*Non è facile essere Jerry ed amare una persona depressa, bipolare ed autodistruttiva. Finisce il periodo di produzione del nuovo album e tornano alla vita normale, che però non sembra facile per Jacoby. Jerry è lì a chiedersi cosa sia meglio per lui e cosa possa fare per lui, ma non ci sono risposte giuste o sbagliate e non è facile vivere la sua situazione, col suo ruolo. Buona lettura. Baci Akane* 

61. CENTRO GRAVITAZIONALE

jacoby jerry

"Sto cercando un’ancora di salvataggio
Perché sembra durare una vita
Sto affogando nel dolore
Sono di nuovo in lacrime
Sto cercando un’ancora di salvataggio
C’è qualcuno là fuori?
Potete tirarmi fuori da questo oceano di disperazione?"

LIFELINE

In due mesi abbiamo fatto un bell’album, Metamorphosis viene rifinito fuori e come l'altra volta quando usciamo dalla casa fatata e torniamo alla vita reale è sempre strano. Per me che riesco a giostrarmi da una vita all’altra, ma anche per lui che invece fa una gran fatica e a casa è sempre più isterico e rabbioso. 
Kelly mi chiama disperata, una sera, dicendo che è di nuovo ubriaco, è arrabbiata perché dice che razza di disintossicazione ha fatto là dentro ed io, basito, le giuro che non ha toccato un goccio ed andava tutto bene. 
- Adesso c’è la caccia alle bottiglie ed alle pillole. Io ti giuro, non so quanto posso andare avanti... se con voi lui sta bene, spero che partiate presto! - Mi immobilizzo mentre lo dice.
In realtà non è proprio così, perché in tour ci sono mille tentazioni e pressioni e per lui è molto peggio. La parte migliore è il processo creativo, perché siamo solo noi, isolati da tutto. 
La parte peggiore è il tour, anche se forse con questo nuovo equilibrio possiamo farcela, dovrebbe andare meglio. 
- Kelly, voglio che stai attenta, non lasciarlo mai solo... - Evidentemente la parte peggiore non è più il tour, evidentemente è a casa. 
- In che senso? - Chiede stranita, è la prima volta che glielo dico. 
- Il suo autolesionismo... è peggiorato... - non voglio andare nei dettagli e dirle che ho paura possa tentare di uccidersi, ma questa volta deve stare seriamente attenta. 
- Più che ubriacarsi che cosa può fare? - Chiede guardinga. Sospiro. 
- Non lasciarlo solo. - con questo la saluto. È lei che se l’è sposato, se lo vuole lasciare che faccia, a quel punto vedremo cosa fare con lui, ma seriamente non ce l’ha praticamente mai a casa, per le poche volte che è lì deve trovare il modo, un equilibrio con lui. 
Non voglio voltargli le spalle, ma se io mi intrometto troppo nella sua vita di casa lo mando in tilt seriamente, non posso mescolare i suoi due mondi, solo che lui odia quello lì, tutto qua. O, per lo meno, ne è maledettamente terrorizzato. 

Prima del tour abbiamo un po’ di tempo da passare con le famiglie, poi ci sono delle promozioni fra cui servizi di foto, interviste e cose varie. 
Quando ci rivediamo so che ha ceduto e non so come dovrei comportarmi, nei suoi occhi leggo la paura di affrontarmi e penso che questo potrebbe spingerlo in reazione a bere ancora. Appena ci incontriamo per questa sessione fotografica, inizia subito coi suoi tic nervosi, poi si gratta la cicatrice sulla testa ed io realizzo che lo sto già per perdere di nuovo. 
In un istante sono da lui, gli do una pacca sulla schiena, gli spettino i capelli che sta ore a sistemarsi e gli faccio l’occhiolino. Lui subito si rilassa, mi guarda con un sorriso meravigliato e appena passo oltre, mi si butta al collo con entusiasmo. 
Da qui so che possiamo farcela ancora. 

Non ne parliamo, non sto certo a fargli paternali, sa meglio di me che la caduta a casa è brutta e che non doveva farlo, però quando lo vedo fumare realizzo che il nervoso è sempre in agguato. 
Uno sguardo e la butta via, però inizia a battere il piede e a sbuffare fino a che non gli chiedo come è andata coi figli e lui stringe le spalle vago. 
Con lui è sempre un camminare sulle uova, ma voglio prenderla così. Con me non si deve sentire giudicato, mai. 
- Vedrai che andrà meglio, falli venire nel tour, si divertiranno... - Lui mi guarda perplesso. 
- Sempre? - Così mi illumino ridendo e lo spingo. 
- Magri ogni tanto concedimi l’onore di un letto solo io e te! - Così mi tocca il sedere e si rianima. Si distrae e per la sessione successiva, sta meglio. 

Le interviste vanno come al solito, io lo guardo e lui parla. Ci sono volte in cui mi sforzo di parlare, ma è sempre una tortura. Prima di entrare in scena mi dice di fargli il segno quando non voglio rispondere e sono in difficoltà, io ovviamente quel segno glielo faccio spesso, ma a volte mi impappino e mi dimentico anche quale diavolo sia il segno e lui parte e si sovrappone a me senza che glielo chieda. 
Altre volte ci sono delle complicità splendide, molto spesso in realtà. 
Una domanda per entrambi, uno sguardo complice fra di noi ed ecco che scoppiamo a ridere perché sappiamo a cosa abbiamo pensato, la stessa cosa. 
Oppure ci chiediamo conferma su dati ed informazioni che magari non siamo sicuri, io lo guardo oppure lui guarda me mentre le dice ed io annuisco. 
Funzioniamo molto bene nelle interviste, per questo ne facciamo spesso insieme. Capisce bene il mio meccanismo, il mio terrore nel parlare. Non serve che gli chiedo nulla, non mi spinge, non mi tortura a farmi parlare quando non mi viene. 
Non che questo gli impedisca di riempirmi di domande quando siamo soli in qualche momento intimo o a fare qualcosa solo io e lui, magari mentre viaggiamo ed andiamo proprio nel luogo di qualcuna di queste interviste. 
Un giorno di questi sto guidando, il mondo scorre intorno e tutto scivola disinteressato. A volte mi chiedo che tipo di vita sto vivendo. È il mio sogno, faccio musica a grandi livelli, giro il mondo, mi guadagno da vivere suonando per un grande cantante. Il sogno va a gonfie vele, ma dopo? Al di là di quello cosa c’è?
Una figlia arrivata così, quasi per caso. Una moglie con cui vado d’accordo perché con me è impossibile il contrario, un matrimonio come tanti, di quelli socialmente accettabili, ma non c’è amore e passione. 
E poi c’è Jacoby. L’amante, l’amore, la passione. 
È lui che mi toglie ogni sanità mentale, ogni istante della mia vita è improntata su di lui, sul vedere che stia bene, che sia vivo... 
Si sta mangiando le pellicine a sangue quando gli tiro via la mano brutalmente, gli prendo il polso e guardo le cuticole tolte fino alla falange, uno spettacolo sanguinante ed io lo guardo male. 
- E allora? - chiedo severo. 
E la mia vita torna a ruotare intorno a lui. 
Ma se togli lui? Se lui dovesse non esserci per qualche ragione, che vita sarebbe poi la mia? 
Avrei la minima motivazione di far andare avanti un matrimonio di cui non mi importa davvero, se non avessi dei momenti da passare lontano da Jacoby per forza? 
Quanto sarebbe forte la motivazione della figlia? La amo, sono felice che esiste, riempie i miei momenti a casa, ma poi? La vita è sua, non è mia. Voglio che sia felice per sempre, ma lei non sono io. 
Mi chiedo, in certi momenti, in cosa consiste di fatto la mia vita? 
Stare bene in una serie di circostanze, con certe persone, facendo certe cose?
È questa la vita? 
Alza le spalle e guarda fuori, si isola. È da quando è salito in macchina che si isola. 
Ha uno dei suoi momenti. 
- Che ti succede? - chiedo piano. - Ti va di parlare? - 
Alza le spalle e sta per rimangiarsi le dita, quando gli tengo la mano ed intreccio anche se sanguina. Stringo e sto così mentre guido. Lui mi guarda sorpreso, vede che non insisto e alla fine alza ancora le spalle, scuote la testa e borbotta: 
- Sai che a volte ho i miei momenti, non voglio pesarti. Se mi isolo è per impedire che la mia merda ti crolli addosso... - 
- A me piace la tua merda! - Non è proprio così, ma lui ride e si sporge su di me mordendomi la spalla, io rido e lo sgomito, ma non gli lascio la mano. 
- E la tua allora? Qual è la tua merda? - E così voglio stupirlo, oggi, e dimostrargli che anche io voglio fare dei passi in avanti. 
- La mia merda oggi è capire in cosa consisto io. - Silenzio. Quel silenzio che cala subito appena si capisce che si parla sul serio. Non mi istiga a continuare, per cui lo faccio. - Tolti i momenti e le cose e le persone che mi fanno stare bene, cos’è Jerry? A volte mi chiedo che senso abbia l’esistenza, per cosa viviamo? Vedo tu che nuoti nella tua merda, come dici tu. Lotti con la tua sanità mentale... - 
- O follia... - Mi corregge ed io rido per poi riprendere guardando la strada, svolto per una via e ci immettiamo in un traffico micidiale dove rimaniamo fermi per un po’, la musica è di sottofondo, più bassa. 
- A volte ho l’impressione di lasciarmi vivere. Le cose che mi capitano mi vanno bene e non lotto per niente, no? Tu lotti per rimanere sobrio, sano e vivo. Io lotto per cosa? Per un matrimonio di cui non mi importa, che ho messo in piedi per avere qualcosa da fare quando non ero con te e a fare musica? Il modo in cui mento a casa è impressionante, sai? Solo chi non prova niente ci riesce. E così poi ho la musica, sul palco e quando faccio canzoni sto bene, mi sento vivo e do tutto me stesso. Vivo per questo, per quel momento, in quell’istante sono vivo e felice. Perciò per cosa viviamo? Per essere felici? Ma senza la mia chitarra io non sono nulla, se metto giù quella, metto giù la mia felicità. - Silenzio. 
Jacoby non dice nulla, mi aspettavo che chiedesse ‘ed io? Dove collochi me?’ Però non parla, così mi giro e lo guardo mentre poco dopo devo ripartire e distolgo lo sguardo. Ha l’aria triste e persa, fissa giù sul cruscotto e così stringo la presa delle sue dita che guardo, alzo e succhio togliendo il sangue sul dito che si è incrostato ma che ha smesso di uscire. 
- Vuoi sapere dove sei tu in questa mia vita? - Si gira sorpreso, non aspettandosi questa mia domanda. 
- Ci sono anche io? - 
Sorrido ed annuisco. 
- Tu sei una delle mie ragioni principali. La mia vita ruota quasi completamente intorno a te, tu mi assorbi, mi ossessioni. Voglio che tu stia bene, quando non siamo insieme penso come stai, cosa fai. Quando so che cedi e bevi o prendi pillole io mi dilanio chiedendomi cosa sbaglio, cosa posso fare per aiutarti. Tu sei al centro dei miei giorni, della mia vita. Tolto tu, cosa sarebbe Jerry? - 
- Una splendida persona, una forza di gravità. - Scuoto la testa e lo guardo deciso puntandolo con il dito della stessa mano che è intrecciata alla sua, sul cambio. 
- No, tu sei un centro di gravità. Lo sei per tutti quelli che incontri, lo sei per me. Io sono il satellite che ti ruota intorno. Se tu sei il mio pianeta, il mio sole, io che farei senza di te? Penso che vagherei senza meta per l’universo fino a che mi scontrerei contro un asteroide che mi distruggerebbe. - 
Non parla subito, ma dopo un po’, ad un cambio canzone che anche se bassa la sento bene, mormora perplesso.
- E se sono io quell’asteroide che ti sta distruggendo? - 
Lo guardo brevemente schivando una macchina che si sposta per girare all’ultimo secondo, mi mordo il labbro e seccato perché ne stiamo parlando in macchina, scuoto la testa deciso. 
- No Jacoby. Sei tu il mio centro gravitazionale. Sono io quello che vive della tua luce. Senza di te non so cosa sarebbe la mia vita. Voglio che tu te ne renda conto, te lo sto dicendo perché tu devi saperlo. - Non dice nulla, rimane silenzioso e zitto. Come fa a pensare questo di sé? Come fa a denigrarsi, a non sentirsi nessuno? 
Quando sale sul palco sembra così sicuro di sé, così potente. 
Arriviamo a destinazione, l’ennesima intervista, poi si ripartirà per un altro tour di cui sono stranamente entusiasta. Forse sbaglio, ma sono convinto che questo andrà meglio. O forse voglio solo sperarlo. 
Parcheggio in mezzo a molte altre macchine, prima di scendere lo trattengo tenendolo per la mano che ho mollato un secondo per fare manovra. Gli giro la testa, gli sollevo il mento. È lontano, cerca di evadere, di scappare. 
- Credimi, Jerry. Staresti meglio senza di me. Tutti starebbero meglio senza di me. Sono un ancora che fa affondare tutti quelli che ho vicino. Sto distruggendo la mia famiglia, i miei figli. Non sono capace di fare niente di bello e di buono con loro, se non ho nessuno con me ad aiutarmi. Io non ne sono capace ed ormai c’è una voragine. E tu? Tu hai la fissa di salvarmi ogni istante, hai il terrore di perdermi, vivi con la paura di cosa io possa fare. Sto rovinando le persone che ho intorno e più me ne rendo conto, più cerco di chiudermi ed allontanarmi e sai perché lo faccio? Per salvarti da me. Ma tu ogni volta vieni e mi prendi per mano e mi impedisci di salvarti. Perché lo fai? - Sorrido alla sua ennesima apertura. Si odia quando sta così. È in una di quelle fasi depressive e distruttive dove si odia e si considera meno di zero e chissà cosa gli dice la testa in questi momenti, dove il suo cervello lo sta trascinando. 
Non glielo chiedo e non mi interessa. Stringo la sua mano e aggancio il suo sguardo deciso. 
- Io non voglio essere salvato se il mio centro di gravità implode. Se tu muori e diventi un buco nero io mi farò risucchiare da te. Un satellite brilla solo con la luce del sole, ricordalo. Tu sei il mio sole, io un satellite. La mia vita sei tu perché tolto tu io non ho vita. Non dimenticarlo mai. - Spero sempre che se capisce questo, ci provi meglio ad essere felice. 
Ma non dipende da lui ed in questo istante che lo guardo negli occhi me ne rendo conto. 
Non dipende da lui essere felice. È come se qualcosa lo bloccasse, forse si blocca da solo, ma non è una parola, un comando auto imposto. 
Forse non c’è un modo per lui di essere felice e forse sono io insufficiente. Forse non sono abbastanza per lui. Forse è tutto qua. 
Lui mi carezza la guancia con questi occhi tristi, poi sorride sempre tristemente e scende. 
Ho paura che un giorno non trovi una sola ragione per tornare da me. 
Fargli capire quanto è importante, parlare e aprirmi come odio fare, non basta. Un giorno non basterà ed io lo perderò e non basterà fargli sapere che se lui non ci sarà, non ci sarò nemmeno io. Non basterà. 

Una volta davanti alle telecamere è su di giri, allegro e felice e spara una cazzata al secondo, parla tanto e veloce. Lo guardo mentre lo riprendono e ridono e mi chiedo se abbia preso qualcosa. 
A volte è sorprendente la sua capacità di cambiare faccia, non mi stupirebbe se non avesse preso nulla e fosse così naturale. Per questo è incapace di stare bene, dunque? 
Perché non può mai essere sé stesso in nessun altro caso, è sempre tutto uno sforzo, per lui?
E se avesse preso una pillola maledetta, beh, nemmeno quello mi stupirebbe. 
Eppure cosa posso fare per lui se non limitarmi ad esserci e accettarlo in ogni caso, essere la sua forza, la sua calma?