*E' un capitolo metà riflessivo, metà interattivo diciamo così. All'inizio Jerry fa i conti con il salto dalla casa fatata e la vita da sogno con Jacoby, a quella che è la realtà, ovvero la vita con sua moglie e sua figlia, dove la persona chi ama in realtà è un amante pieno di problemi sempre lì. E poi torna a rivederlo e si rende conto che è sempre lì in bilico, che la casa fatata non l'ha curato davvero, l'ha solo messo in ghiaccio. Però ormai lui ci è cascato, è già troppo innamorato per riuscire come prima a metterlo a giusta distanza per sopravvivere. Le cose si prospettano complicate. Ci sono dei pezzi tratti dalle vere interviste che hanno fatto lui e Jerry, dove Jacoby dice davvero quel che ho scritto qua ad un certo punto. Buona lettura. Baci Akane*
45. DA UNA VERSIONE ALL’ALTRA
"Sto camminando sui vetri rotti
dal relitto del mio passato
Sono rinchiuso in una gabbia,
perché sono prigioniero dei miei metodi"
Tornare fra i vivi è strano, è come passare dal sogno alla realtà.
Mi sconvolge rientrare in casa con la valigia, baciare le labbra di mia moglie e non quelle di Jacoby e mentre vedo la piccola Amelia nella carrozzina che dorme è come se mi dessero un pugno allo stomaco.
Le ho viste in questi 3 mesi, ma era diverso, era come una strana parentesi, era come se fosse quello il sogno nella realtà. Tornavo da Jacoby in giornata e tutto si ristabiliva.
È come se mi avesse drogato, traslato dalla realtà in un’altra dimensione ed io lentamente non ci ho più pensato. Ho annullato la verità, ma ora mi sta davanti agli occhi e mentre carezzo mia figlia, mi sento male, così male che mi viene da vomitare al pensiero che ho due vite ben distinte e completamente diverse e che sono diventato proprio quel che ho in qualche modo cercato di evitare.
Amo Jacoby ed ho una figlia con un’altra donna.
E non intendo far soffrire nessuno, non di certo loro. Le vedo felici di riavermi, Jessica mi chiede quanto starò a casa, quando ricominceranno i tour e cose così, per vedere quando potrà venire. Nelle date più vicine di solito viene, lei e Kelly solitamente si mettono d’accordo.
Io rispondo come un automa, la mia vita ricomincia da dove l’avevo interrotta, lo stomaco continua a stare chiuso, mi dice cosa c’è da mangiare per pranzo ed io dico che non ho fame, lei mi chiede se sto bene e così mi sforzo.
La vita va avanti e vorrei cancellare tutto, ma non posso.
Sai, vivendoli a periodi forse sarebbe possibile. Prima era il periodo di Jacoby, vivevo per lui, loro non c’erano. Adesso è il periodo della famiglia, Jacoby non c’è.
Si può fare così. Ma quando si va in tour tutto si mescola e diventa un casino.
Troppa gente intorno, troppe tentazioni, troppi stimoli, troppa pressione e poi ci sono le tappe in cui ci sono le nostre famiglie. E lì sì... lì sì che è un casino. I due mondi vanno in collisione ed è un macello.
Non so davvero come farò, oh non lo so proprio.
Rivederlo è quasi sconvolgente, ci ritroviamo non molti giorni dopo in studio per risentire quel che abbiamo fatto e rivederlo. Ci sono alcune tracce da ritoccare, come diceva Jacoby, così ci mettiamo al lavoro per ultimare l’album che ancora non ha un nome. Dobbiamo anche stabilire la sequenza.
Sono sempre il primo ad arrivare, perciò saluto uno dei tecnici che è già arrivato e sta sistemando il lavoro per prepararlo e rimetterci mano, seduto nella sua stanza davanti ai vari monitor e attrezzature, è perso per conto suo, così io mi accomodo nell'altra stanza con gli strumenti, mi siedo sullo sgabello, prendo la chitarra elettrica, l’attacco, accendo tutto e assorto mi metto a suonare. Le note si perdono fra le pareti insonorizzate ed isolate in modo da far risaltare bene il sound, le casse rimandano amplificate quel che produco sovra pensiero. Rivedrò Jacoby dopo quell’esperienza quasi mistica nella casa fatata, dopo essere passato da lui a Jessica e Amelia. La piccola è meravigliosa ed ogni volta che la vedo penso che non merita le mie menzogne, ma so che è troppo piccola per capirlo. Poi mi ripeto che tanto lei la amerò in ogni caso, non potrei amarla di più anche senza Jacoby. È solo che è nata non per frutto d’amore, ma perché è questo che fanno marito e moglie. Ho fatto ogni cosa per questo. Ci si sposa, si fa casa, figli. E perché sposarmi? Perché Jacoby l’aveva già fatto e comunque la mia vita non sarebbe mai stata con lui, non pubblicamente. Perciò dovevo trovarmi un diversivo, tentare la strada giusta, almeno provarci. Andare nel posto giusto a fare le cose giuste quando scendevo dal palco.
La cosa che mi sconvolge è che ci riesco. A passare dal palco dove sto con lui, alla casa dove sto con lei. E lei non sospetta nulla, non si sente meno amata di sempre, non realizza, non immagina. È come sempre. Significa che sono così bravo a fingere, o forse che non l’ho mai amata davvero e perciò non capisce la differenza. Non sa come faccio io quando amo davvero. Il viverla così poco mi aiuta a non averne abbastanza, che ci sia o meno non cambia nulla, non mi irrita e non mi infastidisce, le voglio bene, provo un grande affetto, ma non c’è quella cosa che mi fa diventare matto come quando sono con Jacoby. Eppure proprio per questo sono terrorizzato da lui, perché quando sono con Jacoby ogni istante mi sembra di perdere il controllo, di non resistere, di non esserci.
Provo così tante cose, così forti, ogni volta, che mi turbano, mi mettono a disagio, mi sconvolgono. Il mio corpo è un continuo burrascoso uragano quando sono con lui e la cosa mi fa star male, le emozioni mi fanno star male, non sono abituato, non riesco a viverle così. Però con lui sono inevitabili. Per questo mi serve qualcosa che contro bilanci questo stato disastroso. Questo essere così tanto vivo con lui.
Quando la porta sbatte non ho bisogno di sapere che è lui, mi giro rimanendo esattamente come sono, seduto dritto e assorto, lo guardo così e lui entra, si ferma subito meravigliato che ci sono solo io, non nota il tecnico nello stanzino. Appena mi vede il suo viso si rischiara e si rilassa, poi viene subito verso di me ed è un lampo, ma riesco a prevederlo e senza scompormi e mettere la mano avanti lancio uno sguardo allo stanzino indicando che lì c’è qualcuno. Per miracolo Jacoby si ferma, si gira, vede il ragazzo al lavoro e fa una smorfia così mi fa poi cenno se andiamo da qualche parte da soli ed io, in silenzio, metto giù la chitarra e lo raggiungo.
Appena siamo in quella che è una specie di saletta relax, al momento completamente vuota, piena di divanetti, una macchinetta per le bevande ed il caffè e qualcosa per distrarsi fra un’ora di lavoro e l’altra. C’è anche il tavolo, delle sedie. Ci si siede lì e si stabiliscono le cose da fare, molto spesso.
Appena chiudo la porta dietro di me, lui mi viene contro irruente come sempre, mi prende il viso fra le mani e preme la bocca sulla mia.
- Cazzo se mi sei mancato! - Io sorrido mettendogli le mani sui fianchi mentre è come se tornassi a respirare. Per un momento sono stordito, mi sembra assurdo passare da una modalità all’altra ed è uno schiocco di dita e ci riesco.
- Sono passati pochi giorni, eh? - Gli faccio notare. Lui ridacchia e mi tira il labbro coi denti, gli occhi chiusi in totale rilassamento. Lo faccio stare bene. Lo faccio ancora stare bene.
- Sei il solito insensibile! - E così la mano corre fra le mie gambe a toccarmi per bene il pacco. Sorrido divertito mentre le nostre bocche prendono fiato, ma non lo fermo dal stuzzicarmi. Mi era mancata la sua mano lì, così come la sua bocca qua. E la sua lingua. Ed il suo sorriso malizioso.
- Se non fossi così sarebbe già tutto a puttane. - Ed è vero perché se io non controllassi cinicamente la situazione facendo proprio quel che va fatto, sarebbe la fine.
- E se io non fossi così, tu saresti depresso! - E probabilmente è vero anche questo, ma mi era mancata pure la sua voce. Oh quella sì che mi era mancata. Mi eccito subito e lui lo sente sotto le dita che mi definiscono l’erezione attraverso i jeans, adesso ho un problema. - Però devo dire che non si noterebbe la differenza fra te depresso e te felice, sei sempre uguale. Sei depresso Jerry? Perché non dimostri se... - E parte con il vortice di parole da disturbo dell’attenzione. A questo punto lo spingo bruscamente e faccio per andarmene.
- Così mi si ammoscia! - Brontolo secco, a questo punto mi riprende e irruente come sempre mi spinge contro la porta, dove ero prima, si inginocchia davanti a me, mi apre i jeans e me lo tira fuori. Così si zittisce mentre me lo lecca e poi lo succhia.
Appoggio la testa alla porta dietro di me e chiudo gli occhi sospirando compiaciuto.
- Ora si ragiona! - Sussurro nel piacere.
Sei un idiota Jerry. Non stai tenendo per niente in mano la situazione. È lui che la tiene. Nella bocca, fra l’altro. E come succhia, cazzo!
- Jacoby sto per... - Ma non riesco a finire e a staccarlo che gli vengo in bocca, ma questa volta si separa, rimane giù in ginocchio davanti a me e con un sorriso maledetto ingoia facendomelo vedere.
Alzo gli occhi e impreco.
- Cristo Santo Jacoby! - La mia tipica frase.
Lui si alza soddisfatto e mi bacia prepotentemente facendomi sentire il mio sapore, non so se vomitare o eccitarmi ancora. Decido di lasciarlo fare, come sempre.
- Dovevo recuperare... - Credo che lui pensi che dopo la casa fatata noi continueremo così, come due amanti a tutti gli effetti che si fanno in ogni angolo ogni momento che si vedono.
Non so che tipo di relazione dovrebbe essere e cosa dovrebbe darci, non so nemmeno se dovrebbe fargli bene. Però so che non sarà così facile. Perché con lui niente è mai facile. Niente. Ma finché lo sembra, lasciamoglielo fare e vediamo quanto va avanti.
Quando torniamo di là ci sono già Tobin e Dave, che stranamente non ci hanno cercato. Ci sono anche gli altri della produzione e vari tecnici, tutti pronti per completare il lavoro.
- Ah c’eravate! - Dicono sorpresi di vederci, annuisco pacifico e mi rimetto alla mia postazione, Jacoby si mette a fare il matto sedendosi alla batteria di Dave, beccandosi per questo insulti. I due fanno come sempre i bambini ed in un attimo nessuno si chiede dove fossimo e cosa stessimo facendo. Non mi stupisce per niente.
- Jerry, a cosa pensavi prima? - Chiede improvviso John il ragazzo che prima sistemava i pezzi registrati nella mansione.
- Perché? - Chiedo sorpreso, come se mi avesse colto in fallo.
- Ho registrato quel che stavi suonando perché era molto bello, potreste usarlo in qualche modo. Senti qua! - E così lo fa partire. In effetti è un pezzo piuttosto bello e triste, suggestivo.
Tutti fanno i complimenti e si pensa a metterlo come assolo in una delle canzoni, partono dicendo che era una delle cose a cui pensavano per perfezionare alcune di quelle che... e bla bla.
Per fortuna non torna a chiedere a cosa pensavo, pensavo a Jacoby.
Non mi stupisce proprio che ogni volta che penso a lui mi parte qualche riff particolare.
In un paio di giorni lavoriamo sul resto dell’album e facciamo quel che dovevamo. Jacoby non molla l’osso finché non è completamente soddisfatto, ma alla fine abbiamo il nostro quarto album in studio, The paramour session, così l’abbiamo chiamato.
Successivamente facciamo molte altre cose, foto di promozione con il nostro nuovo look, si stabiliscono inserimenti extra e copertine, merchandising, insomma un sacco di cose. Poi partono le prime interviste, arrivano le prime date e decidiamo per un tour mondiale, come sempre.
Quando si gira con Jacoby in mezzo ad altre persone, lui è sempre marcato ed esagitato. Davanti a fotografi ed intervistatori è sempre un’espressione forzata, smorfie, facce buffe e poi ancora atteggiamenti esuberanti.
Fa delle sparate che sembrano dei capolavori da incorniciare.
Quest’oggi parlando del nuovo album e spiegano il modo diverso in cui è stato fatto, riesce a fare paragoni col sesso.
Quando dice che i nostri album sono come il sesso, dopo un po’ devi cambiare posizione a letto altrimenti se fai sempre la missionaria non raggiungi più l’orgasmo, per poco non mi metto a piangere dal ridere. È impossibile che lo dica sul serio e sicuramente non se l’era nemmeno preparata. L’ascolto incredulo e lui ancor più felice di avermi fatto ridere, continua con questa similitudine col sesso.
Quando uno è idiota, è idiota.
Saluta facendo battute idiote e ridendo, poi appena saliamo in macchina si appoggia con la testa alla nuca e si quieta, come se gli avessero staccato la spina. Pochi minuti da soli prima di passare alla prossima tappa, una sessione di foto, sempre io e lui insieme per oggi.
- Tutto ok? - Chiedo sorpreso. Lui alza le spalle ed annuisce.
- Sarebbe fuori luogo un goccetto? - Chiede serio, io lo guardo corrucciato.
- Sei serio? - Così si riscuote e si ricorda che sta provando a rimanere sobrio e così mi dà uno schiaffone forte nella coscia che mi fa urlare.
- Scherzavo, lo sai che sto cercando di fare il bravo! -
Mi massaggio rimanendo forzatamente tranquillo, poi dopo un po’ che guido verso altri studi, torno a parlare serio:
- Hai voglia di bere per essere quello che loro si aspettano? - alza le spalle.
- Scherzavo, dai... - ma io scuoto la testa deluso perché ora non vuole parlarne nemmeno più con me.
- A volte è più facile, altre più difficile. Quando sono coi ragazzi lo forzo un po’, ma in realtà mi viene abbastanza naturale. Sai, voglio dire... non sono sempre così oppure colà. Sono un po’ entrambi, ma non sempre e solo una modalità. Capisci? A volte ho voglia di stare per i cazzi miei e magari coi ragazzi posso isolarmi che non mi rompono il cazzo. Però quando divento ufficialmente il frontman dai Papa Roach non posso prendermi un momento per fare che cazzo ne so, il serio. Non posso. Devo sempre avere qualche modalità fuori dall’ordinario, perché si aspettano questo. Sono... sono schiavo dei miei modi, è colpa mia. - è un discorso che avrei sempre voluto affrontare, ma ora non c’è tempo. Arriviamo al posto e parcheggio, prima di scendere gli prendo il polso e mi faccio guardare serio.
- Bere non è comunque un modo per attaccare la spina e fare meglio quel personaggio che loro vogliono. - Capisco bene la cosa dell’essere schiavo del personaggio pubblico creato, lo vedo da solo che funziona così nel mondo dello spettacolo. Però non voglio che lo rovini. Lui fa un’espressione cinica.
- Però è il solo modo per farlo più a lungo. - Con questo esce e mi lascia qua ad imprecare.
Quando la provi una volta è difficile uscirne se non guarisci dentro.
Quando si deciderà? Quando lo farà? Quando tirerà fuori la bestia che ha dentro, quel maledetto ronzio che non so proprio se sente ancora quando siamo insieme o no?
Davanti ai riflettori per questi benedetti scatti, ci guardano entusiasti e fissano Jacoby in attesa che faccia qualcosa alla Jacoby, di pazzo. Ed io so che lui ora ne è pieno e so che ha un sacco di altri impegni in questi giorni che lo obbligheranno a stare così su e mi chiedo come faccia a casa, come stia andando. Non gliel’ho nemmeno chiesto.
Così mi metto davanti, anche se di solito amo stare dietro e non mettere in mostra, piego la testa e faccio una smorfia come fa lui di solito. Odio farmi vedere, odio fare la parte di Jacoby, ma mi rendo conto che se non la fa mai nessuno perché tutti aspettano che la faccia lui, prima o poi riprenderà a bere. Perché nemmeno lui ne può più, perché non è quello il Jacoby più vero, non sempre.
Lui mi guarda sorpreso, sembra che si riabbia e poco dopo siamo qua a fare smorfie insieme davanti al fotografo.
Da qui prendo questo vizio di fare smorfie davanti alle foto come fa lui, non so se questo lo aiuti, forse a non sentirsi il solo ‘Jacoby’ di turno. Forse un po’ sì, mi piace pensarlo.
Spero proprio di sì, onestamente.
Lo saluto anche oggi dopo la sessione, questa volta con tutto il gruppo. Da domani si comincia con i primi concerti. Abbiamo stabilito gli ultimi dettagli, ci salutiamo, ci guardiamo negli occhi un istante prima di salire ognuno nella propria macchina, in questo momento in cui non c’è nessuno intorno e siamo al parcheggio coperto dello studio, per cui aspetto che si avvicini, gli prendo la guancia e lo pizzico con aria seria e calma come mio solito. Lui fa un sorriso particolare, ma nel fondo dei suoi occhi leggo la paura. La paura dell’inizio del tour.
Se queste promozioni lo hanno turbato, figurati cosa sarà lo stress del palco.
- Jacoby, come vanno i ronzii? - Chiedo di punto in bianco aggrottato. - ricordo che sotto stress tu li sentivi... ma non ti vedo scacciare mosche immaginarie e sbattere la testa... - Fa un espressione particolare, un po’ triste, un po’ vergognata.
- In questi giorni è capitato, quando volevo solo spiaccicare la mia bocca sulla tua ed invece avevo Kelly al telefono ed un sacco di gente intorno che non mi mollava un fottuto secondo. Ogni tanto lo sento, quando litighiamo, quando c’è qualcosa che mi stressa. Però mi gratto la cicatrice sulla testa e si calma. - Colpito da questo suo modo personale di affrontare le sue magagne, sorrido sorpreso e compiaciuto, poi lo bacio io per primo e a lui piace quando sono io.
- Andrà tutto bene, puoi ancora dirmi tutto. - Lui annuisce e mi bacia a sua volta.
- Lo so, solo che a volte ho paura che se ti stresso troppo, scappi. Come cazzo fai a sopportarmi? - Dice poi ridendo forzato, io appoggio la fronte alla sua.
- Sono un santo. - Lo assecondo, così si tranquillizza e mormora un piccolo:
- Grazie. - Poi andiamo via. Sa che ‘l’andrà tutto bene’ era per il tour che lo carica e lo terrorizza insieme. E poi abbiamo una sensazione su questo tour ma non ci possiamo fare molto.
A casa, con ancora la sensazione delle labbra di Jacoby sulle mie, bacio mia moglie e per nulla turbato la guardo negli occhi calmo dicendo che è andato tutto bene e confermando le date in cui potrebbero venire lei e Kelly.
E ci riesco a baciarla dopo aver baciato Jacoby.
Riesco a passare da una modalità ad un’altra. La cosa è sconvolgente di quanto io sia bravo a gestire entrambe le due vite.
Ora la questione non è mia, non lo è mai stata in realtà. La questione è quanto Jacoby riuscirà a gestire le sue varie modalità. Perché è sempre stato questo il fatto.