*Dopo un periodo che sembrava andare tutto abbastanza bene, nonostante i problemi a casa, arriva il momento per Jacoby di una delle più importanti rese dei conti. Non una che lui avrebbe mai voluto, ma una di quelle giuste e doverose, che si sarebbe pentito di non avere. Nel frattempo Tobin scopre il loro 'piccolo' segreto. Tanto piccolo che se ne era accorto lo stesso. Come l'elefante nella stanza di cui nessuno osa parlare, ma che tutti vedono. Buona lettura. Baci Akane*

68. IL DEMONE PIÙ GRANDE

jacoby jerry

"Tutto solo c’è un vecchio morente
Non riesco a provare nulla
Qualcosa non va bene
C’è uno stato di emergenza
Sto scappando da una tragedia
C’è una battaglia che infuria nella mia testa
Non voglio essere lasciato alla morte
Questo è uno stato di emergenza
Non voglio essere un’altra vittima
C’è un cimitero nella mia testa
Non voglio essere lasciato alla morte
Lasciato alla morte"

STATE OF EMERGENCY

Succede tutto in fretta, così in fretta da non  sapere bene nemmeno da dove inizia di preciso. 
Siamo in pieno processo di creazione per il nuovo album, le cose vanno miracolosamente bene da un po’ nonostante Jacoby abbia i soliti problemi in casa perché con Kelly è tutto un disastro anche se lui ci prova. Il nervoso fra loro è palpabile, i litigi nascono per ogni sciocchezza, il più delle volte per via di Makaile e della sua ritrosia ad aprirsi al padre.  Con Jagger almeno va abbastanza bene, non può lamentarsi. I piccoli ci sperano sempre di più dei grandi, faticano ad arrendersi e a capire che non c’è speranza per qualcosa. Forse è per questo anche che Jacoby si riempie di attività lavorative. Deve evadere da quel casino che non sa risolvere anche se il cielo solo sa quanto ci abbia provato. O forse la verità è che non ci ha provato davvero abbastanza. 
Nel frattempo James ci ha suggerito di aprire una base nostra invece di tornare alla Paramour Mansion. Così Jacoby si è buttato immediatamente e con entusiasmo in questo progetto, iniziamo subito il sesto album che è diverso dagli altri, come ognuno di quelli fatti. 
Il nostro studio personale è sufficientemente grande per noi quattro, ha sala prove, studio di registrazione, sala riunioni, cucina, sala pranzo, sala relax e giochi. 
Non ci facciamo mancare nulla. 
Jacoby all’inizio è entusiasta, James è molto inserito nel progetto e parla di lui in tutte le interviste con grande entusiasmo mentre spiega che stiamo lavorando ad un nuovo album e che abbiamo uno studio nostro. 
Quando ci riuniamo qua gli stati d’animo sono sempre piuttosto positivi perché come sempre fare musica per Jacoby è terapeutico e James dà una serie di suggerimenti per le canzoni, di temi che lui può affrontare nei testi, come la questione fede, i problemi in famiglia e cose così. 
Comunque siamo tutti entusiasti di come sta uscendo l’album, con nuove sonorità. 
Ma è durante questo che riceve una chiamata.
Abbiamo appena finito la sessione odierna ed ognuno si disperde velocemente, c’è chi dice che ha bisogno di andare a casa e che tornerà l’indomani, chi dice che invece si ferma e cerca da mangiare per casa. 
Lui prende il telefono e guarda le chiamate ricevute, ne ha perse tre da parte di sua madre e alcune di Kelly, quando lavoriamo non li guardiamo mai, sono silenziosi i cellulari.
- Cazzo, non mi chiama mai mia madre! Mica sta male qualcuno?! - Si chiede subito apprensivo. Lo vedo che esce alla velocità della luce mentre la richiama, io rimango in attesa ma visto che non torna subito mi affaccio preoccupato. Un duro colpo ora è l’ultima cosa che può ricevere. L’ansia si affaccia immediatamente come un serpente che striscia ai piedi e si arrampica su per le gambe.
Lo vedo fermo immobile nel giardino posteriore, fuori è davvero molto freddo, il fiato gli si condensa e lui è senza giacca, sto per rientrare a prendergli una giacca ma ha una faccia terribile, gli occhi sbarrati. Fissa davanti a sé senza dire nulla, ascolta. Poi scuote la testa. 
- No no... - Comincia a dire. - No, non intendo andare! Non ci penso proprio! Che si arrangi, cazzo! Fanculo! - 
La voce trema, è di quei toni che non presagiscono niente di buono, espressivamente è anche peggio. 
Poi mette giù la comunicazione, poco dopo riprende un’altra chiamata, non mi faccio avanti, sembra in un altro mondo. 
- Kelly? Sì, hai saputo? La mamma mi ha detto che non potendo parlare con me ha parlato con te... no col cazzo, non ci vado! Non intendo muovermi! Che si fotta! E se vuoi andarci tu mi incazzo! Non l’hai mai conosciuto ed è bene così! Se i miei figli ci vanno guai e non farmelo ripetere! Quell’uomo è morto da una vita, fanculo, che si fotta! È facile così, troppo facile! - Poi si blocca dopo che spara a mitraglia un fiume di parole infinito.
Capisco che si tratta di suo padre e mentre realizzo questo, lo vedo che si tocca la cicatrice sulla testa mentre scaccia delle mosche che non ci sono. Guarda in alto, gli occhi si riempiono di un terrore insofferente e scuote la testa come se non fosse qua, poi inizia ad infilarsi le dita nell’orecchio ferocemente, la smorfia cresce. Sono tornati i suoi demoni, lo sapevo che sarebbe successo. Se non li abbatti prima o poi tornano. 
Muovo incerto i passi fuori verso di lui, ma mi fermo mentre lo sento dire: 
- Se ci vado lo farò da solo! DA SOLO, HAI CAPITO?! Nessuno deve vedere quel pezzo di merda! - Lei dice qualcosa. - Certo che posso farlo! È mio diritto cazzo! Non si tratta di chiudervi fuori dalla mia vita come sempre, è che questo è un discorso mio! MIO! - Poi mette giù dopo averla mandata a cagare, lancia il telefono per terra sull’erba.
Aspetto un po’ per vedere cosa fa e lo vedo che si mette a calciare prima il piede contro una pianta a vaso grande posta all’ingresso, poi si gira ed inizia a dare pugni contro un muretto ed a questo punto intervengo e lo fermo abbracciandolo da dietro stretto. Non mi serve che parli per sapere. 
- Non voglio che ci vai solo. - Mormoro piano contro il suo orecchio. E dentro di me sapevo che sarebbe successo così. Perché lui non ci sarebbe mai andato, ma la vita doveva presentargli l’occasione di chiarirsi e abbattere questo enorme demone. 
Lui si accascia fra le mie braccia e si piega sulle ginocchia, davanti a me, la testa all’indietro, gli occhi stretti e poi un urlo viscerale scuote tutto il giardino ed improvvisamente non sembra più freddo da neve. 
L’urlo mi penetra nell’anima e le lacrime si affacciano da tanto che è comunicativo in questo momento, come sempre. James è andato via, rimaneva Tobin che voleva fermarsi a dormire per ricominciare presto domani mattina. 
Esce e ci vede così, si preoccupa ed io scuoto la testa come a dire di non chiedere. Rimane preoccupato ma non parla, lo vedo che rabbrividisce shoccato dalla sua reazione ed io davvero non ho la minima idea di che cosa significhi suo padre per lui, ma ora so che è il suo demone più grande. Solo aver ricevuto una notizia che lo riguarda, qualunque essa sia, lo ha ridotto in questo stato.
Cosa cazzo faccio, ora? 
Stringo forte le braccia intorno al suo busto come se dovessi bloccarlo, dopo un po’ che siamo accasciati per terra e che lui non urla più, attacco la bocca al suo orecchio e lo cullo dolcemente, parlando piano e conciliante. 
- Ti accompagno io, lo faremo insieme. Permettimi di farlo con te. - Non so cosa sia e non voglio saperlo, però non andrà da solo da nessuna parte, non in questo stato. Ma lui poi scuote la testa rianimandosi e dice no. 
- Devo farlo da solo davvero. - Scuoto anche io la testa subito. 
- No, non se ne parla proprio. Da solo non vai da nessuna parte! - Esclamo deciso. A questo punto si gira fra le mie braccia, rimaniamo seduti per terra, Tobin sparisce dietro di noi anche se è ancora lì, gli occhi di Jacoby non sono pieni di lacrime, sono rossi e piccoli ed hanno questo mostro oscuro che è tornato ad affacciarsi. Mi guarda allucinato mentre non ha la minima idea di che cosa stia davvero facendo, me ne rendo conto guardandolo.
Jacoby non è più qua e non avrei mai voluto dirlo, ma la mia bocca si muove da sola: 
- Dio mio Jacoby, ma cosa ti ha fatto quell’uomo? - Ma forse non sente la mia domanda. 
- Devo andare da solo. Sembra stia morendo ed ha chiesto di me. Io devo andare a dirgli quanto lo odio e quanto lo odierò per sempre. Io devo. - è tipo da una vita che gli dico di farlo, aspetta che sta per morire per farlo e guardalo com’è devastato. 
Sono terrorizzato dal lasciarlo andare, non so come ne uscirà, sicuramente male, ma non posso impedirglielo, non posso obbligarlo a fare niente che non voglia. 
Non credo in Dio, però spero che qualcuno l’aiuti, ora, perché è la prima volta che rifiuta effettivamente la mia mano ed io ho il terrore di lasciarlo solo. Cosa sarà di lui dopo che l’avrà guardato ancora in faccia? 
Gli prendo il viso fra le mani e con tutta la dolcezza cui sono capace mormoro ancora, assicurandomi che mi guardi, che guardi me davvero. 
- Sono qua per te, non chiudermi fuori. - E lui mi prende il viso fra le mani a sua volta, triste, sottile. Di nuovo così sottile che sembra abbia fatto ventimila passi indietro rispetto a com’era un’ora fa. 
- Ti sto proteggendo, sto facendo finalmente una cosa giusta. Questo lo devo fare io. - 
- Ma non sei solo. - Ed è qua che Tobin realizza che stiamo insieme, ma onestamente non mi frega proprio niente. 
- Lo so. - Jacoby cerca con la sua tipica disperazione le mie labbra ed io gliele do incurante di tutto, come se la cosa più importante e vitale fosse proprio questa. Baciarlo ora. 
Dopo lo abbraccio e lo tengo a me chiudendo gli occhi, appoggio la testa sulla sua e sente benissimo il mio cuore che va fortissimo.
Cosa sarà da ora? Come ne uscirà? Cosa succederà?
Avrà un crollo, lo so, ne ho la certezza. Avrà un crollo di sicuro. 
Ed io cosa posso fare per impedirlo? C'è qualcosa su questo mondo che io possa fare per impedirgli di crollare ancora una volta? Non credo. 

- Mi dispiace che tu l’abbia saputo così, sarà shoccante per te... - Dico mentre preparo qualcosa di caldo con Tobin, Jacoby è a farsi una doccia e rilassare i nervi. Come se qualcosa in questo mondo potesse calarglieli. 
Lui si stringe placido nelle spalle. 
- Credo di saperlo da un po’... - Lo guardo sorpreso. Lui non è uno che si scompone, in questo mi somiglia, ma è più bravo di me con le parole. Non ha la mia fobia nell’aprirsi e nel comunicare. 
- Davvero? - 
- Ad un certo punto ho realizzato che tu eri troppo parte del suo strano incomprensibile ed imprevedibile mondo. - 
- E ti stava bene? Dopotutto rischiamo di incasinare tutto. - Alza le spalle ancora e versa il liquido bollente in tre tazze. 
- Certe cose non si comandano. Spero che vada tutto bene, che altro posso fare? Sembri avere testa e controllo, ma so che con lui è impossibile. Però se c’è una speranza che le cose vadano bene in generale per il gruppo è proprio grazie alla tua vicinanza a Jacoby, quindi penso che se foste solo amici avremmo chiuso da molto prima. Vuoi sapere cosa spero? Che non vi lasciate mai, perché se dovesse succedere non è che il gruppo andrebbe a puttane, ma lui si ammazzerebbe. Perché penso che tu sia l’unica cosa che lo tiene su questo mondo. - Piego la testa mentre rabbrividisco e sento contemporaneamente un senso di contrasto in quel che dice. 
- C’è anche la musica. La musica l’ha sempre curato. Sono le persone a distruggerlo, le emozioni, l’universo solo sa cosa, ma non la musica. - Tobin ascolta e a questo proposito sospira sedendosi mentre inizia ad intingere ripetutamente e pensieroso la bustina nell’acqua calda che prende lentamente colore. Io faccio altrettanto, ma rimango in piedi. 
- Come fa a vivere le cose così? L’ho sempre invidiato, ma in realtà non so quanto bello sia... - Tobin centra il punto. 
- È terribile, io ne sono terrorizzato. Le emozioni, specie così forti, per me sono come un sisma, mi distruggono interiormente, mi fanno tremare... e quindi ne scappo sempre. Scappo da ogni fonte di stress, ossessione, emozione, tutto quello che può destabilizzarmi, che può cambiare questo mio stato di perfetto equilibrio dove sto sempre generalmente bene e a posto. - Tobin fa un mezzo sorriso. 
- Per questo ti attacchi a Jacoby? - Dice ironico. Io rido e scuoto la testa. 
- Perché lui ha quel che a me manca. - Ma lui alza un dito e sagace risponde precisando serio: 
- No, non sei privo di emozioni, tu semplicemente le chiudi e le blocchi. Ma le provi. È diverso dal non averne. - E forse lo sa fin troppo bene, che ne posso sapere io. Rimango colpito da questo dialogo e annuisco pensieroso riflettendo su me e Jacoby. 
- È comunque devastante fare come fa lui. Non so come ci riesce. Capisco che ne sia demolito. - Dico infine. Lui sospira ed annuisce. 
- Mi dispiace, ma se non affronta i suoi demoni un giorno le emozioni lo mangeranno. Eppure è questa la sua bellezza. Non trovi? - Tobin mi fa di nuovo rabbrividire. È questa? È come dice lui? 
Eppure io ho visto le sue fragilità, la sua calma, la sua riflessività. Io ho visto dei lati intimi di lui che mi hanno toccato il cuore. 
Jacoby è ben di più di un mucchio di emozioni vissute a mille. Jacoby è semplicemente pazzesco.  
Tobin infine beve in fretta il suo the e poi si alza. 
- Me ne vado, penso abbiate bisogno di un po’ di tempo insieme. Avverto io tutti che ci prendiamo un poco di pausa perché Jacoby ha bisogno di vedere suo padre che sta male. - Annuisco e lo ringrazio mentre vedo che va via. 
La sua reazione è stata sorprendentemente buona, un po’ mi alleggerisce. Sono contento, anche se ho paura di quel che sta per succedere ora, onestamente. Ne ho un terrore sacro, ma non penso di poterlo evitare sul serio. Solo esserci e raccogliere per l’ennesima volta tutto.