* Quando non ne hai più, hai riprovato mille volte, in mille modi diversi e non ce l'hai mai fatta perché sei sempre caduto, alla fine resta solo una cosa e Jacoby è esattamente a quel punto. Entra così in ballo la fede ed il suo rapporto con Dio. Nella realtà Jacoby ha detto che dopo il suo tentato suicidio si è riavvicinato a Dio grazie ad un prete che frequentava da ragazzino, quel prete che l'ha aiutato tantissimo. Buona lettura. Baci Akane*
73. QUELL’AIUTO ULTRATERRENO
"ora mi sto odiando
non avrei mai dovuto chiuderti fuori
Qualcosa ci può ridare indietro la vita?
Qualcosa ci aggiusterà?
Qualcosa ci può ridare indietro la vita?
Sono disposto ad aggiustarci
perchè più stiamo cadendo a pezzi
più mi spezza il cuore"
Jacoby scende per primo, è un normale giorno settimanale, metà mattina. Spero non ci sia nessuno.
Lo vedo che entra, io gli sono silenzioso dietro, mi fermo all’ingresso, mi metto in parte.
Lui si muove lento nel centro della navata, fra i banchi in legno scuro. La chiesa è nella media, presenta affreschi, una croce bianca accanto all’altare dello stesso colore, le piccole navate laterali terminano con altri piccoli altari dedicati a qualche Santo, forse alla Madonna. Davanti ad ognuno ci sono delle candele.
Non c'è anima viva qua dentro, non mi pare.
Jacoby si siede in uno dei primi banchi ma non nel primo. Si siede. Rimane fermo e zitto per un po’, poi si alza e si mette in ginocchio.
Il silenzio è completo, ma sembra più pesante di un normale silenzio. Forse perché è sacro.
Lo vedo che si prende il viso fra le mani, inginocchiato nel banco. Starà piangendo? La sua schiena è immobile, non respira nemmeno, non dice nulla. Non si muove. Mi avvicino cauto e lento fino a sedermi poco più indietro di lui, non piange, lo sentirei. Credo stia parlando con lui, credo stia facendo pace o lo stia pregando. Allora credeva in Dio.
Hai vissuto una vita del genere credendo in Dio?
Questo è uno degli enormi fascini di Jacoby. E cerchi pace in lui solo ora?
È qua che infine mormora qualcosa.
- Devi farmi uscire da qui, non ce la faccio più. - Chiudo gli occhi seduto nel banco dietro.
- Non voglio respirare ma non voglio nemmeno morire. Non riesco a sentire nulla, sono paralizzato. Non ce la sto facendo. Non riesco più a combattere. Non voglio sentirmi così. Non voglio vivere, non voglio morire. - Il mormorio continua più sommesso e crescente, comincia ad agitarsi e alterarsi. Sento l’emozione che trasuda dalla sua voce tesa, cerca di trattenerla, ne ha paura, questa volta è davvero devastante.
Penso che possa essere come quando tuo padre, il tuo Dio, ti delude e poi ti allontani per anni perché sei convinto che abbia torto. Ed intanto ti distruggi perché senza la sua guida non puoi andare dritto. Ed alla fine torni a casa e gli chiedi che diavolo di male gli aveva fatto per meritare il suo silenzio? Dove eri, padre? Gli avrà detto questo al suo? O forse gli ha solo detto che lo odiava?
Dio è come suo padre, per lui?
- So che sono una contraddizione vivente, fingo di essere vero ma in fondo al mio cuore mi odio. Voglio solo sparire, ho vissuto una missione auto inflitta per distruggere tutto quello che mi è stato dato. So che sei stato generoso con me, alla fine. Dopo tutto quello che mi è successo mi hai ricompensato, non ti ho mai ringraziato ed io in risposta ho distrutto tutto ed ho odiato ogni angolo di me. Se devo biasimare qualcuno quello sono io. Ed oggi sono qua di nuovo dopo un secolo a chiederti di farmi uscire da qua. - La voce si alza ancora mano a mano che parla, continua a tenere la testa fra le mani giunte, da dietro intravedo gli occhi stretti, il corpo rigido, sta per esplodere, trema, è teso, le mascelle contratte. E la voce è sempre più forte ed agitata.
- E dopo che furioso ti ho insultato ed ho giurato che ce la potevo fare da solo sono qua. Ti do il mio orgoglio, ti do il controllo, non ho più niente di sacro, ho perso la mia fede anni fa, non ho più niente. Ho perso tutti i tuoi doni, i miei figli, sto rovinando la musica, ho distrutto l’amore, sono solo. Ed ora ti chiedo di ridarmi indietro quello che è mio, la mia anima. Rivoglio solo la mia anima. Non voglio vivere, non voglio morire. Sto impazzendo, non ce la faccio più. Dio, non ce la faccio più. Non sono più me stesso. Non ho più me. -
Silenzio.
- Ridammi la mia vita. - Mormora a denti stretti, un ringhio, un latrato.
I brividi mi ricoprono.
Poi un urlo irrompe nel silenzio perfetto e sacro di questa chiesa in penombra.
- RIDAMMI LA MIA VITA! - Perché è così che succede. Quando non hai più niente, quando hai perso tutto, quando le hai provate tutte poi l’ultima spiaggia è la fede, è Dio, è qualcosa di ultraterreno in cui credere. Anche se non ci hai mai creduto o se ci hai litigato. Poi vai lì comunque, perché tu non hai le forze e vuoi che esista qualcuno in grado di dartele.
Mi rendo conto di piangere solo quando lo vedo che preme la fronte sul banco imbottito dove è seduto. Le sue mani sono strette nei bordi, le nocche bianche, trema rigido come un cadavere. Il singhiozzo che fa è straziante. Ha gridato piangendo e trattenuto il fiato per un minuto almeno, quel genere di urlo di dolore che ti eviscera completamente.
Come può essere sanabile un dolore simile?
Come posso io, semplice uomo, aiutarlo?
Dio, ti prego. Ti chiedo di esistere solo oggi.
Sento che piange, faccio per alzarmi ed abbracciarlo, ma improvvisamente da non so quale angolo compare una persona, ha un abito semplice ed un sorriso dolce, i modi distinti e calmi. Mi viene incontro, mi fa il gesto di stare fermo, entra nel banco di Jacoby e si siede vicino a lui.
L’uomo è sulla sessantina, ha una croce al collo. Mi raggelo.
Dio è sceso dalla croce davvero per salvarlo?
Per un assurdo momento lo penso.
La sua mano si posa sulla schiena che si scuote brutalmente, Jacoby non si gira, prende solo la sua mano, quella posata accanto alla propria nel banco. La prende fra le sue, appoggia la fronte sopra e continua a piangere lì.
Piange. Solo questo. Non grida di nuovo straziante, non guarda chi è, non fa sceneggiate com’è nel suo solito stile quando va fuori di testa.
Lui è lì e piange e non ho davvero idea da quanto tempo non lo facesse, non davvero.
Se devo pensarci boh, forse risale a qualche mese fa.
Ma lui piange e basta, non fa altro.
È come una fontana. Piange.
- Non voglio morire, ma non posso vivere così. Ridammi la mia vita, ridammi la mia anima. Sono pronto a ridarti il controllo ed il mio orgoglio se puoi salvarmi. Ti prego. Ti prego... - non ho idea se sa che non sono io quella mano, penso lo sappia perché di solito a me si appende.
Forse sente qualcosa di diverso.
Forse è istinto come sempre.
La scena mi raggela e mi impressiona e mi asciugo le mie lacrime silenziose.
Sarà meglio che Jacoby non trattenga più le sue emozioni se poi deve esplodere in questo modo.
Non so quanto rimangano così. Jacoby inginocchiato che piange sulla mano di questo prete sconosciuto. Lui seduto lì che paziente non fa assolutamente niente. Aspetta e basta. Sembra un quadro.
Ed è un quadro meraviglioso. Mi pento di non avere con me la mia macchina fotografica, vorrei immortalare il momento.
Non sono uno che crede in Dio, credo nella forza che troviamo nelle cose che incontriamo. Possono essere persone, religioni, filosofie, scienza. Non importa cosa.
Credo che se lo facciamo da soli, non ce la possiamo fare.
Se Jacoby per curarsi ha bisogno della fede e di credere in un Dio, che ben venga questo prete.
Dopo un tempo infinito di pianto ininterrotto che mi fa davvero impressione, Jacoby si alza come se riemergesse da un lunghissimo sogno infinito.
Lo guardo da dietro, è spaesato e confuso. Il prete gli dà un fazzoletto e lui lo prende istintivo, si pulisce il naso mentre il prete provvede da solo per la sua mano tutta bagnata di lacrime e probabilmente muco.
Jacoby si siede pesantemente, poi si guarda intorno e ricorda di essere entrato in una chiesa, ma penso fosse tutto ovattato come in un sogno.
- Ho gridato sul serio qua dentro? - Chiede rauco e sconvolto. Il prete sorride ed annuisce.
- Ora che ti vedo, posso riconoscerti solo grazie ai tuoi occhi. Questi occhi non si dimenticano. Non sono cambiati da quando eri piccolo. - La voce dell’uomo parla calmo e pacato, capisco che lo conosce e Jacoby che ora è in sé lo guarda aggrottato e cerca di ricordare. Poi stupito lo riconosce.
- Lei è il prete di quando ero adolescente! È ancora qua! Ma dai! Non si è stufato di fare questa roba? - Mi copro il viso con la mano pensando che solo lui poteva dire una cosa simile ad un prete, ma lui ride e allora capisco che è vero che lo conosceva.
- No, non mi sono ancora stufato. -
- E come mai? Non sono tutti falsi, ipocriti e bigotti quelli che vengono qua? -
- Anche tu lo sei? -
- Io sono un miscredente! - Il prete ride di gusto, seduto composto accanto a lui.
- Tu hai solo smarrito la strada di casa, ma se lo vuoi sapere faccio ancora questa roba qua... - dice citandolo - perché ogni tanto torna qualcuno di quelli che si era perso e chiede se può tornare. Io gli dico ‘certamente’. - Jacoby rimane un attimo impressionato e fa un sorrisino colpito, poi scuote la testa ed abbassa lo sguardo voltandosi come se si vergognasse.
- Io non sono di quelli che la chiesa accetta. A parte per il mio look... - Mostra i tatuaggi nelle braccia alzandosi una manica della felpa. - ho tradito mia moglie, ho distrutto la mia famiglia, sono un tossico alcolizzato, autolesionista e depresso. E penso di essere anche pazzo. Ho peccato in tutti i modi possibili ed immaginabili. Non sono un elemento che può stare in una chiesa. - Ma il prete risponde molto calmo.
- Eppure sei qua. -
- Perché ero disperato, ma non potrei mai tornare a frequentarla, non mi accettereste... -
- Gesù ha detto ‘non perderò nemmeno uno di quelli che mi hai affidato.’ -
- Sono un peccatore. - Sottolinea Jacoby buio.
- Gesù andava fra i peccatori e insegnava loro la via, li guariva, li salvava. Sai cosa significa quando scrivono che Gesù guariva un malato? A quei tempi la gente era convinta che i malati fossero così perché peccatori. Gesù li guariva perché li perdonava dai loro peccati, sempre, qualunque essi fossero. - Jacoby si aggrotta, ma ci sta perfettamente dietro, come se la confusione di prima fosse un ricordo lontano.
- Perciò il Vangelo è tutto allegorico? - Il prete alza le spalle.
- Dipende dalla fede. Quello che Dio ci voleva insegnare però era una cosa semplice e tramite Gesù ed i Vangeli io penso ci sia riuscito. - Jacoby si fa attento e sembra penda dalle sue labbra. Allora il prete gli mette una mano sulla guancia e sorridendo, dice:
- Che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Amare il proprio prossimo come sé stessi. Chiunque esso sia, in ogni caso. Dio vuole che ci si perdoni, sempre, tutti. Settanta volte sette. Qualunque peccato. Non ci sono peccati imperdonabili. - Jacoby rimane a bocca aperta, incantato, meravigliato come un bambino, ipnotizzato.
- Perciò Dio è così elastico? Vuoi dirmi questo? -
- Tu invece sei così rigido? - Gliela rigira lui furbamente. Faccio un sorrisino. Questo prete è in gamba.
Può essere lo psicologo che Jacoby ha paura ad incontrare. Che sia un prete od uno psicologo vero, quel che conta è il risultato.
Lo vedo interessato, ma in questo momento qualcuno entra dalla porta secondaria e quando lo vede lo chiama dicendo che lo cercava. Il prete fa cenno di aspettare, poi torna a Jacoby, si toglie la croce dal collo e gliela mette nelle mani mentre lui è ancora incantato.
- Questa serve più a te che a me. Tornerai per parlare ancora con me? Sono sicuro che non ti ho convinto su Dio. - Jacoby si riscuote e torna fra i vivi. Annuisce prendendo la croce.
Il prete sorride e se ne va.
- Tornerai davvero? - Chiedo trattenendo il fiato, pieno di speranza. Jacoby si volta verso di me mentre guarda il prete che va con il suo collaboratore.
- Sì. Devo chiedergli molte cose. - E torno a respirare sollevato. Non importa da chi vada e in cosa crede, basta che qualcosa gli restituisca la vita. Andrà bene tutto. Nelle mani la sua croce.
- Frequentavi questa chiesa? - Annuisce ancora distratto, come se fosse perso negli stessi ricordi.
- Proprio con lui. Poi ero un cazzone, non capivo molte cose e troppe me ne erano successe ed invece di chiedergli quello che dovevo, me ne sono andato convinto che lì nessuno potesse aiutarmi. Pensi che abbia sbagliato e che ora la vita mi presenti l’ultima occasione per capire quello che non capivo allora, che non ho mai capito, che mi ha sempre tormentato? - Mi chiede poi guardandomi di nuovo. Sospiro e mi stringo nelle spalle.
- Sarà il caso di scoprirlo, no? Tu credevi in Dio ma eri arrabbiato perché ti sentivi abbandonato, giusto? - Annuisce. - Magari è ora di chiedergli se è vero che ti ha abbandonato e perché? - Perché tanto tutti vogliamo avere questa risposta da qualcuno prima o poi, mi stupisce solo, e lo dico sinceramente, che alla fine Jacoby la cercasse da Dio e non da suo padre o chissà chi.
Quest’uomo è ancora pieno di sorprese.
Pazzesco.