo giorno per assicurarmi che non scappasse, ho detto subito di sì. Ho fatto la persona tranquilla e sicura come sempre, ma sono agitato. Spero che vada tutto alla perfezione.
Non importa cosa gli dirà, importa che ci è andato. Il fatto di farlo è già un passo verso la guarigione.
Quando esce salto sul posto, mi ero appisolato sprofondando in queste poltrone maledettamente comode, le braccia conserte, la testa incassata e via.
La sua risata mi riporta bruscamente alla realtà e appena mi sveglio cerco ossessivamente i suoi occhi che trovo immediatamente. Viene verso di me e recupera la propria giacca, lo psicologo è rimasto dentro e così può rispondere alla mia ansiosa e muta domanda:
- Tutto bene. Come primo incontro è andato piuttosto ok. -
- Ma... ma che impressione ti ha fatto? Pensi di tornarci, che potresti fare una serie di sedute? - Chiedo prima di alzarmi aspettando un responso più utile di ‘tutto ok’ che dice davvero un cazzo.
Lui si allaccia la giacca ed annuisce buttando infuori la bocca, ci riflette con aria un po’ impressionata.
- Sì, penso di sì... -
- Pensi? - Chiedo teso con la schiena dritta prima di sollevare il culo dal cuscino. Lui ride e mi dà un colpo alla spalla con le dita.
- Sì, ci torno, smettila ora! - Sospiro di sollievo e mi decido ad alzarmi. Non so come faccio a sentirmi così leggero io solo perché lui ha fatto un’ora intera di psicologo, però era una di quelle montagne da iniziare a scalare e l’ha fatto, ha iniziato anche questo, ora, ed era una cosa molto ma molto importante.
In macchina mi metto io alla guida mentre lui se ne sta un po’ sulle sue a riflettere probabilmente su quello che gli ha detto.
- Penso che gran parte del lavoro sarà di fiducia, prima che tu ti fidi di lui non riuscirai ad aprirti su tutto. Che sia uno del mestiere conta poco, credo... - In realtà non ne ho proprio idea, se devo essere onesto. Lui si riscuote e si accorge che non c’è la musica per la prima volta, ma non l’accende.
Guarda fuori il paesaggio rannicchiato sul sedile, le mani nelle tasche del giaccone, il piede tirato su sul porta oggetti a lato, sulla portiera.
- Penso di sì... è stato un incontro molto preliminare, ma mi pare in gamba. Non ho avuto... sai, io sono uno che si fida ciecamente di tutti, ma ho anche i miei momenti da selvatico. È stato tutto molto tranquillo, non so come dirti. Ero teso e nervoso, faticavo a rispondere ma poi sai che mi piace parlare e così ho cominciato. È stato bravo perché ha iniziato con domande sul mio lavoro, su cose di cui parlo senza problemi, non di me personalmente. Dopo un po’ che parlavo, verso la fine, mi ha chiesto come se non fosse importante... perché volevo venire da lui. Ed io così sempre parlando come ho fatto tutto il tempo, come fosse pura conversazione semplice, ho detto ‘perché penso sia ora.’ -
- Non me lo devi raccontare, sai? Era solo per capire se era andata bene... - mi affretto a dire. Lui scuote la testa.
- Mi va di parlarne. - così continua. - A quel punto ha detto se potevo essere più specifico e così gli ho detto che dopo la salute del corpo e dello spirito, voglio prendermi cura anche di quella mentale. E lui ‘è un’ottima idea. C’è qualcosa che impedisce alla tua testa di stare bene? C’è un motivo particolare che ti ha spinto a venire?’ Io non mi sono innervosito, ero pronto a quella domanda così poi ho risposto guardandolo dritto negli occhi, come ho fatto con tutti gli intervistatori quest’anno. ‘Dopo anni di dipendenze da alcool e droghe, aver tradito mia moglie, distrutto quasi del tutto la mia famiglia, ho tentato il suicidio. A quel punto mi sono fermato ed ho capito che avevo bisogno di aiuto. Prima ho pensato a recuperare il mio corpo, mi sono ritrovato con Dio ed ora ho bisogno...beh, di ricongiungermi con la mia testa!’ - Sorrido per il modo in cui l’ha detto e per il fatto che voglia dirmelo. Annuisco e procedo verso casa sua dove lo lascerò per poi tornare a casa mia entro un’altra ora.
Per lui si fa di tutto, no? Mi sono fatto un’ora di strada per venire da lui, l’ho portato dal terapista ed ho aspettato un’ora intera fuori, ora lo prendo, lo porto a casa e mi farò un’altra ora di macchina. 3 ore in tutto da solo, unicamente per stare con lui dieci minuti di viaggio prima, dieci dopo e poi quel momento d’attesa nello studio. Tutto qua.
Eppure lo rifarei senza esitare.
Quando mi ha chiesto se lo accompagnavo sono caduto dalla sedia, ho sempre sognato il giorno in cui sarebbe andato da un terapista, ma non l’avevo mai immaginato davvero.
Ora che ci siamo sono così orgoglioso di lui. Così tanto.
- E lui? -
- E lui mi ha invitato a tornare e a fissare un secondo appuntamento. Gli ho detto che col lavoro che faccio è un terno al lotto, ma ha detto che fa anche sedute in emergenza telefoniche, mi ha dato subito tutto il suo sostegno. Speriamo che vada bene, speriamo che funzioni, Jerry. Ci tengo, sai? Credo sia l’ultimo aspetto di cui devo occuparmi. La mia salute mentale. Ho molti ostacoli ancora da superare, ma piano piano ce la sto facendo e non voglio fermarmi. Più ne superi più ne vuoi superare e sai che ce n’è sempre uno, sempre uno. Non finisci mai, non è una corsa con un traguardo finale. È una corsa e basta. - Jacoby parla ancora fino a che non arrivo a casa sua, mi invita ad entrare ma se aspetto ancora si fa troppo tardi poi, così rifiuto ma sorrido, gli prendo il bavero della giacca, lo tiro a me e veloce, dopo aver controllato di essere io e lui soli, lo bacio sulla bocca.
- Sono così fiero di te! - tutto qui, solo questo.
Ma lui si illumina completamente, mi fa un gran sorriso e mi bacia a sua volta irruente.
- Grazie, senza di te non sarei mai andato. - ci posso anche credere vista tutta la fatica che ha fatto per decidersi, per questo anche se era una follie accompagnarlo l’ho fatto lo stesso senza esitare.
Del resto cosa non faresti per aiutare l’uomo che ami più di ogni altro al mondo?
- COSA?! NO! MAI! SCORDATEVELO! NON SARÀ MAI E CON MAI DICO MAI! FANCULO CAZZO! MA SAPETE COSA MI STATE DICENDO? -
La voce di Jacoby ci trapana il cervello con una potenza da primato ed io che ce l’ho vicino come ogni santa volta che ci troviamo a fare qualunque cosa insieme, mi sento sentitamente assordato.
Mi sposto e mi tappo l’orecchio aspettando paziente che finisca.
Gli altri lo guardano indulgente mentre il manager mi fissa implorante.
Il manager.
Quel povero uomo che vede di farci avere una lunga carriera e che soddisfa ogni nostro desiderio.
È lui che ci dà i contatti per lavorare con la gente migliore, con James è stato lui. A scaricare ci pensa Jacoby, ma per trovare qualunque cosa rientri nelle nostre necessità c’è lui. È molto bravo e un giorno sarà santo.
- Senti, ti chiedo solo di prendere in considerazione la cosa. E poi voglio sentire il parere degli altri, è una cosa che dovete decidere insieme. Questa coppia di produttori è molto brava e prende due generazioni diverse, perciò vi offre un’ampia prospettiva su cui spaziare, capisci? Voi volete sperimentare sempre cose nuove ma non troppo diverse dal vostro io di base. Perciò capisco che sia ora di cambiare. Loro due sono due ottimi produttori, padre e figlio, due prospettive diverse unite insieme. -
- Sì ma si lavora qua a Sacramento! Non a Las Vegas! CAZZO! - E con questo Jacoby sbatte la mano sul tavolo facendo tintinnare piatti e bicchieri. Tutti si tendono sul posto ansiosi per questo suo scoppio, era da molto che non succedeva ed una volta erano abituati, ma una volta quando partiva faceva disastri. Succederà di nuovo? Sono qua a chiederselo.
Io gli metto la mano sulla coscia sotto il tavolo, nessuno vede ma da come si calma è chiaro che qualcosa ci è riuscito. Poi io parlo e capiscono che sono io, come sempre.
- Jacoby, loro lavorano a Las Vegas, si tratta circa di due o tre mesi, dipende da quanto siamo veloci. -
- I Churko producono ed hanno prodotto gruppi e cantanti di tutto rispetto... - Fa presente Tony il quale è evidentemente schierato per il sì. Come tutti noi, in realtà.
- La questione di lavorare con due generazioni diverse insieme è stimolante, sicuramente ci possono dare delle visioni tradizionali ed innovative insieme. - continua calmo Tobin. Io annuisco.
- Lavorare con loro sarebbe grandioso, il loro studio è Las Vegas e capisco le tue problematiche nel vivere per qualche mese in quella città, proprio quella... ma ora non sei come una volta, hai fatto dei miglioramenti stratosferici e noi ti daremo tutto l’aiuto che ti serve, sul serio... -
Spreco più di quattro parole e lui mi ascolta solo perché sono io a parlare. Sospira e chiude gli occhi scuotendo la testa, si strofina il viso e preme le dita sulle palpebre chiuse schiacciando.
- Fanculo, fanculo, fanculo... - brontola in seria difficoltà. Poi riemerge con l’aria allucinata: - Las Vegas è la città della perdizione, è piena di tentazioni, feste ogni giorno ad ogni angolo, per uscire e distrarti devi distruggerti per forza, funziona così in quel posto di merda. È come l’inferno per me! È da un anno e mezzo che sono pulito, un anno e mezzo, non è mica una vita! Ho appena fatto un paio di sedute dallo psicologo dopo una vita che ne avevo bisogno, incontro un prete da un anno e faccio i gruppi, non sono arrivato da nessuna parte! Come potete portarmi là per 3 mesi? -
Jacoby sembra seriamente intenzionato a negare questa opportunità, di solito è sempre stato democratico per le scene del gruppo, soprattutto se c’erano in ballo grandi occasioni come queste, ma ora si sta impuntando per qualcosa di personale, capriccioso da un certo punto di vista.
Gli altri non osano parlare perché tutti vogliono lavorare con i Churko, però capiscono che è una scelta delicata per Jacoby rinchiudersi in uno studio a Las Vegas proprio ora.
Lui li guarda smarrito, gli occhi pieni di lacrime e capiamo quanto stia male e sappiamo tutti che non lo forzeremo mai, che saremo noi a cedere in un caso come questo, ma ci costa sacrificio. È la prima volta che qua si rischia una rottura lavorativa.
Per fortuna non ci sono effettive teste calde se non Jacoby, o meglio il vecchio Jacoby.
Alla fine non riuscendo più a trattenersi si alza e si allontana dal tavolo, sparisce come un fulmine nel bagno ed io sospirando paziente guardo gli altri che guardano me e tutti sappiamo che toccherà a me mediare.
- Dateci un po’ di tempo, penso di poterlo convincere. -
- Non vogliamo fargli avere una ricaduta. Pensi sia pronto? - Chiede Tobin mettendo una mano avanti. Prima di alzarmi mi aggrotto e ci penso seriamente un secondo, poi sicuro di me annuisco.
- Sì, è pronto. È il passo in avanti di questo mese. Ogni mese ne fa uno ed è sempre più grosso. Voglio che continui così. Sta andando molto bene. Questo è nelle sue corde, ne sono sicuro. Ha già fatto un tour dopotutto. -
Ed è anche questo il punto principale su cui premerò con lui per convincerlo. Deve capire che è pronto, ha paura di non esserlo ed è normale, ma si deve fidare di me. Io so che è pronto.