*C'era una canzone dei Papa Roach  che ora non ricordo quale fosse, ma per altre ragioni ho citato un'altra, dove si parlava di qualcuno in cima ad un palazzo in procinto di buttarsi (ora i miei ricordi sono nebulosi e non ho cercato la canzone in questione, ma so che il capitolo è stato ispirato da quella canzone, presumibilmente in The metamorphosis). In un'altra canzone Jacoby esprime quest'altro concetto, dove dice che ha più bisogno di essere amato quello più difficile da amare. Insomma, solitamente quello che scrivo è ispirato da diverse cose che traggo magari da interviste, video che li riguardano magari dei dietro le quinte oppure dai testi delle loro canzoni, perché so che sono sempre autobiografici e che magari aiutato da altri, ma ci mette sempre mano Jacoby. In questo periodo lui si sente in bilico, in procinto di cambiare ma ancora non ne è sicuro e non ne è certo ed ha dei momenti di assenza, cosa che ho tratto invece da qualche sua intervista. Buona lettura. Baci Akane* 

56. SULL’ORLO DELL’IGNOTO

jerry jacoby

"Vivo i giorni della guerra
Vivo le notti d’amore
Soffro per sopravvivere
Devo, devo, devo rimanere vivo
Sento i pianti di battaglia
I pugni sono verso il cielo
So per cosa combatto…
Basta segreti, basta bugie
Vedo attraverso il tuo alibi
Dai uno sguardo ai miei occhi
Basta segreti, basta bugie"

NO MORE SEGRETS

Le giornate vanno molto bene, Jacoby rinasce nel processo di creazione e il lavoro coi testi che gli fa fare James è davvero buono e utile.
Capita spesso che siamo tutti insieme davanti al tavolino, seduti nel divano, noi con gli strumenti che cerchiamo un buon riff e lui con carta e penna.
Ci sono giornate in cui è più bloccato, altre in cui va meglio.
Di norma però va spedito la sera davanti al fuoco, ma solo se siamo io e lui. Anche per me è lo stesso. 
Il fuoco lo stimola molto, gli piace un sacco, crea atmosfera... Si incanta a guardarlo seduto davanti e a volte diventa così bollente che devo dirgli io di non stare troppo vicino. Credo dipenda dai suoi istinti masochisti. Insomma, ho notato che ha anche un po' la fissa non dico del suicidio, però nella sua vita si è scontrato spesso con questa cosa e credo ne sia tormentato... Spero non gli dica mai niente di brutto la sua testolina!
Una sera di queste mentre lui è incantato sul fuoco e magicamente zitto, mi decido a tornare sull'argomento di James.
- Senti Jacoby... - 
- Mm? - non distoglie lo sguardo.
- Volevo parlarti di James... - a questo scoppia a ridere ed il suo viso col colore del fuoco si illumina. 
- Non dirmi che sei ancora geloso! Occhio che queste sono cose da fidanzati! - mi prende in giro ed io lo lascio fare, poi paziente e calmo riprendo, anche se è molto difficile per me parlare.
- No, è che forse sono diffidente io di natura, ma non vorrei che stesse facendo apposta a piacerti per... Sai, controllarti... - lui solleva la testa e finalmente mi guarda lasciando perdere il fuoco. 
- Sei iperprotettivo con me, ti adoro per questo! - ma non mi risponde.
- Tu... Tu pensi che sia sincero con te? È pur sempre un produttore che deve fare i suoi interessi... - 
Jacoby ci pensa un po', poi piega la testa e si incanta sulle note che tiro fuori con la chitarra acustica... 
- Non so, non sono bravo a giudicare la gente. Ma starò attento. - questo mi fa sentire un po' meglio. Sorrido e poi appoggia il mento sul mio ginocchio posando i suoi meravigliosi occhi azzurri sulle mie mani.
- Ti piace? - annuisce.
- Bello... - 
E così nasce March out of the darkness. 

Mi sveglio per uno strano bagliore nel sonno, come se ci fosse qualcosa... quando apro gli occhi vedo che effettivamente c’è qualcosa. Guardo bene e vedo una luce che va e viene, non identifico bene il posto, così mi giro e cerco. Fuoco? 
No, accendino. 
L'ombra va e viene a seconda di come si accende e si spegne. 
Jacoby è seduto in un angolo della camera, per terra, e gioca con l’accendino. Solo che non lo spegne in modo normale, lo spegne con il dito. 
Quando lo realizzo mi metto di scatto a sedere accendendo la luce del comodino, appena lo faccio lui mi guarda come un gattino selvatico sorpreso in una casa sconosciuta. 
I suoi occhi azzurri brillano anche nel buio, i capelli neri scarmigliati. 
- Ehi... - Mi avvicino accucciandomi davanti a lui, gli prendo le mani e gli tolgo subito l’accendino, poi cerco di guardare le sue dita. Non capisco bene, credo abbia i polpastrelli neri. - Che fai? - Chiedo cercando di rimanere calmo, il cuore mi batte fortissimo, è un risveglio a dir poco traumatico. 
- Ecco... non riuscivo a dormire. - Mille cose mi vorticano nel cervello in un istante. Da un testo positivo dove vuole uscire dalle tenebre, ad un momento di autolesionismo?
Sembrava andasse tutto bene ed ora non so come affrontarlo. Ho la tentazione di chiamare James e chiedergli ‘ehi genio, come la devo affrontare questa?’, ma rimango calmo e non so come faccio. 
- Potevi svegliarmi... - Si stringe nelle spalle. 
- Mi dispiaceva, dormivi così bene... - 
Gli bacio i polpastrelli ed istintivamente, nonché molto stupidamente, glieli lecco come se potessi curarglieli.
- Perché spegnevi il fuoco con le dita? - Si stringe ancora nelle spalle, un po’ perso, come se non capisse di cosa parlo. 
Sospiro e chiudo gli occhi. Stai calmo Jerry. Ti prego. Non mostrargli la paura che hai ora. 
- Sentivi il male? - Chiedo piano. Lui ci pensa e non sa rispondere. - Ti sentivi strappare via di nuovo? - 
E quando lo dico abbassa gli occhi vergognandosene. 
- Ho sognato di vedermi dall’alto. Io dormivo nel letto abbracciato a te. Poi non capivo se ero sveglio, così mi sono messo a sedere e sono tornato in me. Avevo paura di tornare a dormire e non capivo se ero ancora io o se stavo sognando e non riuscivo a svegliarmi, così ho preso l’accendino per non svegliarti ed ho provato a fare luce. Poi... poi ecco... volevo capire se ero ancora vivo... - Mi raggelo. Me lo racconta come se parlasse di un sogno, ma lui si stava davvero scottando le dita. 
- Ma sentivi il fuoco? - Piega la testa incerto. 
- Non lo so... - 
Chiuderei gli occhi terrorizzato in casi normali, ma non posso farlo. Mi strofino le labbra e mi avvicino a lui, lo bacio dolcemente. 
- Non farlo più, svegliami e chiedilo a me. Ok? - Lui annuisce dispiaciuto, capisce che sono preoccupato e non vuole preoccuparmi, ma è peggio se si ferisce per sentire il suo corpo. 
Dopo di questo lo tiro su per mano e lo porto a letto, me lo stringo forte e gli faccio inevitabilmente sentire quanto batte forte il mio cuore. 
Cazzo, come faccio? 
Lui non dice nulla e non so nemmeno se è ancora in sé.
Il resto della notte non dormo nulla. 


Succede un’altra volta, non ravvicinata. 
La composizione delle canzoni va molto bene, penso staremo meno dell’altra volta. 
Però un giorno non troviamo Jacoby e appena realizziamo che non è nei dintorni a fare casino, impallidiamo. Il cuore mi va subito nel petto, non ho detto niente a James che pensa di sapere come gestirlo, per cui pensa subito che stia preparando qualche scherzo, anche Tony la prende leggera, però Tobin deve aver capito che sta cosa va presa seriamente. L’ha visto litigare con Dave. 
- Diamo un’occhiata? - Dico cercando di risultare normale. Quando lo dico James capisce subito che sono preoccupato e se sono preoccupato io, allora potrebbe essere pericoloso davvero. 
In un attimo si scatena una caccia a Jacoby, io sono fuori nell’immenso giardino della mansione, di solito gli piace girovagare per schiarirsi le idee. 
Non so di preciso cosa sia che mi fa alzare la testa, ma per qualche miracolo lo faccio ed è qua che mi raggelo. 
Spalanco gli occhi mentre metto a fuoco la sua forma sul tetto, davanti ad una di quelle finestre che spuntano dalla mansarda. 
È seduto praticamente lì, sul cornicione, quasi. 
E guarda giù. 
Le gambe si irrigidiscono, le ginocchia diventano di cemento. 
Non credo di respirare, non credo di stare facendo niente in effetti. 
Eppure dovrei. Dovrei essere pronto, reagire, insomma scattare. 
Ma lo vedo lì sotto il sole che lo colpisce, guarda sotto e non posso vederlo bene, ma sono sicuro che la sua espressione sia incolore. Lui non è davvero lì. 
Non so come trovo la forza di andare, visto che sarebbe più facile chiedere a qualcun altro di andare. Ma sto zitto e vado di sopra, faccio le scale col terrore più sacro. Non sai cosa sia la vera paura fino a che non ti sei trovato davanti uno su un tetto e non hai la minima idea se voglia buttarsi giù. 
Ci sono dei momenti in cui non sai cosa devi fare, sai solo che lo devi fare. E lo fai. 
Prego una forza ultraterrena in cui non ho mai creduto che me lo faccia acchiappare, ma cosa diavolo si dice in questi casi? Proprio io che sono sempre stato un disastro con le parole?
James è bravo, è il suo lavoro. Manda lui!
No cazzo, Jacoby è mio. Sono io che lo amo, solo io lo amo in tutto questo fottuto mondo di merda ed è come ha detto lui in una delle sue canzoni. Ha più bisogno di essere amato quello più difficile da amare.
Entro nella mansarda che non avevo mai visto, un tanfo di polvere e chiuso mi colpisce, ma la luce mi acceca nel buio che vige. 
Lo vedo seduto fuori dalla finestra bassa, non credo mi abbia notato. 
Stai calmo Jerry, non puoi fare casino o cade per lo spavento. 
Lentamente e silenzioso mi avvicino, quando sono abbastanza vicino lo chiamo sommesso. Lui non sembra sentirmi. Lo affianco e spunto dalla finestra, lo guardo. Fissa giù. Sto tremando, lui è immobile. 
Cosa diavolo faccio, lo afferro di forza e lo tiro giù? 
- Ehi... - Mormoro piano, dolcemente. Ancora niente, così lo tocco leggero, terrorizzato dal fatto che facendolo potrebbe cadere o spezzarsi. Rimango coi piedi saldi nel pavimento, le mie mani scivolano sulla sua fronte e poi piano, molto piano, non so nemmeno perché, senza respirare, gli copro gli occhi. 
Quando lo faccio è come se si sciogliesse, si appoggia all’indietro, verso di me, fra le mie braccia che lo cingono da dietro. Io lo tiro e lo faccio cadere dentro la mansarda con me. 
Finiamo tutti e due per terra senza farci male perché era basso il balcone su cui sedeva. Poi, con lui steso sopra di me, lo stringo forte, chiudo gli occhi e rimango così a respirare di nuovo, mentre torno a tremare come una foglia, i nervi vanno in pezzi e una lacrima scende dagli angoli degli occhi, una lacrima che lui non vedrà. 
Dio, se esisti, salvalo. Perché ha bisogno di essere salvato ed io non so come fare. 
Non so quanto rimaniamo così, non lo mollo e non dico nulla per molto tempo. Quando ritrovo la forza, la mia voce è un sussurro, non riesco a parlare, tremo. 
- Perché cerchi di ucciderti? - La sola cosa che riesco a chiedere. Non sono mai diretto perché credo che quando uno non vuole dire una cosa, non debba sentirsi in obbligo di farlo. Però questo voglio saperlo. 
Lui mi sposta le mani dalla faccia e rotola giù da me, si mette in ginocchio e mi fissa esterrefatto, come se non sapesse cosa sto dicendo. 
- Ma io non cercavo di uccidermi. Non ho mai... - Così mi metto a sedere di scatto e lo punto col dito, è uno di quei momenti da raptus nei quali potrei picchiarlo. Trattengo sempre bene, ma a volte non posso ed ora è uno di quei momenti. 
- Stai attento a quel che dici Jacoby, perché ti conosco bene da sapere che tutti questi atti di autolesionismo che cerchi di nascondere e questo metterti alla prova in cose pericolose, so a cosa cazzo portano! E lo fai da quando ti conosco! Perciò ora rispondi, perché cerchi di ucciderti? - so che un giorno ci riuscirà. Lo guardo nei suoi occhi e vedo ora, solo ora, alla penombra di questa mansarda, un morto. 
E capisco il senso dei suoi occhi sempre tristi. Sono occhi privi di vita. 
Ma sono sempre così? Anche quando fa ridere tutti, fa scherzi, gioca? Cazzo, ora non riesco, non riesco a visualizzare. Non posso. 
Jacoby abbassa lo sguardo ed è peggio, tanto che con uno scatto imprevedibile anche a me stesso lo prendo per il colletto e lo tiro verso di me. Da fuori entra un vento gelido che si alza improvviso, siamo a febbraio e c’è un cielo plumbeo, pieno di neve pronta a scendere. Quello, probabilmente, è la somma dei nostri stati d’animo. 
- Voglio che me lo dici! Perché cerchi di ucciderti cazzo? - Ancora non riesce a guardarmi, è come privo di anima, come se i fili fossero stati spezzati. Non piange, non reagisce. Mi spaventa, mi spaventa così tanto che inizio a scuoterlo forte. Reagisci cazzo, reagisci. 
- JACOBY VUOI TORNARE?! - e nemmeno urlando fa nulla, così mi sgonfio e dall’urlo di rabbia esce un ringhio di dolore ed è la mia voce che si sente. Mi accascio contro il suo petto ancora mollo contro le mie mani, ci metto il mio viso e premo e capisco che sto piangendo e che è disperazione. 
- Ti prego... perché vuoi morire? - E qua, solo qua, solo quando ha visto tutte le mie mille reazioni e mai nella mia vita ne ho avute tante, lui mi prende le braccia con le mani, poi scivola sulla schiena, mi carezza la testa, mi sistema i capelli lunghi. E per fortuna la sua voce torna. Bassa, roca, meravigliosa. 
- Perché fa male. - 
- Cosa? - Chiedo pianissimo senza respirare e staccarmi dal suo petto. 
- Vivere. - Silenzio. - Sopportare questa mia follia. - Mi mordo la bocca, ricordo i testi che scrive, sono sempre richieste di aiuto, volontà di uscirne. Ma sono lui che cerca di convincersi perché in realtà non vuole davvero. E lo sa. 
- Non vorresti guarire, cambiare, uscirne? - Chiedo in un mormorio fine. Silenzio. Un silenzio di quelli carichi di significato. 
- I miei giorni sono una guerra continua, le mie notti sono cariche del tuo amore. Mi ripeto che non lo rifarò più ed ogni giorno sono lì a combattere e il diavolo torna appena apro gli occhi e poi c’è anche quando li chiudo e tu sfumi fra le mie braccia. Il diavolo danza con me ogni istante. Sono innamorato di te, mi abbandono a te, però la mia guerra è continua. Anche se ti amo. E quando mi faccio male e mi metto alla prova con cose pericolose, lo faccio perché sto chiedendo aiuto. Voglio essere fermato. - 
Le sue parole si incidono nella mia mente, voglio ricordarle per sempre, per capire che quando ci riuscirà stava chiedendo aiuto ed io non ho saputo sentirlo ed aiutarlo, e sarà colpa mia. 
Sollevo il viso dal suo petto, le lacrime rigano le mie guance, vorrei dire cose profonde e fargli quei discorsi che gli servono, ma invece tutto quel che mi esce è solo un: 
- Ti prego, non morire. - Perché non so come farei io. Non lo so. Ma non ho bisogno di dire il resto perché so che capisce e i suoi occhi tornano con quella luce che mi fa sperare che non sarà questo il giorno. 
Perché nessuno può aiutarlo? Possibile che nessuno possa?
Premo disperato le labbra sulle sue e lui le riceve, le tiene nelle sue, poi le prende, le succhia e le culla in una danza dolcissima che sa di lacrime. 
Non so come si aiuta un suicida. Come si aiuta un suicida?
Il mio amore non è abbastanza per lui? Non posso dargli tutto quello di cui ha bisogno e non potrò mai ed un giorno non lo rivedrò più. E sarà colpa mia. 
Ti prego, aiutami ad aiutarlo. Se un Dio esiste, aiutami ad aiutarlo. Perché io non posso.