*Dopo il grande casino con Dave, Jacoby scappa e Jerry lo insegue col cuore in gola, convinto che questa volta sia deleteria, che non lo recupererà. Dave era un amico importante, il lasciarsi male proprio con lui non lo aiuterà ed è in momenti come questi che ogni demone esce nel peggiore dei modi. Jacoby ha sempre parlato dei suoi problemi di doppiezza nelle sue interviste e nelle canzoni e soprattutto di come è difficile per lui vivere le emozioni in modo normale. Buona lettura. Baci Akane*
52. VICINO AL BARATRO
"Concepisco la mia scomparsa
Qui per la vita – La vita che perdo
É il momento di dire addio (Addio)
Per svanire, svanire da solo
(addio figlio di puttana!)
Voglio solo che mi riporti,
riportami a casa (riportami a casa)
In un posto migliore che non ho mai conosciuto"
- Jacoby, dove sei? - Al decimo tentativo mi risponde, ma sento il rumore del mare e so dov’è immediatamente.
Giro subito l’auto e vado verso il mare, il nostro posto. Dove tutto è iniziato, in un certo senso.
Spero di tenerlo al telefono finché arrivo, il cuore mi va velocissimo in gola, il terrore è nero dentro di me, mi sembra sia un buco nero che mi risucchia e faccio fatica a rimanere lucido.
Come fa lui a vivere sempre così?
Non mi biasimo per scappare dai sentimenti e dalle emozioni, ma come fa lui a viverle tutte al cento percento? Ci credo che dopo un po’ si schiaccia.
Eppure so che ha qualcosa che non mi ha mai detto, qualcosa legato ad un passato che non ha raccontato a nessuno.
- Jacoby, parlami per favore. - Al suo ennesimo silenzio aumento l’andatura e mi scappa un tono disperato: - ti prego! -
- Sto bene. Sono qua. Guardo il mare. - Mormora piano e roco.
- Sto arrivando, mi aspetti lì? - Chiedo fintamente calmo.
- Non mi ci butto, stai tranquillo. - E rido perché è ancora l’unico che mi capisce fra le righe, non so come fa.
- Ne sono felice, com’è, oggi? - Alza le spalle.
- Solo per i surfisti. - Allora ci sono onde, guardo il cielo e lo vedo annuvolato, il solito vento.
- C’è poca gente in spiaggia? - Da un lato spero ci sia una gran folla, almeno se si butta dovrebbero notarlo, ma noi andiamo in una spiaggia libera e non c’è mai moltissima gente lì.
- Sì, poca... -
- Ti fa male la bocca? - Ridacchia.
- Non tanto da non parlare... -
- Dovresti fartela medicare. - Per fortuna arrivo subito, non ero lontanissimo dal posto.
Parcheggio vicino alla sua macchina e col telefono all’orecchio lo raggiungo, è seduto sulla sabbia a guardare le onde che infuriano anche se non malvagie. I surfisti si stanno divertendo e le nuvole non rendono impossibile la permanenza.
Quando mi siedo vicino a lui, mi guarda e sorride chiudendo il telefono. Il sangue sul suo mento e sulla sua bocca, scuoto la testa e apro la bottiglia che mi ero portato apposta, bagno un fazzoletto di stoffa e inizio a pulirlo senza dire nulla.
Il vento ci scompiglia i capelli, i miei ormai sono ben lunghi rispetto a come erano all’inizio. Mi danno fastidio e gli finiscono in faccia, così lui ridendo me li prende da davanti e me li lega dietro senza farmi girare per facilitargli il compito. In questo modo, con io che gli pulisco la bocca dal sangue e lui che mi fa la coda da davanti, finiamo ancora più vicini ed allacciati e succede qualcosa in questo momento.
In mezzo al vento e al rumore del mare, qualche spruzzo si sporca di salmastra.
Non siamo completamente soli, qua. Ed è giorno.
Però non lo sto allontanando e non sto facendo nulla per ricordargli cosa si deve o non deve fare.
E lui lo realizza.
Finito con la bocca, gli carezzo la guancia e appoggio la fronte sulla sua chiudendo gli occhi rilassato vedendolo ancora qua, incredibilmente bene.
- Perdonami se gliel’ho detto, ma ho dovuto. Mi hai terrorizzato, avevo paura che la tua mente si spezzasse. - Esterno di rado queste paure. Esterno di rado qualunque cosa, però lui capisce lo stesso.
Lui mi prende il giacchett0 e lo stringe tirando un po’, ma non cerca un bacio o qualcosa che non potrebbe avere qua.
Questo mi fa capire che è perfettamente in grado di gestirsi e trovare un equilibrio, ma loro che ne sanno? Che ne sa il mondo? Nessuno sa proprio niente di lui, davvero.
- Non importa niente, io starò sempre al tuo fianco. Ti aiuterò qualunque cosa arriverà ora. L’affronteremo insieme, ok? Come tutto. Perciò non voglio che tu molli. Mi prometti che non molli? - Trapela la paura e quei sentimenti che ho sempre il terrore a lasciar andare.
Annuisce, ci guardiamo negli occhi rimanendo così vicini come siamo e i suoi occhi tristi che si fanno forza per me, mi riempiono di mille emozioni ogni volta.
- Giuro su Dio che non importa cosa dovremmo affrontare, a costo di essere gli ultimi, ma rimarremo in piedi, ok? - Annuisce ancora.
- Ti amo, sai che non te lo dico spesso e non voglio che pensi che sia un modo per rimediare a quel che ho fatto prima, ma non voglio che la tua meravigliosa mente soffra ancora. - quando lo dico, lo vedo sorridere meravigliato e addolcito e le ombre, la sofferenza di prima scema un istante.
- Terrò duro ancora un po’. Per te. - Silenzio, poi i suoi occhi si riempiono di lacrime, si riempiono così tanto di lacrime che scivolano giù e questo dolore è così vivo ed enorme che ancora una volta sono qua sconvolto a non capire come fanno. Come fa a vivere tutto così?
- Mi mancherà un sacco Dave, non volevo che finisse così... - E con questo lo abbraccio, gli nascondo il viso contro il mio collo, una mano sulla sua nuca e lascio che pianga disperato, esagerato come sempre, che esprima ogni singola emozione come se ne andasse della sua vita.
E mi innamoro di lui ancora di più. Io morirei se facessi così, se mi abbandonassi a tutto in questo modo, eppure lui... lui è così splendido. Così meraviglioso.
Il suo corpo si scuote contro il mio e spero che non crolli emotivamente, che non si butti di più in droghe e alcool. Ripenso a quando Dave ha detto che ha abusato di droga quando litigava con me. Lo sapevo, il fatto che non volessi vedere non cancella niente.
Eppure mi stupisce che non ne sia diventato dipendente, ma Dave arriva da una lunga dipendenza, all’inizio è vero che puoi gestirti meglio e poi lui aveva me, in realtà ha sempre avuto me.
E poi ripenso a come si sentiva tutti questi anni coi suoi amici, consapevole che loro capivano che lui aveva qualcosa di diverso dagli altri, una pazzia al di là del carattere eccentrico, ma che gli è sempre andato bene perché era divertente.
Usato, ecco come si è sentito.
Ed ecco perché mi si è attaccato tanto, perché sono stato il primo ed il solo a preoccuparmi per lui, a provare a capirlo, ad ascoltarlo. Sono il primo che ho visto che anche se era divertente, non poteva stare bene.
Mi chiedo cosa pensi di me Jacoby. Per essere uno che non sa tenersi niente dentro e che parla tanto, le cose importanti si guarda bene dal tirarle fuori, eh?
In macchina mi tiene la mano tutto il tempo, come spaventato dal perdere il contatto con me o forse con la realtà. Vorrei chiedergli cosa gli sta dicendo la sua mente, ma ho paura di sentirlo.
- Prima... - Comincia da solo, sommesso. La voce roca, ha gridato e poi pianto ed ora parla. È mille cose, Jacoby, ma di certo non falso.
Lo guardo brevemente mentre guido per le vie a noi familiari dove ci siamo conosciuti 14 anni fa. Non posso lasciare che se ne torni a casa, così gli ho proposto di andare dai miei o dai suoi che non sono lontani da qua. Alla fine ci ritroviamo in un motel, come quel giorno. Lo stesso, fra l’altro. Le famiglie sono complicate, specie in certi momenti.
Ha un’aria massacrata, sembra che sia passato sotto un camion, fra l’altro ha il labbro inferiore spaccato e gonfio.
- In mezzo al ronzio... c’era una voce che mi diceva ‘ammazzalo! Fagli male! Ti ha sempre usato! Non ti capisce! Non gliene fotte niente di te! Non gliene è mai fottuto!’ Ed io ero lì a combattere con quella voce e chiedevo ‘ma chi cazzo sei per dirmi questo? Chi ti credi di essere? Non è vero che a Dave non importava di me...’ E poi mi ha dato un pugno e tutto si è zittito, ronzii e voci. Il dolore, sai... mi aiuta a zittire tutto. E poi ho capito di chi era quella voce. Ero io che me lo stavo dicendo. - Rabbrividisco.
- Non penso volessi ucciderlo e fargli male davvero. - dico paziente, impressionato da quel che dice.
Accosto e parcheggio davanti al motel e prima di scendere ci guardiamo e lui aspetta una conclusione.
Lui ora ha quello sguardo smarrito di chi non sa proprio niente ed ha paura di tutto, in particolare di sé stesso.
- Sono andato così tanto sotto pressione che mi stavo dividendo... la parte cattiva di me si stava separando da quella buona e per un momento, cazzo, ha preso il sopravvento. - Cerco di non impallidire e dimostrare la mia paura, è la prima volta che mi parla di questi sdoppiamenti.
- È come quella volta con la dissociazione? - Lui piega la testa.
- Circa, ma questa volta c’era un lato che prevaleva e non era uno bello. A volte mi capita di seguire un istinto che mi fa fare cose non proprio sane, sai... ma sono cagate, ci ridono tutti e la cosa passa. È la prima che... - tossisce perché la voce gli manca, gli occhi gli diventano lucidi. - è la prima che viene un lato cattivo. Perché lo sai, tutti siamo così. Buoni e cattivi, giusti e sbagliati. Però se cominciano ad uscire le parti negative io... io non so cosa dovrei fare... - In realtà è terrorizzato e si vede, mi stringe ancora forte la mano ed io faccio altrettanto. Come lo tranquillizzo?
- Forse è ora di parlare con qualcuno che sa darti questa risposta? - A questa evenienza lui inizia a scuotere la testa nel panico, come se gli avessi proposto di uccidersi. Forse in quel caso sarebbe più sereno.
- No non posso, se mi dice che sono davvero pazzo e mi chiude in un manicomio io non... non reggerei! Non mi spaventa la morte, mi spaventa il perdere il controllo di me, mi spaventa la gabbia, perdere la mia libertà, io... io non so nemmeno cosa mi fa paura! Forse vivere senza poter essere più me stesso, essere io, decidere per me. Vivere come uno zombie che prende medicine senza le quali fa chissà cosa e... e non so prendendole però divento privo di coscienza... io voglio essere me stesso, vivere io, io e basta. Non voglio essere preda di nessun lato folle o medicina che mi paralizza... a quel punto è meglio che mi uccida! La vita non è qualcuno o qualcosa che ti comanda, è decidere liberamente per te stesso, quella è la vita! - Jacoby ha uno dei suoi lunghi sfoghi e questo fa impressione perché i suoi occhi sono pieni di lacrime e la sua voce è piena di terrore. Ed io non so come aiutarlo.
Così, silenzioso, lo faccio scendere ed andiamo a prendere una camera. Lui rimane col cappuccio tirato su e gli occhiali scuri in viso, mi aspetta fuori mentre io chiedo una camera e dico ‘eh magari fossi uno famoso’. Per fortuna non segue il rock così bene, quest’uomo!
Prendiamo la camera ed entriamo, ci togliamo giacche, telefoni, chiavi e tutto quel che abbiamo in tasca, ci leviamo anche le scarpe e le lasciamo all’ingresso.
Non so come posso aiutarlo, è positivo che ne parli con me, ma io non sono un esperto.
Cosa posso fare con lui?
Mentre mi sto facendo queste domande, vado al bagno e quando torno lui mi abbraccia, appoggia la testa sul mio petto e fa come fanno i bambini quando sono terrorizzati da qualcosa.
Io mi immobilizzo, gli metto le mani sulla schiena e lo carezzo piano, lo sento che si rilassa, i nervi si ammorbidiscono.
Lo sento nettamente.
Sorrido.
Forse con me sta davvero meglio. Io non lo metto sotto pressione, so molte cose di lui, con me può essere sé stesso, non deve vivere delle versioni di sé che lo portano poi a sentire ronzii o ad impazzire.
Forse quel che posso fare è proprio stare con lui il più possibile.
- Tu stai meglio quando puoi essere te stesso e non devi fingere e fare quel che gli altri vogliono o credono tu debba fare. Quando puoi liberamente fare quel che ti senti di fare, senza freni. - Il che non significa fare la scimmia in bilico sul tetto, a volte è anche abbracciarmi in questo modo. Solo che se siamo da soli può farlo, se siamo con altri non può e lì partono i suoi conflitti. Certo questo discorso non è di una persona tanto a posto, ma intanto che si decide ad affrontare i suoi demoni in modo serio, a me non resta che metterci delle pezze.
Alza la testa e mi guarda interrogativo senza capire, io gli prendo il viso fra le mani e lo carezzo sistemandogli i capelli neri.
L’aria sempre spaventata e persa. Ma io sorrido dolcemente e sicuro e calmo, dico:
- Non possiamo vivere sempre facendo quel che vogliamo, ma cerchiamo di ritagliarci più che possiamo i nostri spazi e quando senti di voler fare qualcosa, scendi a compromessi. Fai magari metà di quel che vorresti, fai una parte, fai una cosa. Vuoi abbracciarmi? Se siamo fra i fan o i ragazzi o gente che ci conosce perché no? Basta che non mi tocchi il culo e mi palpi. Non serve che fai abbracci da amanti. Se siamo davanti a sconosciuti, giornalisti, fotografi no, evita. Ok? Questo genere di compromessi. So che all’inizio ti risulterà difficile, ma invece di massacrarti per frenarti del tutto, fallo, ma in modo accettabile. Fallo a metà. Capito? - La metto come se fosse facile, però aveva già iniziato e glielo faccio notare.
Nel tour, nella parte finale, dopo i concerti lui beveva e festeggiava ed io stavo lì con lui e mi facevo pur toccare perché quando beve diventa appiccicoso. Io non lo respingevo e lui non aveva voglia di andarci più pesante. E poi ad un certo punto, invece di esagerare e distruggersi, veniva via in camera con me. Questo genere di compromessi.
Provocarmi quando non possiamo far sesso perché così si diverte.
Jacoby sembra calmarsi, sospira ed annuisce. Lo vedo meglio, più sereno. Io spero. Spero proprio.
Penso che il problema principale sia affrontare il resto, questo sdoppiamento che ha avuto oggi. Il vero problema per lui è ‘sono pazzo o no?’.
Ma nascondere la testa, non l’aiuterà per molto.