*Jacoby e Jerry finalmente parlano, Jerry non aveva idea di cosa avesse effettivamente passato Jacoby prima di tentare il suicidio perché gli faceva la guerra, ma ora ne parlano e cercano di capire da cosa iniziare, perché solo una cosa è chiara in mezzo a tutta quella nebbia. Si deve cominciare da qualcosa. Però da cosa? Forse parlare è un buon primo passo. Dalle interviste di Jacoby so che James lo ha aiutato molto in quel periodo, che gli diceva di scrivere tutto ed insieme facevano un po' terapia per fare i testi. Ciò che racconta su Kelly e quel che è successo a casa sono informazioni prese dalle sue interviste. Buona lettura. Baci Akane* 

74. PUNTO DI RIPARTENZA

Jacoby Jerry

"Ero lì il giorno in cui la verità è morta
Sangue sulle mie mani, alzate verso il cielo
Ero niente meno che il peccatore numero uno
La mia vita era una bugia e il mio desiderio era la morte
Mi sono innamorato dei modi del mondo
Soldi e fama, alcool e donne
Ma non potevo rimanere fedele se ci provavo
Mi trasformerei in un diavolo, lo potevi vedere nei miei occhi
Ero fuori di me, ti ho detto tutto quello che ho fatto
Non potevo trattenere tutte le bugie con cui vivevo
Ti ho spezzato il cuore, rotto il giorno dopo
Le mie valige fuori, urlando vattene all'inferno
Non sei un marito, né un padre, solo un maiale
E non potrai mai cambiare tutte le cose che hai fatto
Questo è quando l'ho saputo che non sarebbe durata
Non uscirai mai quando stai scappando dal passato"

GRAVITY

 

Non so se chiederglielo o no. Che faccio? 
Mi ha lasciato per l’ennesima volta in poco più che un mese, quanto tempo sarà? Due? 
Scuoto la testa e mentre riparto, invece di chiedergli quello che vorrei sapere, gli chiedo cosa vuole fare con la macchina. 
Alza le spalle.
 - Manderò qualcuno a prenderla... portami a casa nostra. - Per un momento rimango basito e lo guardo sorpreso, lui capisce e fa un sorrisino. - La nostra base operativa! - Sorrido anche io. 
- Casa nostra! - 
Dove creiamo e registriamo e prendiamo le decisioni per il gruppo. La casa dei Papa Roach, il nuovo studio. 
Non è dietro l’angolo, abbiamo un po’ da passare insieme. 
- Pensavo che avessi detto quello che dovevi a tuo padre... - dico alla fine facendo violenza su me stesso, dopo essermi morso la bocca diverse volte. 
Non è facile per me impicciarmi, ma non si tratta di questo, non penso. 
Jacoby mi guarda sorpreso che glielo chiedo, anche se non sono proprio diretto. 
Alza le spalle e guarda fuori. 
- Ero fuori di testa, è stato dopo che ci siamo lasciati la prima volta. Quel giorno ero già stato da lui ed avevo fatto scena muta, tu stavi male, ho visto che ti stavo distruggendo e ti ho lasciato, ma non volevo. Io non potevo fare a meno di te. Privarmi di te è stato come... - Si ferma e ci pensa, poi scuote la testa: - togliermi l’ultima parte che mi rendeva umano. - 
Rabbrividisco. 
- L’ultima difesa, l’ultimo mattone, non lo so. - Annuisco intendendo che ho capito. 
- Ma quindi sei tornato subito dopo e? - Se lui ha i suoi problemi a parlare, io ho i miei a chiedere. Perché lui parla tanto, ma di fatto le cose che dovrebbe dire non le dice. Io non so chiedere, ma se voglio che lui parli, forse è ora che io muova il culo e mi sforzi. 
Jacoby finalmente non devia il discorso e non si zittisce. Finalmente risponde. È il primo effettivo miracolo di Dio. 
- E mi sono messo ad urlare. Gli ho urlato di tutto. Che lo odio, che ha distrutto la nostra famiglia, che non l’ho mai perdonato e mai lo perdonerò e che ora può morire in pace sapendo cosa è diventato quello che ha seminato. - Silenzio. In realtà lo immagino mentre grida così.
Sorrido e piego la testa. 
- Però non è bastato, non sei stato meglio. - Scuote la testa.
- Poi sono andato a prendermi una bottiglia e mi sono ubriacato. Quell’uomo è come un cancro, non mi libererò mai di lui. A casa con Kelly è stato il putiferio. Ha preso i bambini e se ne è andata e mi ha detto che avevo una chance. La prossima volta mi faceva trovare le valige fuori. - 
Inarco le sopracciglia e lo fisso di sbieco.
- Ed è stato così? - Ridacchia colpevole ed annuisce. 
- Ed è stato così. Sai, io sapevo che era arrivata al limite massimo, ma non me ne importava più. Non sapevo più perché l’avevo voluta anche se non l’amavo. Qual era il senso dell’averla nella mia vita? Vedevo i figli terrorizzati da me e capivo che avevo definitivamente rovinato tutto e la cosa più terribile era che non riusciva ad importarmi più di niente. Non ti avevo più. Non avrei più avuto una fottuta oasi felice nella mia vita. Cosa mi rimaneva? Non pensavo che nemmeno la musica fosse più sufficiente. Niente contava. Non sentivo nulla, capisci? Ero completamente fuori controllo. Ed ho continuato a bere lo stesso. Ho preso anche delle pillole, di nuovo. Mi sono fatto ancora. Sono proprio ricaduto in tutto per bene. Non riusciva ad importarmi di un cazzo. Quindi quando sono tornato una di quelle volte le valige erano tutte fuori, lei lì davanti ad urlarmi di tutto. Secondo lei ero andato a tradirla tutto il tempo, gliel’ho fatto credere senza problemi, non mi importava. - 
- E... -  tossisco e mi schiarisco la voce, faccio fatica a sentire questi discorsi, non voglio immaginarlo così, odio immaginarlo così. - Ed era vero? Eri andato con altre? - 
- Sono andato in locali apposta per farmene tutte quelle che potevo. Odiavo te, odiavo me che ti avevo spinto fino a quel limite ammalandoti, odiavo Kelly che non era riuscita a tenermi sano quando tu non c’eri, odiavo i miei figli che non mi amavano più, odiavo la musica che non era abbastanza, odiavo il mondo. E non mi fotteva nulla nemmeno di scopare. Non c’era nulla che mi facesse stare bene, che mi aiutasse a distrarmi. Ci ho provato ma non mi è venuto duro e non volevo trombare, mi faceva schifo. - Mi impressiono, lui è sempre stato dipendente dal sesso, da quella bella sensazione che un orgasmo ti dà, dalla bocca di qualcuno sul suo cazzo. 
- Non ho fatto niente con nessuno. Sono solo sprofondato. Alla fine quando Kelly mi ha lasciato definitivamente cambiando serratura alla casa e giurandomi che non avrei mai più rivisto i figli, non sapevo cosa fare. Ed era il periodo in cui tu mi facevi la guerra fredda, per proteggerti mi avevi tagliato fuori, avevamo meno contatti possibili, scrivevo e cantavo ma non ti importava, non ascoltavi... ed avevo ancora la macchina con le valige e alla fine non sapevo cosa fare ed ho chiamato James. Lui mi ha aiutato molto, mi ha calmato, ha detto di andare nello studio che c’è l’appartamento per noi sopra, stare lì quanto volevo e di non preoccuparmi che sarebbe andato tutto bene. Che mi avrebbe aiutato a disintossicarmi e rimettermi in piedi. E di scrivere, scrivere tutto, subito, sempre. - 
James l’ha aiutato, non si può certo dire di no, ma anche questo insistere sullo scrivere testi è mirato. Comunque per qualunque motivo sia stato, lo ha aiutato quando io non ne potevo più. 
- Fa terapia con me, nel senso che mi fa parlare e spiegare quello che sento o che voglio dire e mi aiuta a tradurre in parole quel che provo, a volte scrivo con tanta foga che non ha senso quel che viene fuori, lui invece tira fuori cose sensate. È una persona in gamba, no? - Mi chiede conferma scrutandomi subito il profilo, sa che ero geloso, ma ora siamo in una fase strana. 
Ci siamo detti che ci amiamo, ma lui è convinto, quando è lucido, che non può stare con me. Quando invece crolla e sta male si pente e vuole tornare. Io onestamente non so più cosa sia giusto fare, però ha parlato molto, ora, ed anche se le cose che dovrebbe dire ancora non le dice, va bene lo stesso.
- Penso che dovresti tornare da tuo padre e dirgli con calma e lucidità quel che pensi, quel che ti ha fatto. Ricordarglielo, forse. Chiedergli perché lo faceva. - Alza le spalle e torna a chiudersi, si prende un ginocchio contro il petto mentre l’auto avanza tranquilla per la statale verso lo studio. 
- Lo so perché lo faceva, lo faccio anche io coi miei figli. Sono diventato un dispensatore di terrore, in casa, come era lui con noi. Lo faceva perché non aveva il controllo di sé, troppo preso dall’alcool. Era arrivato ad una malattia mentale, a due personalità, una buona una cattiva. Come me. Solo che poi in lui è rimasta solo quella cattiva. Ed io oggi mi sono fermato e mi sono chiesto se anche io fossi così ormai. Se la personalità buona ormai fosse morta del tutto. - Torna al suo stato depressivo, non è una cosa di cui si libererà facilmente. 
- Non vorresti sentirlo dire da lui? - Chiedo cauto. - Quando io ho avuto problemi con il mio sono rimasto e l’ho ascoltato quando mi ha chiesto scusa, all’inizio non riuscivo, poi l’ho visto cambiare e tornare quell’eroe che era prima. Sono contento d’averlo fatto. - 
Jacoby ascolta silenzioso, appoggia la testa all’indietro, tutto storto e rannicchiato. Sembra piccolo, sembra quel bambino shoccato dall’odio di quel padre. 
- Non lo so. Credo che ci sia qualcosa che posso fare per liberarmi da questo demone e curarmi da questo cancro. - Demone, cancro. Che mostro era quest’uomo? - Ma ancora non ne ho idea. - Poi sorride amaro. - Pensa, è più facile riavvicinarmi a Dio che a mio padre. - 
Alzo le spalle. 
- Dio non è una persona, è più facile litigare e far pace con chi non c’è. - 
A questo punto lui scoppia a ridere mentre io mi sento meglio perché almeno prova a reagire e parlare, sebbene sia sempre una statua di cristallo piena di crepe. Quando andrà in pezzi? 
Arrivo intanto a casa nostra, come la chiama lui.
Spengo l’auto, aspetto prima di scendere, la mano sulla maniglia. Ci guardiamo e serio faccio l’ennesimo sforzo.
- Da dove vuoi iniziare Jacoby a risalire? - Sa cosa intendo. Lui scuote la testa. 
- Non lo so, giorno per giorno. - Scuoto io la testa. 
- No, devi decidere come pensi di risalire, devi iniziare a progettare la tua risalita, Jacoby. Non lasciarti vivere e vedere come va. Ok? - sospira, ma non sa cosa rispondere, io così insisto. 
- Promettimi una cosa. - Dico poi obbligandolo a guardarmi. Alza gli occhi colpevoli, tutti piccoli e rossi. - Per quando finiamo questo album tu mi dirai da cosa vuoi iniziare, mi darai un piano pratico per uscire sul serio da tutto questo. I tuoi obiettivi, i tuoi passi, i tuoi metodi. Ok? - A questo punto, e forse per la risolutezza dei miei occhi e della mia voce, annuisce. 
- Va bene. - Così sorrido dolcemente e gli carezzo fugace la guancia, poi scendo. Non so se stiamo percorrendo per l’ennesima volta lo stesso sentiero pieno di buche che finisce a strapiombo, ma devo dire che oggi abbiamo un compagno di viaggio in più. 
Non sono io quello che crede a Dio, ma Jacoby. E se lui ci crede, significa che oggi c’è un compagno in più. Spero che il suo Dio sia potente come dicono in giro. 

Inizialmente non credo avesse intenzione di parlarne con nessuno, ma visto che ho messo in moto mezzo mondo Jacoby decide di riunire tutti insieme e spiegare cosa è successo. Che ha effettivamente tentato il suicidio, ma che alla fine ha deciso di riprovarci ancora. 
Mostra il testo che ha scritto, ma non sono convinti. Non è sufficiente dire che hai tentato il suicidio ma che sei ancora qua. Tutti aspettano il resto e così si sforza. Si vede che si vergogna, è mortificato ed odia averli fatti preoccupare. Capisce che gli deve di più, che loro sono la sua band. 
A questo punto Jacoby parte e come parte non si ferma più. Presenti entrambi i produttori, James e John che è stato di meno con noi rispetto a James. 
E qua, quando Jacoby inizia, sembra apra le cataratte del cielo e tutta la pioggia di questo mondo scenda giù prepotente. 
Shoccati ascoltano tutto quello che racconta, Tony in particolare non immaginava nulla di quel che Jacoby stava passando, mentre Tobin ne aveva già più idea. Idem James sapeva quasi tutto, mentre John nulla. 
Jacoby spiega che fa su e giù dalla droga e dall’alcool da anni, che Kelly lo ha lasciato e gli ha tolto i figli, che suo padre dopo più di venti anni ha chiesto di vederlo perché è moribondo e lui gli ha potuto solo gridare che lo odiava, ma che è rimasto in lui peggio di prima, che sta litigando con tutti quelli che gli sono vicino, che nessuno riesce più a sopportarlo e lui li sta ammalando tutti. Non fa il mio nome, ma io so che parla di me e penso lo capisca anche Tobin. 
- Ed io non so come si ricomincia da capo. Non ce la posso fare ancora. So solo che non voglio morire e distruggere ulteriormente le vite di chi mi sta vicino. Non voglio essere così tanto egoista. Ma non riesco ad affrontare tutto questo di nuovo e non so come rimettere tutto in piedi, non so come uscirne, non so come stare bene. So che non voglio morire, ma non voglio vivere. Non così. Non in questo modo. E non so come cambiare. - 
Conclude serio, monocorde, fissando le proprie mani giunte, i gomiti sulle ginocchia, la voce rauca. 
Intorno a lui una serie di persone shoccate per le sue rivelazioni, io l’aria di chi sa già tutto e non è stupito. 
Non so per quanto stanno zitti, di solito parlerei io ma è chiaro che l’ho già fatto visto che l’ho trovato e recuperato io. E non so che altro aggiungere, comunque. 
Alla fine è James il primo.
- L’importante è che non ti tieni tutto questo dentro, per te la musica è terapia, usala per uscirne... - Mi prudono le mani, sto per colpirlo, ma Tobin interviene e ringrazio il cielo che parla lui. Che cazzo, sembra che esista solo la musica. Quando se ne accorgerà Jacoby che James è qua solo per quello e non per farlo stare bene e aiutarlo? Per carità, è un produttore, ma anche John lo è e non fa tutta quella manfrina!
- Però ti serve un aiuto vero, uno che sappia come tirare fuori la gente. Ci sono tanti gruppi di sostegno che fanno miracoli, so che sembrano cagate, ma... - Tobin è il primo che ci prova. - Insomma, so che Dave si è deciso a frequentarli e piano piano si è rimesso in piedi... - Continua sperando di convincerlo. Jacoby non reagisce male, ero già pronto, come tutti immagino, a sentirlo urlare. 
Si stringe nelle spalle e si fa piccolo mentre guarda tutti con umiltà, sembra un’altra persona. 
- Non so cosa fare, non ho fatto progetti, ma so che ne devo fare, devo cominciare a farmene invece di vivere sempre alla giornata. È il primo passo. -  
Anche se più che un gruppo di sostegno ha bisogno di uno psicoterapeuta visto che sente cose che la sua testa non dovrebbe fargli sentire, ma è meglio non dirlo. Questo si è guardato bene dal rivelarlo, ma Tobin sa che la testa gli gioca brutti scherzi. Non avrà dimenticato quel litigio leggendario. 
- Ci sono due modi. - Inizia poi John, l’altro produttore che ci ha seguito meno. - O vai da un terapeuta o in un gruppo di sostegno, sono entrambi validi ma diversi. Il terapeuta è un esperto a cui tu dici qualunque cosa e lo saprà solo lui e basta e ti guarisce non solo dai problemi di dipendenza, ma anche da tutti gli altri traumi che ti hanno portato ad avere problemi di dipendenza. I gruppi di sostegno invece è più un parlare ed essere ascoltati, non ci sono consigli esperti anche se chi guida il gruppo ha un po’ di esperienza del settore, ma non è proprio uno psicoterapeuta. Diciamo che la gente che ti ascolta può darti consigli, ma non sono mirati e alla fine ci va chi ha bisogno di sentirsi capito ed ascoltato e basta. È diverso, capisci? Non ti senti solo, con loro, ma non è che ti curano in modo mirato. - Ascolto John come se fosse un dio capendo che ci deve essere passato, se non per sé stesso, per chissà quanta altra gente con cui ha avuto a che fare. Jacoby finalmente sembra capire le proprie opzioni, non vedo più la nebbia. 
- Puoi anche fare entrambi, i gruppi sono buoni perché vedi che non sei il solo a stare così male, siete in tanti e tutti hanno provato esattamente le tue stesse cose. Spesso anche solo ascoltare ti aiuta, capisci? - Jacoby annuisce assorbendo le sue parole, lo vedo seduto dritto e serio. 
- Però ci sono anche i centri di disintossicazione veri e propri, ti ricoveri per un periodo durante il quale lavorano su di te e si assicurano che ti disintossichi fisicamente, ti fanno tornare a casa quando il tuo corpo è a posto ed hai iniziato a camminare da solo nella giusta direzione. Poi ti bastano i gruppi, solitamente. - Jacoby ascolta bene, alla fine si stringe nelle spalle e si passa le mani fra i capelli arruffati. 
- Non lo so, ci devo riflettere. Credo sia ora di fare una di queste cose... - tossisce e mi guarda fugace come se avessi parlato io. - Forse uno psicoterapeuta per iniziare fa al caso mio, ho un casino in testa che... - non continua, ma so di cosa parla, anche Tobin sa ed annuisce. 
Quando lo accenna è la prima volta da che lo conosco che lo fa e mi sembra di toccare il cielo con un dito, mi accorgo che mi diventano gli occhi lucidi e mi emoziono come uno stupido, spero non se ne accorgano. Jacoby torna a guardarmi imbarazzato e veloce, colpevole di tutto, ed io gli sorrido istintivo ed incoraggiante. Così si rilassa e sorride anche lui annuendo e ringraziando tutti. 
- Già parlarne ora mi ha alleggerito molto, non credevo che questa puttanata del parlare funzionasse... - dice scanzonato, Tobin e Tony ridono lasciando andare la tensione ed il nervoso, mentre James...
- Anche lo scrivere se è per questo... chissà quante cose hai da tirare fuori... - 
Io scuoto la testa e cerco di cancellare tutto quel che dice. 
- Comunque tenere dentro di sicuro non può fare bene. - 
- Senti chi parla, tu sei un altro che non si scuce nemmeno a morire! - Mi schernisce Tobin. Io gli faccio il dito medio. 
- Tu invece sei un chiacchierone! - Replico ironico. Jacoby però ci circonda il collo con un braccio a testa e dalla mia parte poi si sporge fino a prendere anche Tony dall’altra parte. Ci stringe facendoci anche male, chiude gli occhi un momento e rimane così. Solo così. 
Poi lo sussurra.
- Grazie per esserci almeno voi, ragazzi. Sarete il mio punto di ripartenza. - 
Per me esserci come compagno di band e non di vita sarà difficile, ma farò di tutto. Se per lui è meglio così, lo farò. Eppure questi brividi ogni volta che mi tocca sono una tortura. Ma se è per vederlo vivo ed un giorno felice, andrà bene tutto.
Faremo come ci siamo detti già. ci ameremo da lontano, tramite un telescopio. Se insieme non funziona perché ci distruggiamo, allora faremo da lontano. Senza toccarci.