* Affrontare i propri demoni non è facile, anche se cerchi di rimetterti in piedi e fai piccoli progressi, anche se ami profondamente chi hai vicino. Comunque ci sono dei mostri giganteschi che non riesci ad affrontare e quando arriva il momento, quei demoni possono rovinare tutto ciò che hai faticosamente conquistato. Jerry ce la mette tutta per aiutare Jacoby, ma sa, sa profondamente che questa volta è diverso, lo sente e somatizza al punto da stare fisicamente così male, che non ne può più nemmeno lui. Quello che so per certo di Jacoby, della sua infanzia e di suo padre è che dopo essere tornato dalla guerra, ha avuto un terribile stress post traumatico che lo ha portato a distruggere la sua famiglia tanto da farli vivere in tenda per un periodo, si sa che sua madre alla fine lo ha lasciato portando con sé i bambini per salvarli, perciò quel che ha passato da piccolo con lui era davvero orribile. Però negli anni recenti Jacoby riesce a parlare di suo padre dicendo che gli vuole bene, perciò ho fatto le mie dovute ipotesi e le ho scritte nella fic. Qua solo uno dei passi che ho immaginato. Buona lettura. Baci Akane* 

69. UN SILENZIO CHE UCCIDE

Jacoby Jerry jacoby

"questa è la ragione per cui siamo tutti così fottuti
Questa è la ragione per cui noi non crediamo
non abbiamo mai voluto essere così
non ci ascoltano mai comunque

Grida fuori il tuo cuore
Se sei il prescelto

devi mostrargli che il silenzio è il nemico
grida fuori il tuo cuore,
noi siamo rotti

dobbiamo mostrargli che il silenzio è il nemico"

SILENCE IS THE ENEMY


Lo stato d’animo di Jacoby è semplicemente devastante ed in una notte potrebbe fare un album intero di testi pazzeschi, James lo chiama appena Tobin lo avverte e gli dice di non tenere niente dentro e scrivere sempre tutto, che il mondo vuole solo che lui sia onesto, non un falso che finge di stare bene e avere tutto in mano. 
Di dire sinceramente come si sente nelle canzoni. Gli chiede se vuole che venga anche lui, se ha bisogno di compagnia, ma dice che non è solo e che starà bene. 
A volte i demoni si affrontano, è vero. 
Mi ha chiesto di suonare qualcosa, il quaderno a portata di mano, il fuoco acceso nella stufa col vetro nel muro. Chiaramente lo ha voluto a tutti i costi. Davanti un tavolino ed un divano comodo. Seduti insieme, il quaderno, io che suono sommesso, i suoi bellissimi occhi assorti e malinconici spariti in un altro universo lontano.
- Dovresti parlarne, ti farebbe bene lo sai? -
Dico calmo mentre suono la chitarra acustica per lui. Io e lui qua da soli di notte, come nei momenti più belli. 
Spero di potergli lasciare un’ultimo bel ricordo prima di questo tuffo nel male. 
- Sai perché non riesco a parlare dei miei demoni peggiori? - Dice finalmente dopo che si è incantato per ore col fuoco, fermo e inquietantemente zitto. 
- Perché? - Chiedo felice che se ne renda conto e che voglia spiegarmelo. 
- Perché dirli ad alta voce a qualcuno li rende più spaventosi ed immensi. Se non gli do voce, non hanno forma. Forse non sono reali. È il parlarne che li rende veri. Davvero ho vissuto quelle cose? E Dio dov’era? Gli angeli dov’erano? Chi mi doveva salvare da me stesso? No, parlarne è troppo pesante, perché poi non riuscirei più a schiacciarli. - 
- E se per schiacciarli tu dovessi proprio esprimerli a voce? - Azzardo ancora cauto. Finalmente distoglie lo sguardo dal fuoco e mi guarda turbato da quel che dico, le dita continuano a muoversi lentamente sulle corde, un po’ aggressivo rispetto al solito. Anche arrabbiato per questo suo scappare continuo, come se il non dirlo lo cancellasse. No, ogni mostro è sempre dove l’aveva lasciato. O forse è perché non vuole parlarne nemmeno a me, mi fa sentire tagliato fuori e cerco di ricordare a me stesso che mi ama e che sta semplicemente male, ma mi sembra sempre più di non essere abbastanza importante.
- Non lo so, lui è il cancro a cui devo sopravvivere da sempre. Forse è ora di lasciarlo andare. - Si ferma, torna a fissare il fuoco turbato e pensieroso, ha una bellezza che posso vedere solo io. Poi ricomincia a sussurrare a ruota libera: - Lui voleva che stessi sempre zitto. Non dovevamo parlare, nessuno, mai. ‘TIENI CHIUSA QUELLA CAZZO DI BOCCA! TE LA CUCIO SE NON LA CHIUDI!’ - Lo imita col vocione grosso e roco. - Regnava il silenzio ed io ero piccolo e subivo e non riuscivo a rispondere. Io, sai? Non sono mai riuscito a rispondergli. Mai. Ero straziato dentro, ma il mio parere era una perdita di tempo, non dovevo esprimerlo. E gridavo fortissimo dentro di me tutte le parole che volevo dire, forte nel mio cuore straziato. Nessuno è mai riuscito a contrastarlo. Mia madre alla fine è scappata da lui, ma non l’ha affrontato. Ci ha spezzati tutti. E abbiamo tutti avuto problemi, nessuno della nostra famiglia è rimasto in piedi ed è sano. Ha avuto ripercussioni su tutti. Siamo tutti fottuti per colpa sua. Lui è la ragione per cui nessuno crede più in niente, ma non volevamo essere così morti, così persi, così zitti. Ed anche se ora siamo grandi e soffriamo dentro e vogliamo gridare, stiamo tutti zitti perché tanto non ci ascoltano mai comunque. Parlare è inutile. Eppure quando ho preso il microfono in mano mi sono messo a gridare le mie canzoni, anche se non sapevo ancora cantare bene! Che reazione eh? Ed è ridicolo che non riesco a gridargli contro. Grido al mondo e non a lui. Che follia. - 
Il lungo monologo è molto più di quanto abbia mai avuto su uno dei suoi mostri peggiori, sebbene non mi racconta meglio gli episodi che lo hanno terrorizzato e reso così. So che suo padre ha avuto la sindrome da stress post traumatico dopo essere tornato dalla guerra e che per colpa sua sono finiti ad essere dei senza tetto e vivere in una tenda. E so che doveva essere terribile e che ha distrutto la sua famiglia. 
Non so se devo sentirmi meglio o peggio. Non ne parla ancora del tutto, qualcosa ha detto ma so bene che manca la parte peggiore, quello che gli impedisce di parlare. 
- Sei tu il prescelto per andare a mostrargli che il silenzio è il tuo nemico, che ora hai voce e che puoi gridargli contro il tuo cuore. Tira fuori l’ultimo te stesso. - Rispondo roco e piano, continuando a suonare questa melodia stizzita e che mi irrita. Mi irrita come lui che grida contro il mondo stia zitto davanti a lui. Ma forse mi irrita che non mi racconti, non mi parla. Sta costruendo un muro. Mi dà briciole per tenermi buono, ma non si apre, non mi dà tutto sé stesso e non è curiosità morbosa la mia. È solo che so che questo, questo davvero gli farebbe bene. Ed io forse non sono abbastanza per lui. 
Strofino le labbra, lui non mi guarda da dove è, mi è praticamente davanti, fissa il fuoco e così lascio che i miei occhi diventino lucidi. 
È ancora lì da solo, in realtà. 
- Devi parlarne, tirare fuori tutto, raccontare a voce cosa ti faceva, parlare di tutti i tuoi demoni. Puoi salvarti solo se ne parli davvero. - Dico di nuovo esasperato. Lui scuote ancora la testa. 
- Ti prometto che lo farò, quando mi sentirò pronto. Ma non ancora. Ti giuro che parlerò di tutto, sputerò tutto fuori. Non lo terrò dentro per sempre. Lo prometto. - Sospiro ancora più stanco e lui aggiunge guardandomi deciso: - Cambierò. Cambierò da come sono, migliorerò! Devi avere pazienza! Mi hai detto una cosa alla volta! Cambierò! Posso cambiare, aprirmi, buttare fuori tutto, eliminare i miei demoni. Parlarne. Posso farcela. Ma non ora. - 
- Non voglio sapere cosa ti faceva se non vuoi dirmelo, però vorrei poterci essere. - Non posso nemmeno obbligarlo. Scuote la testa, si gira solo con lo sguardo, mi fissa da sotto e sorride malinconico ma risoluto. 
- Io e basta. Perché lui è il mio cancro. Lo estirperò io. - Ma se poi dovesse finire male? Se poi... se poi dovesse... non riesco nemmeno a pensarlo. - Continua a suonare questo motivo. - Dice poi distraendomi. Faccio caso a quel che suono e lo ripeto arricchendolo un po’, poi si gira, prende il quaderno e scrive. 
Silence is the enemy è la canzone di quanto il vero nemico dell’uomo è il silenzio. Soffre molto di più chi sta zitto piuttosto che chi parla ed esterna e dimostra il dolore.  
Spero che me ne parli, prima o poi.   

Gli ho detto di chiamarmi subito e farmi sapere come sta, ma è da molto che non si fa vivo. Quanto ci può mettere ad entrare e guardarlo? Sono preoccupato da morire, guardo di continuo il telefono battendo il piede per terra, lo stomaco è serrato in una morsa di ferro.
Cazzo, non dovevo mangiare oggi. 
Alzo gli occhi al cielo e guardo l’orologio. Niente. 
Lo stomaco si contrae di nuovo, c’è qualcosa che non ho digerito e all’ennesima occhiata al telefono corro a vomitare. 
Sto implodendo troppo, forse sono al limite del mio trattenere. 
Jessica mi guarda meravigliata e scherza chiedendomi se sono incinta, io non reagisco perché sono Jerry, a volte arrivo all’apatia, forse. 
O magari ho Jacoby troppo in testa. 
Sono davvero tante ore passate. Sospiro insofferente mentre mi asciugo la bocca e me la sciacquo, mi guardo allo specchio, ho una cera terribile. Mi tocco la fronte. Non avrò mica la febbre? 
A questo punto suonano alla porta, ma lo sento lontano. Mi metto il termometro elettronico sotto l’ascella e mi siedo aspettando che suoni. Ci manca la febbre per l’ansia, il vomito non era abbastanza. 
Bravo Jerry, tu continua a fingere e tenere tutto dentro, poi è Jacoby il pazzo solo perché tira tutto fuori come un uragano. 
Poco dopo bussano al bagno, alzo un sopracciglio, spunta mia moglie. 
- Hai visite. - Ma la porta si spalanca di scatto e la faccia preoccupata di Jacoby fa capolino col suo gracchiante acuto: 
- Che cazzo hai? Stai male? - Ed ecco come si esprimono le preoccupazioni. Scalpitando ad alta voce. 
In questo il termometro suona, lui si fionda da me e me lo prende da sotto il braccio, guarda la scritta. 
- Hai trentotto cazzo! E stavi vomitando!Me lo ha detto tua moglie! - Sospiro insofferente, ma poi sorrido. Sono a casa con la famiglia, cosa gli è saltato in mente? Era così fuori di sé?
- Sto bene, è solo nervoso. Perché non mi hai risposto? - Alza le spalle. 
- Quanti messaggi dovevo scriverti? Alla fine ero vicino e avevo bisogno di vedere il tuo viso. Nervoso? È colpa mia? Cazzo, fanculo. Sto bene. Non è successo niente! Ora vedi di stare meglio! - In un primo momento lo guardo stranito, poi dal modo in cui evita lo sguardo e cerca di uscire dal bagno capisco che non è vero e lo trattengo, ma la porta del bagno non è chiusa ed è strano anche per noi stare qua dentro con moglie e figlie fuori. 
Sospiro calmo mentre la testa comincia a farmi male. 
- Vieni di sotto. - Sotto è la mia stanza, è insonorizzata e con un impianto stereo da sogno, ci sono tutti i miei dischi e le mie chitarre da collezione. Quando voglio evadere vengo qua. C’è anche il computer e la stampante per le mie fotografie, le più belle sono appese ai muri. 
Jacoby fa il broncio ma mi segue, una volta giù mi siedo stanco nel divano contro una parete libera e lo guardo in attesa. 
- Qua siamo al sicuro. - Dico casomai si fosse chiesto se potesse esprimersi liberamente qua in casa mia. 
Lui rimane un po’ sorpreso e perso nel guardare la mia stanza, non era mai venuto. Cerchiamo di separare i nostri mondi, io riesco a fare tutto perché divido tutto in compartimenti. Divido persone, luoghi, momenti. Jacoby ha il tour, il bus, lo studio, la nostra sede. Jessica ha casa mia, le vacanze. Jacoby ha Kelly e la famiglia a casa sua. Tutto ben diviso. 
Quando le mogli e le famiglie vengono a vedere i live e stanno con noi dietro le quinte è un disastro, infatti scatta sempre qualche litigio ed io sono molto nervoso. Jacoby è proprio intrattabile. 
Ora è distratto, sta perdendo il filo. 
- Jacoby... sono qua. - Lo richiamo calmo mentre cerco di non toccarmi la testa che mi fa male. Mi prenderei qualche pastiglia per stare meglio, ma con lui non oso. 
Lui mi guarda, poi sospira e scuote la testa. Basta poco per cedere. 
- Guarda come ti sto riducendo. Avevi paura che tornassi a farmi, vero? - Chiede basso e roco. Annuisco e lui si lascia cadere per terra dall’altra parte della stanza, fra strumenti e casse. 
Appoggia le braccia sulle ginocchia e guarda di lato, stanco, perso, lontano. 
- So che non è andata bene, però ti vedo sobrio. - Dico poi cercando di sottolineare qualcosa di positivo. 
- Non ho bevuto solo perché casa tua era vicina. Ho detto ‘o vedo lui o mi faccio.’ - questo mi demolisce. Se non ero in casa si faceva. 
- È andata così male? - Chiedo piano appoggiando la testa che è bella pesante. 
- Se... - tossisce. - se non entravo era meglio. - Mormora piano. È sull’orlo di piangere, ma non vuole farlo davanti a me. 
- Grida se vuoi farlo. Spiegherò a Jessica che hai dei problemi in famiglia. Ti conosce. - Scuote la testa e sorride amaro, sconfitto. 
- Non riesco a tirare fuori la voce. - Ed ancora zitto davanti a me, eppure non dovrebbe se ci amiamo sul serio. Fitte allo stomaco. Sto per vomitare di nuovo. Cerco di non toccarmelo con la mano per non preoccuparlo. Respiro a fondo, devo stare bene. - E prima davanti a lui dopo quindici, venti, trent’anni non so quanti sono davvero.. io non sono riuscito a dire mezza parola. La gola si è annodata. Non un suono. Volevo gridargli insulti, ma non ce l’ho fatta. Fanculo, è stato inutile. Mi sono torturato. Mi sembrava di essere di nuovo piccolo, quando lui... - Ma non finisce. Non mi dirà mai cosa gli faceva. 
È straziante, non so più cosa fare, non lo so davvero, ha detto che sarebbe cambiato, si sarebbe aperto, ma non so se lo farà mai. Un’ondata di terrore e pesantezza mi assale e mentre mi ripeto ‘tieni duro’, la mia bocca si muove da sola contro la mia volontà. Per la prima volta, forse, in questo modo. 
- Non conto nulla per te? - Dico poi tenendomi di nuovo lo stomaco. Lui mi guarda aggrottato senza capire come faccio a passare da una cosa all’altra. So che non ha bisogno di questo ora, ma io non so più cosa fare. 
Mi metto a sedere di scatto mentre le fitte allo stomaco aumentano, lui alza la testa dalla parete dietro dove l’aveva appoggiata. 
- Non riesci a dirmi quello che ti ha fatto e quello che hai passato, non butti fuori i tuoi demoni perché non conto davvero? Non fino al punto da affidarmi i tuoi mostri? Lo sai che finché non lo dirai ad alta voce, finché non racconterai tutto non starai meglio? Hai detto che saresti cambiato ma sei ancora così. Zitto e chiuso dietro il tuo muro sempre più alto. Non guarirai mai e forse tu non vuoi guarire, stai bene malato per avere una scusa per farti alla prima scusa! Ti piace il tuo dolore, no? Io non ce la faccio così Jacoby! Ogni volta che esci di qua vivo nel terrore di come ti rivedrò. Starai bene? Sarai fatto? SARAI VIVO?! E tu non fai niente per guarire e curarti sul serio! Sei andato da lui, non sei riuscito a dire nulla, sei venuto qua e me lo hai detto. Stop. E questo in che modo ti aiuterà appena a casa a non berti una bottiglia di vodka? E quando poi Kelly mi chiamerà dicendo che stai facendo un’altra sceneggiata io cosa dovrei fare? Cosa potrei fare? Sai come mi sentirei se mi telefonassero dicendomi che ti sei ucciso? Mi ucciderei anche io! Ma questo forse non conta, perché tu in venti anni continui a non fare nulla per curarti! NULLA! Cazzo, non ce la faccio più! - Dopo di questo sfogo che è esploso corro al bagno adiacente e vomito ancora. Fanculo, fanculo, fanculo, non doveva essere così! Non dovevo dirgli nulla!
Non volevo! Non avrei mai dovuto fargli sapere questo! 
Ed ora lui come dovrebbe stare? Cosa conta come sto io quando lui sta così male? 
Adesso gli vengo a dire queste cose? Non tiro mai fuori i miei sentimenti, decido di farlo ora che sta così di merda? Dopo secoli rivede suo padre, va male ed io lo accuso di voler stare male e di non amarmi abbastanza? 
- Ami solo il tuo dolore. Mi ami come ruota di scorta, come seconda scelta, come riflesso. Ma ami di più il tuo dolore, i tuoi demoni. - La mia lingua non si ferma più, la mia voce non torna più nella mia gola. Dopo che l’ho liberata esce tutto in un attimo. 
Stai zitto Jerry, zitto!
Vomito ancora e arrivo alla bile. Mi sto ammalando e so cosa farà ora per me. 
perché non è vero che non mi ama, so che mi ama. Mi ama, vero? 
La sua mano sulla mia schiena a tenermi i capelli lunghi, inginocchiato vicino a me mentre sibilo veleno e vomito insieme. 
- Siamo morti che camminiamo. - 
- Urlalo di più, più forte. Il silenzio è un cancro. - Mormora poi Jacoby con una tristezza che mi fa rabbrividire. 
- SIAMO GIÀ MORTI E SMETTILA DI TAGLIARMI FUORI! CAZZO! - Non credo d’aver mai urlato, specie questo concetto che mi ha tormentato da tanto, troppo tempo. 
- Fanculo, non ce la faccio più così. Vivo nel terrore di perderti e nella consapevolezza di non poterti salvare. Non posso. Non posso... - Stai zitto Jerry, stai zitto.
Ora sai cosa prova Jacoby ad agire senza potersi controllare. Anche lui sa cosa si deve fare e dire e non riesce a farlo e a dirlo? O a non farlo e non dirlo? 
E come fa, dopo che invece l’ha fatto e detto? 
Oh Dio, perché non ci sei? 
Dove sono gli angeli a salvarci? Non voglio ferirlo, lo sto ferendo a morte. 
La sua fronte sul mio braccio, le mie dita stringono la tazza del water dove ho vomitato l’anima. 
- Perdonami, ti ho distrutto. Tu hai bisogno di chiudere con me. Giuro su Dio che potevo cambiare, ma ho spezzato questa promessa mille volte. Ed ora è tutta colpa mia. Non avresti mai dovuto incontrarmi, ti ho peggiorato la vita. Non dovevo, non dovevo entrare nella tua vita. Non avrei mai dovuto. - Giro faticosamente la testa pulendomi la bocca con un braccio. 
- Non sparirò anche io dalla tua vita. Non è niente di irrimediabile, ti perdono qualunque cosa ci abbia rovinato. Il tuo chiudermi fuori va bene, dimentico e ti perdono. - Dico con uno sforzo terribile, la voce quasi non si sente per via dello sforzo alla gola nel vomitare. 
Ma lui sorride grottesco, triste, morto dentro. 
- Dimentica me del tutto. - Mormora deciso. - Ti ho sempre amato, il mio cuore è tuo. Prendilo e tienilo per sempre, a me non serve più. Però vattene via lontano da me, non avresti mai dovuto incontrarmi. - 
- Ma io sono felice di averlo fatto! - Rispondo agitato e di rimando, le mie mani si stringono sulle sue braccia forte, convulsivo. 
- No invece, so che vorresti non avermi mai incontrato. So che sei sempre stato il solo dalla mia parte, ma l’amore non è buono quando è pieno di negatività. Ed io sono quello negativo. Questa cosa bella ormai l’ho distrutta. Non puoi continuare così, sanguini, stai male. - Continua piano, carezzandomi il viso dolcemente con uno sguardo che è davvero morto. - Ti affondo in milioni di modi. Tu hai bisogno di chiudere con me. -   Il cuore si spezza, è proprio in questo momento che il mio cuore si spezza e so che forse non lo rivedrò più, non vivo. Se dovesse arrivare quella notizia domani cosa sarà di me? Cosa farò? 
Ed io ora che non è più affar mio dovrei sentirmi meglio? Ci si lava le mani, ci si scrolla le responsabilità e si va avanti facendo finta di nulla?
Le parole di Tobin mi tornano alla mente.
‘Non è che tu non provi nulla. Tu provi, solo che blocchi le emozioni dentro di te’. Ed ecco perché le bloccavo. Era meglio non provare nulla.
- Cosa abbiamo fatto a noi due? - Chiedo mentre le lacrime scivolano finalmente silenziose, odiando queste mie emozioni che mi dilaniano fino ad ammalarmi. Per colpa delle mie emozioni lui mi lascia, convinto di salvarmi. 
- Mi sto odiando perché alla fine mi arrendo e basta, ma non ho più altro da fare. Non avrei mai dovuto chiuderti fuori. - Dice mentre mi raddrizzo seduto davanti a lui, lo stomaco sottosopra, ma il gelo mi avvolge, mi invade da dentro. Le sue mani sul mio viso, la sua espressione seria, gli occhi più morti che mai. Non piange, non grida, non si infuria. È qua davanti a me calmo, impressionante in questa tranquillità, mentre il buio vive sovrano ormai dentro di lui. Ed ecco che l’ultima speranza di salvarlo è svanita. Se c’era una vaga luce, è appena sparita. 
Buongiorno tenebre. 
- Dai un’occhiata alle nostre vite, guarda come siamo diventati attraverso i tuoi occhi sanguinanti. Vedo solo dolore e devastazione. - I miei occhi? Ed i tuoi? I tuoi sono morte. Ma la mia bocca ora è cucita. Non riuscirò più a parlare. 
Fa un sorriso triste, appoggia la fronte alla mia, seduti in questo pavimento di questo bagno che puzza di vomito. 
- Stiamo cadendo a pezzi, ti ho distrutto e niente ci potrà riportare in vita e aggiustarci. Siamo morti che camminano, hai ragione. Ed è ora che ti salvi io, per una volta. - Mi bacia la bocca leggero senza andare oltre, nonostante io abbia appena vomitato. Poi mi carezza il viso con dolcezza e c’è un lampo d’amore e di luce in questa tristezza gigantesca. Un lampo. 
- Ricordati. Non importa la tempesta che ci avvolge. Io ti amerò per sempre comunque. Adesso andremo avanti da soli. Grazie per tutto. - un ultimo bacio sulla guancia e poi scivola via, si alza e se ne va. 
Senza dire nulla, senza tirare fuori dei demoni che l’hanno reso un morto che cammina. Non li tirerà mai fuori. Meglio lasciarmi per salvarmi da lui, piuttosto che provare a stare meglio buttando giù i suoi muri. 
Infine ha tagliato fuori anche me, del tutto, inesorabilmente. 
Il muro è completo. Io sono al di qua. 
Niente per salvarci.
Forse la vita distrugge e non ricostruisce. Forse quando si formano i buchi quelli rimangono per sempre fino a che ti uccidono. Forse non sopravvivi alla vita comunque. 
Forse è inutile tentare di risalire. È inutile. 

"i miei demoni sono più forti che mai
questo tempo della vita è più difficile che mai
per diventare qualcuno migliore
qualcuno migliore
Sono stanco nell'anima
Ti ho dato il controllo

Si sente che sono appeso alla fine della mia corda
voglio credere che ci sia ancora speranza
ora mi sto appendendo nell'equilibrio da solo
non voglio essere l'ultimo a sapere
forse dovrei respirare e lasciarlo andare
Paradiso è meglio che mi dici dove diavolo sono andati gli angeli

dove sono andati gli angeli?
Dove sono andati gli angeli?"

WHERE DID THE ANGELS GO