*Il tour di Metamorphosis, quando Jerry ha i capelli lunghi per intenderci, è un tour particolare perché Jacoby dà sempre il massimo, ma ci sono concerti in cui è particolarmente provato e fuori fase a livello puramente canoro. Che sia su di giri non è strano perché lui è fatto di musica quando sta sul palco, ma ci sono volte in cui la voce proprio è fuori controllo, ma con Jerry è particolarmente dolce, come vedete dalle foto che ho messo. In questo capitolo parlo di quelle volte, dove magari per Jacoby qualcosa diventa complicato o difficile, ma con Jerry va sempre tutto bene e sono di una dolcezza infinita. Buona lettura. Baci Akane*
62. UNA CAUTA SPERANZA
"Sembra che non debba finir mai
Ne ho avuto abbastanza per questo decido
Che è giunto il momento di affrontarlo
Non posso rifiutare la guerra interiore"
Sono in una delle nostre stanze dietro le quinte in attesa che il concerto inizi, ognuno fa le proprie cose, io faccio stretching ed esercizi vari, Jacoby mi raggiunge e ridendo si mette a farli con me. Non so perché rida e non mi importa, non glielo chiedo, mi sta bene così.
Io faccio piegamenti sulle braccia, lui sulle gambe sopra di me e nel mentre vocalizza e scalda la voce con gli esercizi che ha imparato.
C’è sempre molta eccitazione all’inizio del tour, poi piano piano cambia. Mi sento tanto apprensivo quanto eccitato, sono abbastanza sicuro che le cose andranno diversamente, questa volta.
Dopo che finiamo e poco prima che veniamo chiamati, ci fermiamo e siccome siamo soli nella stanza gli tendo la mano perché mi aiuti ad alzarmi, lui me la prende ed io lo trattengo attirandolo a me, mi avvicino e lo guardo per bene negli occhi:
- Come siamo? - Chiedo serio. Lui annuisce serio.
- Carichi! -
- È una carica positiva? - Alza le spalle e così gli sistemo i capelli che è stato un’ora a mettere a posto. - Stabiliamo un gesto? Quando lo fai vuoi che io intervenga in qualche modo, in qualunque momento? Come quando fai tu con me? -
Sorride malizioso e prende la mia mano e me la lecca.
- Ti piace questo? - Ridendo allo stesso modo trattengo la mano sulla sua bocca infilando il dito di proposito, stupito per il momento ed il posto ed il fatto che sia io a farlo, me lo succhia.
- Credo che sia complicato usarlo... - Gli tiro via il dito e ride, ma ci pensa un po’ più seriamente.
- Facciamo che mi tocco? - Impallidisco cercando di capire se sia serio e la sua mano corre al pacco stretto nei jeans aderenti e neri, la cintura con dei larghi buchi a borchie, bracciali in cuoio ai polsi. - È la cosa che faccio più spesso, almeno non risulta sospetta! - Scuoto la testa ma mentre sto dicendo il mio ok, i suoi occhi vanno oltre me e fa una smorfia improvvisa, così capisco che c’è qualcuno. A conferma uno degli assistenti lo chiama chiedendogli se gli serve qualcosa, inizialmente non capisco subito, sembra una domanda normale, ma lo sguardo di Jacoby è teso, forzato in questo suo modo di sorridere strano.
- No, non mi serve niente... - Gli risponde.
- Sicuro? Ho qua... - Inizialmente non capisco, ma poi Jacoby si tocca il pacco e realizzo di cosa si tratta e vedo cos'era che non tornava. Era la paura.
A questo punto mi faccio avanti e con la mia tipica calma rispondo al suo posto mettendo la mano sulla nuca a Jacoby per mandarlo via, protettivo.
- Adesso va a fare la cacca e poi siamo pronti, lascialo in pace, non ha bisogno di niente. - Sono molto calmo e sereno, ma celo un irritazione che mi scuote dal profondo, tremo dentro di me e vorrei uccidere questo ragazzo assunto per fornire sostanze stupefacenti ai musicisti.
Jacoby ride sempre un po’ teso e spaventato ma più rilassato, infine va davvero in bagno. Rimango solo questo istante con il ragazzo che richiamo con un fischio, mi avvicino in modo da non farmi sentire da nessuno, soprattutto Jacoby, ma è probabile che senta lo stesso.
Un dito contro, uno sguardo che è una lama e la voglia di mettergli la testa in un tritacarne.
- Se ti rivedo chiedergli se ha bisogno di qualcosa giuro che ti faccio licenziare e farò la stessa cosa con tutti quelli che verranno a fare quel che fai tu. - Lui impallidisce capendo che sono seriamente arrabbiato e penso abbia più paura di me che di Jacoby furioso che tira cose a destra e sinistra.
- Ma io eseguo solo ordini, ho solo chiesto se... -
- So qual è il tuo compito e so cosa chiedevi. Non farlo mai più. - Lui spaventato insiste:
- Non... non lo farò più, però se lui mi chiede io devo... - Da dietro mi sfiora di poco la testa una bottiglia d’acqua che si scontra con lo stipite della porta, chiaramente mirava all’assistente e non ho bisogno di girarmi per sapere che è Jacoby che più forte e sicuro riesce a rifiutare delle maledette pillole da solo, senza il mio aiuto.
- Vaffanculo, siete tutti dei parassiti! Non voglio un cazzo! - Per lui rifiutare una sicura oasi di piacere significa molto, ma con questo entra sul palco nervoso, così prima di unirci agli altri al richiamo dei tecnici lo trattengo per un braccio e gli rubo un bacio velocissimo ed estremamente rischioso. Sorrido e lo bacio sulla bocca, lui sorpreso mi guarda luminoso, con una dolcissima luce negli occhi.
- Grazie. - Mormora incredulo che io mi lasci andare così tanto e che rischi in questo modo.
- Grazie a te per aver rifiutato. - So che se fosse stato solo probabilmente avrebbe accettato, perché è in una fase fragilissima, ma cercherò di non lasciarlo mai solo.
Sul palco le cose vanno abbastanza bene, solo ad un certo punto fa quel gesto sembrando il solito maniaco, non stupisce nessuno, ma capisco che ha bisogno di una mano, forse la testa gli sta partendo, magari sente dei ronzii oppure ha bisogno di respirare, qualunque cosa sia non importa, non faccio domande e non mi preoccupo.
Inizio con un assolo di chitarra al termine del quale lui arriva con la bottiglia d’acqua fresca che ha bevuto, mi si infila da dietro, mi abbraccia attaccandosi completamente a me e dopo mi presenta con il consueto:
- Signore e signori Jerry Horton! - che ora lo dice col microfono intorno al mio collo, quasi a strozzarmi più che abbracciarmi da dietro. Mi stringe forte, gli prendo istintivamente un polso e giro la testa sorpreso per il suo gesto, ma rilassato e senza mandarlo via.
Non mi preoccupo per niente, sorrido meravigliato e rimango così insieme a lui davanti ad un pubblico in delirio, come se fosse normale.
E mentre tira fuori una dolcezza che sul palco ed in pubblico non penso nessuno gli abbia mai visto, mi sciolgo. Ha un’espressione così serena che quassù io stesso pensavo non sarebbe mai stato capace di avere.
La speranza cresce.
Oggi è il turno di un bacio, perché di nuovo mi fa il gesto durante il concerto e me ne accorgo da solo che ha problemi vocali, così faccio di nuovo il mio intervento salendo sul centro del palco dove di solito sta lui. Alla fine della canzone mi presenta e mi dà un bacio.
C’è una specie di magica alchimia che si è creata da qualche tempo e sta crescendo.
È come se le cose fra noi ormai andassero bene, abbiamo trovato la nostra dimensione e non succede quasi più che gli vengono certi attacchi quando stiamo insieme pur in mezzo agli altri. È come se non avesse più pressione da me, come se io fossi davvero la sua oasi, la sua ancora di salvezza.
Non mi bacia solo sul palco, lo fa comunque una volta, ma è felice che io non mi irrigidisca. Rimango calmo come niente, sorrido e lo trovo di una dolcezza infinita.
La mano sulla guancia sudata mentre chiede un cazzo di asciugamano sbraitando senza voce.
- Perché non hai detto che hai mal di gola? Potevi prendere qualcosa che ti facesse bene... - Dico senza bisogno che me lo confermi, lui mi guarda sorpreso e proprio mentre sta per tirare la bottiglia vuota chiedendone un’altra, isterico e fuori di sé, come se io fossi Dio, gliela prendo e la metto giù, poi ne prendo un’altra e calmo gliela apro e gliela do, poi prendo un asciugamano e glielo metto intorno alla testa strofinandogliela. Questi gesti intimi fatti davanti a tutti i fonici che smontano il palco, ai ragazzi che mangiano e si dissetano e a tutti quelli che sono qua dietro, lo tranquillizza.
Mi guarda inebetito, come se io non potessi essere vero.
- Pensavo di cavarmela, ho fatto proprio un concerto di merda, odio fare un concerto di merda! - Si lamenta rabbioso ma meno furioso. Io bevo a mia volta ed alzo le spalle.
- Però hai dato tutto e questo è quello che vuole il pubblico. - Jacoby sospira insofferente, si colpevolizzerà fino al prossimo concerto che probabilmente sarà perfetto.
- Però ho fatto schifo, la voce non teneva. Che merda, cazzo! - Con questo si butta su un divano in una delle stanze a disposizione della band, si toglie la maglia e si schiaccia giù, tutt’intorno ci sono gli altri che si fanno i fatti loro, mangiano, ridono, parlano e si divertono. Comincia a girare fumo e alcool e non voglio vedere cos’altro c'è. La solita vita. Gente che ha accesso al backstage, amici o familiari di qualcuno, il solito via vai.
Jacoby sembra di luna storta e lo lasciano in pace. Il solito assistente gli porge una birra e lui gli tira una scarpa che si stava togliendo perché non ne poteva più.
- Vaffanculo, cazzo! - Io gli lancio uno sguardo sottile ed eloquente e finalmente lo lascia in pace.
- Certo che voglio bere, cazzo, ma non ho voce! Porca puttana! E poi devo almeno provarci a non stordirmi, no? - Lo guardo mentre brontola furioso e rimango meravigliato. - Che c’è? Ho sbagliato qualcosa? Ho detto che non voglio, cioè voglio ma non devo, no? - Così sorrido riprendendomi, scuoto la testa e seduto vicino a lui, composto, gli pizzico il mento con un po’ di pizzetto accennato, un gesto affettuoso e privato.
- Sei perfetto! -
- Fanculo, se fossi perfetto non avrei voglia di bere tutta quella merda! Perché diavolo devo averne voglia? -
Alzo le spalle e prendo un piatto di cibo che condivido con lui, anche questo con un gesto intimo, e mano a mano che ne faccio, lui si sente sempre meglio e smette di sbraitare e lamentarsi come una pentola a pressione.
- Ne sei dipendente, la dipendenza è difficile da superare se hai un sacco di tentazioni e di problemi... però il fatto che ci provi e che non vuoi ricaderci nonostante tutto è positivo. - Dico paziente. Lui sospira e chiude gli occhi nascondendo il viso nell’asciugamano intorno alla testa.
- Non so per quanto resisterò... - Borbotta contro l’asciugamano. Io metto la mano sulla sua coscia senza problemi, la gente forse nota, forse no, forse è troppo presa, ma non importa. Si rilassa ancora un po’.
- Quando stai per cedere ti ricordi cosa devi fare? - Lui senza scoprirsi il viso, si tocca il pacco ed io rido.
- Grande concerto Jacoby! - Urla qualcuno che si becca il dito medio, io faccio il segno di no con la testa e così tornano da dove sono venuti.
- Andiamo in camera? - Mi chiede sempre piano senza farsi sentire dagli altri. Annuisco e mi alzo, poco dopo mi segue, non senza mandare a fanculo qualcuno.
Sotto la doccia vado a recuperarlo perché non torna più e sono preoccupato. Quando lo vedo sotto il getto dell’acqua infilo il braccio e chiudo il rubinetto, poi prendo un asciugamano e glielo metto intorno, lo avvolgo come un pulcino bagnato e lo strofino anche sulla testa. Si volta verso di me automaticamente, gli occhi sono bassi. Dove sei Jacoby?
Perché devi scappare così?
Dove ti porta la tua testa?
Cosa ti succede?
Cosa darei per sapere, per capire.
Gli prendo poi il viso fra le mani e questo contatto specifico lo fa riemergere piano piano, muove gli occhi sui miei, l’azzurro è offuscato ma sempre così triste e bello insieme.
- Ehi? - Chiamo delicatamente, come se fosse la cosa più fragile.
In questo momento si sovrappone l’immagine che il mondo ha di lui, quella sul palco dove fa il pazzo, dove sputa rabbia, dove provoca tutti. Quello che fa morire dal ridere tutti ovunque vada.
Se lo vedessero sul serio.
- Dove sei? - Chiedo piano. Lui appoggia la fronte sulla mia.
- Come ti sto rovinando... - Commenta fra sé e sé come se seguisse dei pensieri che sa solo lui.
- Io sto benissimo. - Lui sorride amaro e scuote la testa.
- Sei sempre a preoccuparti e a vedere di me, come cazzo puoi stare bene? La vita è più di tutto questo. La vita è molto di più. La vita di coppia dovrebbe essere svago, oasi, piacere, rilassarsi. Scappiamo da delle vite false per essere veri insieme, ma tu mi vedi o intossicato o folle! Sei lì a vedere che io non mi uccida o che ci sia o che cazzo ne so! - A volte riesce a ripeterlo anche tre volte di fila ed io sempre, con pazienza, sospiro, lo abbraccio e lo trascino di là. In camera gli tolgo l’asciugamano e mi stendo con lui sotto le coperte, lo abbraccio e lo bacio dolcemente, come se potesse scomparire da un momento all’altro.
Forse è vero quel che dice, dovrebbe essere così la vita di coppia, specie quella di due amanti, ma alla fine è l’amore il punto.
- Non scegliamo chi amare e come. Succede. E non puoi certo tirarti indietro, quando capita. Non lo comandi tu. Io ormai non so fare a meno di te. -
Ma lui scuote la testa ancora una volta, negativo e smarrito.
- Ma cosa ami di me? - Io sorrido e avvicino ancora di più il viso, gli tocco il naso col mio.
- Questi occhi tanto belli quanto tristi, il fatto che fuori sembri forte e spregiudicato e fuori controllo e dentro sei fragile e spaventato. La voce più bella che ho mai sentito. Cazzo quanto amo la tua voce, Jacoby. E amo il tuo calore, amo che non sei mai banale, amo il tuo tormento, amo come vivi ogni emozione e sentimento al mille percento. Amo come ti butti su tutto, come sei incapace di stare fuori dalle cose. Amo tutto quello che io non so essere, il fatto che tiri sempre fuori cose da dire. Amo tutto di te. Sei così bello, così pieno di colori, così caldo. - Gli vengono gli occhi lucidi. Sorrido. - Amo che ti commuovi perché io ti amo anche se tu non riesci a farlo con te stesso. - A questo punto cancella la distanza breve che rimaneva fra le nostre bocche e ci baciamo. La sua bocca morbida e ben disegnata aderisce alla mia, mi carezza dolcemente, calda, umida. Mi risucchia, mi fa suo ed io mi perdo in lui, riscaldandomi.
Mi sposto sopra di lui, gli carezzo il viso e lo guardo un istante prima di farlo mio e fargli sentire quanto lo amo.
- La gente ti ama, Jacoby. Per loro tu sei importante. Per moltissimi, non solo per me. Perché non riesci ad accettarlo? - Ma lui non risponde, si gira sotto di me mettendosi di schiena, piega la gamba di lato, incurva le natiche e mi si dà così. Ed io, ovviamente, lo prendo.