*È il momento clou della fic, la parte centrale della storia di Jacoby vista e vissuta da Jerry. Non è stato facile per nessuno dei due, per entrambi è stato difficile per motivi diversi, qua la viviamo dal pov di Jerry e forse quello più facile da comprendere per chi non ci è passato. Nella vita di tutti c'è un punto centrale, un momento in cui la nostra vita cambia drasticamente e nulla sarà più come prima, la svolta in meglio od in peggio che sia. Per Jacoby questo è quel momento. Dalle molte interviste di Jacoby si sa che lui ha realmente tentato il suicidio e non l'ha fatto all'ultimo momento perché ha pensato che avrebbe devastato le vite della sua famiglia e dei suoi amici e compagni di band a cui teneva molto. In quel momento, invece di appendersi ad una corda, ha scritto una canzone. Before I die. Buona lettura. Baci Akane*

71. PRIMA DI MORIRE

jacoby jerry

"Sono qui da solo
Stufo di essere qui solo
So dove appartengo
Ma non posso trovare la mia strada di casa
Trovare la strada di casa"

BEFORE I DIE

Sono normalmente il primo a svegliarmi, ultimamente lo faccio anche prima del mio solito. Mi alzo con l’ansia e so di aver dormito poco e male, faticavo ad addormentarmi ed ora ho un mal di testa bestiale. 
Ho sognato che Jacoby al mattino non c’era, ma è lo stesso sogno che faccio da un mese. Che lui sparisca. 
Sbuffando ed arruffato vado in bagno e mi lavo il viso, faccio quello che devo fare ed ancora sbuffando vado giù. 
Non mi aspetto nessuno, infatti è tutto buio e vuoto. Vado in cucina e metto subito su il caffè, lo stomaco chiuso in una morsa a doppia mandata, a momenti vomito. 
Lo sfogo che ho avuto ieri sera con Jacoby mi ha fatto capire che sono ancora umano, ma è stato tremendo. Mi ha spossato e sfinito. Non ho forze nemmeno per tenere in mano una chitarra, eviterò la bilancia come la peste. 
In attesa che venga su il caffè vado in salotto e mi siedo stanco sul divano dove eravamo io e Jacoby ieri sera. La mia tazza ancora lì ed il suo quaderno dove l’avevo lasciato. 
Sospiro stanco e sconfitto. 
Lo amerò di nascosto, attraverso un periscopio. Non possiamo stare insieme, non ha senso il mio amore per lui. Vuole che torniamo insieme perché ora è solo e sta male e piuttosto che così è meglio con me, ma non guarirà comunque. Non servo a nulla per lui. Sono inutile. 
Apro il quaderno quasi per abitudine, non mi aspettavo di trovarci nulla, ma quando leggo questa frase nel centro di un foglio bianco, il cuore mi salta improvvisamente in gola. Spalanco gli occhi e giro il verso del quaderno e leggo aggrottato. 
‘Ho perso la mia strada di casa’
Impallidisco.
Non so perché, non ho la più pallida idea del motivo che mi spinga a salire di corsa le scale, non è una cosa che abbia un effettivo senso. È solo un verso scritto in grande. 
Però spalanco la porta della sua camera e col terrore che mi gela il sangue e mi toglie il respiro, apro la luce. 
Lui non c’è. 
Il letto è disfatto, ma non c’è niente di suo se non il telefono. 
Mi strofino la bocca, corro al bagno, vuoto. 
Alzo gli occhi al cielo, apro la finestra e mi affaccio per vedere se la sua macchina è parcheggiata sotto, ma non la vedo. 
Impreco. 
- Cazzo sei andato a fare Jacoby? Sapevo che succedeva, sapevo! - Il panico mi invade, un momento e non riesco più a camminare. Tremo vistosamente e sto per vomitare. Mi guardo le mani vuote che non si fermano, pallido come un cadavere. 
- Ok, ci siamo. Questo è il momento che ho sempre temuto. Sta succedendo ora o è già successo, ma se c’è una vaga possibilità per fermarlo è ora, proprio ora. Perciò Jerry smetti di terrorizzarti e renditi utile. Se non farai niente, se nemmeno tenterai, non te lo perdonerai mai. Non si tratta di vivere con un senso di colpa, si tratta di perderlo davvero. TU ORA FAI QUALCOSA! - Torno in camera e mi vesto in fretta, vado poi a buttare malamente giù Tobin e Tony e grido loro di trovare Jacoby perché è sparito e sono convinto che stia per fare una sciocchezza, non mi fermo a discutere su cosa me lo faccia pensare. Io lo so. 
Poi chiamo James che non dorme qua con noi, lo sveglio e per un momento non sa cosa sto dicendo, poi grido ed allora è shoccato. 
- Sarà tornato a casa dalla moglie per far pace, no? - Sospiro e scuoto la testa. 
- Sono abbastanza sicuro che non sia là, ma chiamo. Puoi fare due chiamate per vedere se invece è alla Paramour Mansion? Gli piaceva molto quella casa... - Non so quanto senso abbia per loro, ma lo ha per me. 
Chiamo Kelly e mi risponde preoccupata per l’ora e per il fatto che sia io, le chiedo se Jacoby è lì e lei dice di no, si spaventa, le chiedo di chiamarmi se si fa vivo.
Ecco che tiro bombe in giro mentre guido come un pazzo per le vie ancora deserte della città.
Quanto dista quel posto di mare dove va sempre? 
Ferma Jerry, ferma un momento. 
Se vuole uccidersi oggi è una bella giornata, non c’è un filo di vento, non anneghi nemmeno se ti impegni e poi non è proprio il sistema preferito di Jacoby. 
Beh, quale cazzo sarebbe il suo sistema preferito? 
Sa come ci si taglia le vene, ma fa male, devi essere fuori per farlo, quanto è fuori Jacoby ora? 
Se è in uno dei suoi stati dissociativi abbastanza, anzi magari è alla ricerca di dolore per tornare in sé. 
Perché andarsene via, però? 
Ha scritto ‘non trovo la mia strada di casa’ giusto? 
Si è perso, ha perso sé stesso. 
Potrebbe andare a casa, ma non è da Kelly e poi non penso abbia davvero mai sentito quella come casa sua. 
Chi o cosa considera casa? 
Me forse, se stessimo insieme. Ma ci siamo lasciati. E poi non sono mai stato sufficiente per essere considerato casa o starebbe meglio nell’arco degli anni, sarebbe guarito. 
Non è qualcosa che riguarda me, anche se sapeva che ci sarei arrivato perché l’ha scritto. Ha scritto quello e sapeva che l’avrei letto perché solo io leggo il suo cazzo di quaderno. Voleva che lo leggessi, se lo aspettava. 
Una piccola parte di sé vuole essere salvato e sa che con quella frase posso salvarlo.
Ma se non l’ho salvato dopo venti anni come faccio a farlo in un’ora? 
Che qualcuno mi dia la forza per farlo. 
Casa, casa, casa... qual è la sua casa? La casa da cui si è perso, ha perso sé stesso, è cambiato da come era. 
Mentre guido automaticamente verso il mare, verso quella zona dove andavamo spesso, dove si è buttato nei momenti significativi della sua vita, freno e realizzo. 
Dove tutto è iniziato. A casa di suo nonno, dove è vissuto dopo che sua madre si è rimessa in piedi ed ha lasciato suo padre. 
Ha vissuto molti anni lì ed è stata la sua effettiva vera prima casa contando che è stato un senzatetto ed ha vissuto in tenda da piccolo. 
Accelero mentre penso al capanno degli attrezzi dove suo nonno passava gran parte del suo tempo, dove quel giorno ha avuto quello sfogo terribile ed io gli ho detto che lo amavo. 
Ti prego, ti prego fa che sia vivo, fa che si sia ritrovato, fa che lì abbia trovato una ragione per vivere e non per morire. 
Se dovesse morire, oh cazzo, se dovessi trovarlo morto... ti prego, ti prego, fa che faccia in tempo. 
Accelero e guido come un pazzo, penso di passare col rosso diverse volte, ad un momento sto per perdere il controllo dell’auto, il cuore va velocissimo, sono pieno di adrenalina in corpo e la debolezza di prima è un ricordo. 
Paura, la paura di non fare in tempo, di perderlo, di non rivederlo. Potrei aver contribuito, ma non ero così importante, ero solo uno paziente che lo sopportava, che gli stava vicino, uno con cui stare bene, ma non una ragione per vivere e stare bene, non lo sono mai stato. 
Non lo aiuterò, non saprò aiutarlo, è impossibile che ci riesca ora in un attimo dopo tutti quei tentativi falliti.
È lui che deve voler vivere, è lui che deve rinunciare a morire, lui, solo lui. Non posso dirglielo io. 

Quando arrivo non so quanto ci ho messo e quanto avrei dovuto metterci, ma respiro un attimo, solo un maledetto attimo, quando vedo la sua macchina parcheggiata fuori. 
Ok, ora deve anche essere vivo. 
Respira Jerry. Respira e vai. Qualunque cosa troverai in quel capanno lo dovrai sopportare, forse è il tuo compito, forse era questo compito fin dall’inizio, è questo che sentivi. 
Scendo e vado direttamente nel capanno degli attrezzi, come sapessi che è lì. 
Mi sembra di camminare in un sogno, come se il corpo fosse inconsistente. Sento strano il mio corpo, anzi, quasi non lo sento. 
È questa la sensazione che ha Jacoby quando si stacca da sé stesso?
È terribile. 
La porta è socchiusa, una luce da dentro. Apro e la puzza di chiuso e polvere dell’altra volta mi assale, per un momento è come tornare indietro nel tempo, quando suo nonno si è ucciso. 
Il suo destino era suicidarsi? Tutti questi suicidi, questo pensiero fisso da sempre, questo autolesionismo... era per questo? 
La corda appesa ad una trave, una sedia sotto. La sedia è dritta, la corda è vuota. 
Un istante, un istante ed il cuore sono sicuro si fermi, la vista si offusca, vedo tutto nero anche se c’è la luce accesa.
La corda è libera, non c’è nessuno appeso. Ma era pronta per essere usata. 
Lo è ancora. 
Sposto lentamente lo sguardo, come se farlo più veloce fosse un peccato mortale, come se potesse esplodere una bomba. Non respiro, da quanto non respiro?
E poi lo vedo in un angolo, seduto su uno sgabello riadattato. Qua il tempo non è andato avanti, non è cambiato nulla. 
Ogni attrezzo, tavolo, cavalletto è tutto com’era, c’è solo più polvere. 
Nessuno ha toccato niente come se fosse un santuario. 
E la sua schiena robusta è lì piegata su un tavolo da lavoro in mezzo a cianfrusaglie, distinguo un foglio ed una matita, il rumore di chi scrive. 
Ma lui è lì ed è vivo. 
Chiudo gli occhi e le ginocchia mi cedono, mi ritrovo sul pavimento a reggermi disperatamente.
Cazzo. Cazzo. Cazzo.
È vivo.
È vivo e sta scrivendo. È vivo, ha preparato una corda, ma è ancora vivo. 
Forse sta scrivendo la lettera d’addio, come ha fatto suo nonno, forse lo sta per fare lo stesso.
Forse lo farà.
Come lo fermerai, Jerry?
Pensi davvero di esserne in grado, di essere in tempo?
Povero illuso. 
Quando apro gli occhi lui è girato sullo sgabello e mi guarda, si morde la bocca, è serio.  
Cosa dirai ora Jerry? 
Cosa gli dirai che non hai mai detto?
Cosa farai che non hai mai fatto?
Se non lo hai mai convinto prima, come potresti ora? 
Guardo i suoi occhi morti e mi rendo conto che sono vuoto, estremamente vuoto, la mia mente è una lavagna nera, non rimanda una sola parola o frase, nulla. 
Sono io, semplicemente io senza una sola cosa da dire, da fare. 
Non ho la minima idea di come aiutarlo, di come tirarlo fuori. 
Non so come fare, non c’è niente da fare. Non esiste nulla. 
E così, consapevole che però qualcosa devo dirlo o lui andrà ad appendersi a quella corda, consapevole di questo, apro la bocca senza la minima idea di che cosa posso dire di meglio di quanto ho mai fatto in passato. 
- Ti prego, non morire. - E poi le mie lacrime bruciano i miei occhi e poi le guance. Poi lui si offusca, non vedo nulla e mi copro il viso chinandomi sulle ginocchia che sono contro il pavimento lurido. 
Non so cosa posso dire che lo convinca, non so perché dovrebbe vivere, perché nessuno può vivere solo perché una persona glielo chiede. Si deve vivere perché lo si vuole fare. Non voglio che sia triste accanto a me. Voglio che sia felice accanto a me. 
Ma non lo sarà mai, non può essere felice accanto a me. Perché lui...
- So che non mi ami. E so che qualunque cosa dirò non basterà. Non so cosa dire, non so perché dovresti vivere, ma so che io non voglio che tu muoia. - Dico a denti stretti, disperato fra le lacrime. 
Non ho più niente da tirare fuori, niente. 
Non mi è rimasto più nulla. Ha tutto lui. 
Poi i suoi passi si avvicinano, trattengo il fiato, non mi muovo. Si inginocchia davanti a me, mi prende il viso fra le mani e me lo solleva, mi asciuga le lacrime ma continuano a scendere. 
- Quel che hai detto mi ha fatto riflettere. Che mi amerai da lontano, di nascosto, da un periscopio, perché da vicino pensi di non essere sufficiente. - Dice piano con voce roca che mi fa rabbrividire. Mi fisso nei suoi occhi, non piange, è solo un traboccante buio. - sono io che non ti merito e ti faccio male. Sono io che ti amerò di nascosto. Ti proteggerò da lontano. - 
- Il mio amore non è abbastanza, vero? Non so come posso aiutarti, non ci sono mai riuscito, ma so che se tu ti impiccherai io non vivrò. Forse non ti importa il male che mi farai. - Inizio a dire come un treno capendo solo che è qua per morire. 
Lui scuote la testa come fanno i grandi coi figli che frignano e non capiscono perché sbagliano. 
- No, non è vero! Sei tu che hai sempre spinto via i miei demoni! Senza di te sono tornati più forti che mai! Se sono ancora vivo oggi è grazie a te! - 
- Ma sei qua per morire! - Dico fra le lacrime. Lui sospira e annuisce, ma poi mi bacia le labbra fra il salato sapore del mio pianto. 
Che bacio amaro. Che bacio orribile. Non voglio ricordarlo come il nostro ultimo bacio. 
- Hai un cuore d’oro, vai avanti senza nemmeno respirare e fai delle cose incredibili. - mormora abbracciandomi. Le sue labbra all’orecchio. 
Mi sta salutando. 
- Non posso combattere questa pressione, è come cercare di risalire in superficie con il mondo legato ai miei piedi che mi trascina in basso. - Mi spiega perché si sta per appendere, non voglio sentire. 
Stringo le mie braccia intorno al suo corpo, non lo lascerò, non lo lascerò mai anche se non voglio che viva con questa voglia di morire per sempre, non lo posso sopportare ancora. 
- Non voglio sentire queste cose! Non ti farò andare! - 
- Dovresti! - 
- No, non lo farai! C’è ancora speranza! Si può ancora superare tutto! - 
- Continuare peggiorerà solamente la mia maledizione, ti sto contaminando, ti sto facendo ammalare! - 
- Non ti farò andare! -
- Devi lasciarmi andare. Ti amerò per sempre da lontano! Ti proteggerò! Non soffrirai più per me! - 
- Come puoi dirlo? Sto morendo anche io oggi! - 
Non so cosa dire, non so cosa fare. Sono caduto fra le sue braccia come un’arma carica, non lo lascerò andare, non gli permetterò di attraversare questa tempesta di fuoco. Non voglio che viva volendo morire, ma non gli permetterò di uccidersi, non lo farà oggi davanti a me. Se dovessi sventare ventimila volte il suo suicidio, lo farò tutte le volte. Non importa se vivrà volendo morire. 
- Ti ho spinto troppo lontano per tornare dove eravamo. Non potrei più farti felice, non potresti più amarmi, ma io posso farlo da lontano. - Mormora piano contro il mio orecchio, inizia piano a baciarmelo. I brividi mi ricoprono mentre il caos annebbia la mia testa. La scuoto. 
- Non ti lascerò mai ucciderti. - Mi prende il viso fra le mani, le labbra si spostano sui miei occhi, mi asciuga le lacrime con la bocca e me li bacia. 
- Non lo farò. Ho rinunciato a saltare, sai perché? - Spalanco gli occhi immediatamente. Sarei arrivato tardi, ci aveva già provato. 
Trattengo il respiro, le lacrime si congelano e per un momento il mondo svanisce, tutto perde di significato. C'è solo lui ora davanti a me e la sua risposta.