*Jacoby e Jerry sembrano dover chiarire ancora, di cose da chiarire e rivelare ce ne sono, cose che sconvolgono Jerry in tanti modi, ma Jacoby ha deciso come si suol dire di pulire il suo armadio e inizia con lui. Quel che viene a sapere lo shocca non poco. Intanto arriva una nuova nube all'orizzonte. La cosa che Jacoby e Jerry fanno dei segni ogni volta che fanno Scars live, è vero. Buona lettura. Baci Akane*
80. LE PREZIOSE CICATRICI
"Viviamo alla giornata
Manteniamo viva la nostra luce nella foschia
Sì, vi rimarremo per sempre
Siamo quelli che continuano a spaccare
Siamo un faro nell’oscurità
Un faro sorto dal cuore
Siamo stati qui sin dal principio
Siamo quelli che continuano a spaccare"
Jacoby si alza finalmente e si gira verso di me, rimane seduto ma mi guarda nella penombra della stanza, i piedi giù dal tavolino, abbasso anche io i miei, ma non mi muovo, sono di piombo mentre la paura mi raggela.
- Le ho detto che l’ho tradita ripetutamente. - Ripete deciso mentre affronta un po’ dei suoi casini con me ora.
- Tu... tu non le hai detto di me, vero? - Dico cauto girando la testa e guardandolo di sbieco, spaventato. Forse lo dimostro, finalmente. Lui scuote la testa svelto.
- Stavo per farlo, ero pieno di merda in testa. Fra sostanze varie e te e mio padre e... e lei urlava furiosa, diceva che aveva sempre resistito perché sapeva che l’amavo e che anche se mi facevo e bevevo però poi tornavo sempre da lei, l’amavo, le ero fedele, era sicura di questo... ed io poi ho sentito la mia voce dire ‘Ho anche litigato con Jerry!’ E lei subito ‘Hai tradito anche lui?’ Per un momento non ho capito un cazzo. Mi sono fermato ed ho pensato ‘o ho capito male o ho detto qualcosa che non ho realizzato’. -
Lo guardo shoccato mentre mi sento sudare freddo, le mani prudono, vorrei ucciderlo. Non me lo ha detto prima, non ha pensato di dirmelo prima. Lo ammazzo.
- E? - Insisto impaziente. Fatico molto a rimanere calmo, ma potrei anche dargli uno scossone.
- E visto che non capivo cosa diceva lei ha detto che se ero al punto di tradire i miei migliori amici ero finito, al capolinea. Ormai avevo passato un limite che non si tornava indietro. Di andarmene dalle loro vite, non voleva farmi vedere più i nostri figli. Ha giurato che se mi sarei fatto rivedere avrebbe fatto fare un’ordinanza restrittiva. Dopo le urla dove mi chiamava maiale e varie, mi ha detto questo con una calma gelida e lì ho capito che era vero, che mi stava lasciando sul serio. Quando mi ha detto che non voleva rivedessi i bambini qualcosa si è spezzato ed ho ricordato l’ultima volta che ho visto mio padre da piccolo. Mia madre ci aveva presi e portati via e andandosene ha detto a mio padre quelle parole. ‘Non li rivedrai mai più’. Lì ho capito che ero diventato come lui, avevo distrutto la mia famiglia come lui aveva distrutto la mia. Non mi avrebbero mai perdonato. Nessuno. - Sospiro chiudendo gli occhi.
- Pensavo le avessi detto di noi. - Dico poi sottolineando che non era grave come l’aveva messa. Cioè non per me. Lui però si aggrotta.
- Beh ma non lo so, ero così fuori che... -
- Quando non ti trovavo l’ho chiamata e le ho chiesto se ti aveva visto, ha detto di no. Se le avessi detto di noi e te lo fossi dimenticato, se ricordassi male la vostra discussione, mi avrebbe insultato come minimo. - Annuisce calmandosi, si riappoggia allo schienale e guarda davanti la stanza buia dove si distinguono poco i mobili.
- Avevo paura di averglielo detto e aver confuso i ricordi, volevo solo prepararti... -
- Per un momento l’ho pensato anche io, mi hai spaventato. - Ammetto. Lui è colpito nel sentirmelo dire.
- Davvero ti ho spaventato? -
- Certo, non ha senso venire allo scoperto ora, è tutto così incasinato ed ormai abbiamo famiglie, con la mia io vado bene e non voglio ferirli. Non è amore, ma è un bell’affetto, è complicità, è qualcosa che condivido volentieri ed insomma... io ti amo e voglio condividere con te ogni momento che possiamo avere insieme, ci vediamo moltissimo perché siamo nella stessa band, vedo più te di Jessica ed Amelia, ma non... - Tossisco capendo che mi sto incartando, lui mi guarda, sento i suoi occhi addosso come quando facciamo le interviste e devo rispondere io e mi metto quasi a balbettare, ogni parola è estremamente difficile, è come se il cervello si bloccasse e la lingua si annodasse e lui mi guarda, aspetta, poi interviene e parla al mio posto salvandomi. Però con lui parlo sempre liscio e tranquillo. Ogni volta. Tranne ora. Non voglio ferirlo.
- Ho capito. - Viene in soccorso e sospiro.
- Davvero? - Chiedo guardandolo veloce, lui sorride ed annuisce, ci osserviamo da vicini, spalla contro spalla, poca distanza fra noi.
- Sì. La tua vita familiare va bene, hai una figlia spettacolare, Jessica è una cara amica e complice, non c’è ragione per distruggere tutto. Con te chiunque andrebbe d’accordo e costruirebbe qualcosa di bello. Sei una meravigliosa persona, per questo non voglio rovinarti oltre e sporcarti più. Stavo per distruggerti, rischio di farlo in ogni istante. - Ribadisce la sua convinzione di essere un cancro e di non potermi contaminare, io sospiro ed alzo gli occhi al cielo, poi gli prendo la mano e lo fermo.
- È una scelta che spetta a me. - Ma lui scuote la testa.
- Anche a me. -
- Si decide insieme. - Sottolineo.
Lui non sa più cosa dire e con piacere si zittisce. Alla fine gli metto l’altra mano sulla guancia sporgendomi verso di lui e girandomi meglio. Intreccio le dita alle sue, lo vedo davvero perso, in certi momenti.
Il suo cammino è appena iniziato ed anche se sembra volerlo come non lo ha mai voluto, è difficile. È molto difficile andare avanti. Una stupida cosa potrebbe farlo ricadere. È così fragile. Così bello.
- Aspetterò che tu sia pronto per tornare davvero con me, ma voglio che tu sappia che non mollerò mai. - Qua Jacoby apre e chiude gli occhi diverse volte, emozionato e colpito. Impreparato.
- Mi ricordo quando ho scritto Scars. - Così ogni tanto se ne esce con delle parentesi che sembrano non c’entrare niente. Gli lascio la guancia pensando che il suo famoso ADD sia tornato. Ogni tanto lo fa.
- Perché lo ricordi ora? -
Lui si gira meglio verso di me, piega una gamba fra noi due, continua a tenere allacciate le nostre mani e non c’è più l’ombra di erotismo fra noi, non come prima. È confidenza e voglia di aprirsi.
- Perché quella canzone è per te. L’ho scritta ricordando certi momenti successi fra noi, quello che dice che ha provato ad aiutare e che non ci è riuscito e che deve vivere la sua vita sei tu che lo dici a me. Non ricordi quei momenti? Quando ci provavi a fare le cose come andavano fatte? -
Batto le palpebre diverse volte, preso in contropiede e ci penso. Mi aggrotto ripetendomi la canzone.
- Ma dici di essere ubriaco, io non... - Lui piega la testa.
- Anche la cosa della cicatrice che si riferisce a quella che mi sono fatto e la frase che ricordano che il passato è reale è presa dal mio amico che ha tentato di uccidersi... ho messo dentro diverse cose, sai quando scrivevo facevo un po’ casino, ma eri tu. Tu chiuso che ti sei aperto a me e per farlo ti sei ferito. Il tuo cuore si è aperto e strappato per colpa mia. e ci hai provato in tutti i modi con me, sempre. Dovevi mandarmi via, ci provavi, ma io non ne volevo sapere ed alla fine venivo sempre e tu mi prendevi con te. Tutte le parole che mi dicevi, le ricordi? Sono in quella canzone. -
Chiudo gli occhi ripercorrendo certi pezzi in particolare come se fosse una rivelazione.
- La mia debolezza è che ci tengo troppo a te... - Non gliel’ho mai detto, ma lui lo sapeva. Perché lui mi ha sempre letto dentro anche se non riuscivo mai a parlare.
Un pugno allo stomaco, ecco cosa mi ha dato ora.
Sento gli occhi bruciarmi e respiro a stento, si percepisce quest’emozione straripante?
- Ti sei emozionato? - Chiede stupito tirando la mano per farmi aprire gli occhi. Io sorrido e li apro, ma si vedono le lacrime anche al buio.
- Mi hai preso contropiede, non me lo aspettavo. Avevo sempre pensato che fosse qualcosa di tuo. Tu, tua moglie, il tuo amico... c’erano cose un po’ di tutti... riflessioni che... e pensavo che eri tu che parlavi al tuo lato distruttivo, alla droga, all’autolesionismo, alla follia... - Jacoby alza una spalla con aria colpevole.
- Ho voluto che lo pensassero, ho voluto che fosse così. In un lato è così. Però quando scrivevo io pensavo a te, a quante volte ci hai provato, quando non mi dicevi quello che provavi ma io lo sapevo cos’era. E quando poi me lo dicevi, quando hai strappato il tuo cuore per aprirlo a me, il tuo enorme cuore d’oro. Quante volte mi hai salvato. E continuerai sempre a farlo. Ci ho pensato ora per questo. Sei qua a dirmi che non mollerai mai, quando ad un certo punto eri tu, in passato, a non farcela. Quando ho scritto Scars ho pensato d’aver passato un segno e che tu non ce la facessi più, ho pensato volessi mandarmi via. - Una lacrima traditrice scende, scuoto la testa non riuscendo a parlare. La gola è un nodo, lo stomaco sembra passato sotto un tritacarne. A momenti non respiro.
Mi mordo il labbro e cerco di smettere di piangere.
Sono bravo a tenere, ma se esprimo emozioni è sempre e solo per colpa sua. Il potere che ha su di me non se ne rende nemmeno conto. Come faccio semplicemente a mollare, con lui? Non potrei mai.
Lui sorride, mi mette una mano sulla guancia, mi asciuga le lacrime e poi mi tocca il petto.
- Hai un cuore enorme, voglio che lo ricordi sempre. Ed io lo amo questo cuore, perché piano piano, con calma e pazienza mi sta salvando la vita. -
Ed in un attimo, Scars diventa la nostra canzone. Quella che sul palco inizieremo sempre uno davanti all’altro, io partendo con la nota iniziale, lui con il primo verso. Ogni tanto mi indicherà col dito il cuore, ogni tanto mi toccherà il petto all’altezza del cuore, ogni tanto non farà niente. Ma sempre ci daremo il pugno contro il pugno prima di proseguire oltre il secondo verso e poi via per il palco col resto della canzone.
Sapere solo dopo anni ed anni che Scars era per me mi dà conferma del fatto che sembra un chiacchierone, ma è chiuso come uno stronzo. Però piano piano uno ad uno i mattoni stanno venendo via. Piano piano.
Ogni volta che ne viene via uno, capisco che vale la pena continuare.
Non mollerò ancora.
Stiamo su fino all’alba a parlare, poi ci addormentiamo sul divano uno piegato sull’altro e tutti scomposti. Non era questa l’idea chiaramente, ma succede e quando i ragazzi arrivano per registrare al mattino presto, ci trovano così.
Io sono scivolato sul comodo torace di Jacoby ed il suo braccio mi è finito intorno alle spalle.
Si mettono tutti a ridere e ci fanno una foto che mi preoccupo di requisire più tardi, Jacoby ha l’aria arruffata di chi non capisce nulla, ma sorride e accetta il caffè che gli fa James.
- Quindi quando vi siete messi insieme? - Chiede scherzando Tony. Io lo guardo male.
- Ci siamo addormentati parlando fino a tardi... -
- Abbracciati. - Sottolinea divertito. Io appena sveglio non ho le forze di mettere a posto nessuno, Tony è felice perché oggi dovremmo finire l’album e Tobin ridacchia non aiutandomi.
Alla fine Jacoby che ha il risveglio peggiore del mio e tende ad uccidere, mi prende il viso fra le mani e mi dà un grosso bacio sulla guancia.
- Ci sposiamo domani a Las Vegas. Siete invitati! - Lascia tutti spiazzati, me per primo, poi si alza e va al bagno a fare la pipì più lunga del mondo.
Questo mi fa ricordare che devo pisciare anche io, così mi alzo e gli vado dietro, aspetto fuori dalla porta che finisca e quando esce si è sciacquato il viso stropicciato e con delle belle occhiaie. Si ferma davanti a me proprio sull’uscio della porta, ci guardiamo con gli occhi ridenti e complici, ci facciamo l’occhiolino e basta, non diciamo nulla.
Poi io entro e lui esce.
Spero solo che le cose non si rovinino più.
Detto ed evocato.
Forse quello che ha detto che se c’è una cosa che può andare male, andrà male di sicuro.
Finiamo di registrare l’album che viene molto bene, lo chiamiamo The connection. Va tutto alla grande, non ci lamentiamo. James ha dato un eccezionale contributo, bisogna dire la verità. Come ‘amico’ mi riservo, però come professionista e produttore è eccezionale.
Appena finiamo con l’album lo mandiamo all’etichetta affinché si proceda con le altre parti tecniche, nel mentre si inizia a stabilire qualche data promozionale, iniziano i primi concerti nel nostro territorio e ci concediamo un po’ di tempo per noi.
Per Jacpby è più difficile, perché non ha una casa dove tornare, così va dai suoi e lì so che parla molto con la madre, cosa che gli può fare solo bene. Di cose ne sono successe, non le ha condivise con nessuno, tipico suo.
Non sto a chiedergli tutto, ho bisogno di staccare anche io sebbene sono in ansia. Proprio perché sono in ansia dobbiamo staccare.
So che sta lavorando su come recuperare coi figli, perché non vuole trasformarli in due futuri Jacoby, depressi, arrabbiati e alcolizzati.
Però non sa come rimediare e immagino che sua madre gli dirà di lavorare come prima cosa sul suo, di padre, per capire come arrivare ai suoi figli.
Questo è quello che direi io.
Insomma, le cose vanno all’incirca come si immaginava, io gli lascio gli spazi che gli servono e non gli faccio pressione consapevoli che prima o poi io e lui torneremo insieme.
Siamo all’alba di una serie di date per iniziare piano piano a promuovere il nuovo album, quando sarà uscito cominceremo anche col tour, ci sono già date ed annunci. Sarà il solito lungo tour massacrante, ma penso che questo sarà bello, diverso. Sembra davvero un altro Jacoby.
Facciamo la prima data, Jacoby è molto eccitato, iniziamo presentando il primo singolo, Still swinging, la folla risponde molto bene, siamo ad agosto e fa molto caldo, è una data isolata, il giorno dopo si vola ad un rock festival che durerà settimane, ci sono moltissimi gruppi, noi abbiamo diverse date al loro interno così decidiamo per delle scalette varie.
Il problema si pone con Jacoby che dopo il primo concerto inizia ad avere mal di gola, ma il giorno dopo torna ad esibirsi comunque, sebbene non splenda a parte il sole caldissimo.
Il calo di voce che ha è pauroso.
Nell’arco di questi mesi di lavorazione gli veniva ogni tanto, stressando troppo la voce aveva mal di gola e cali, così semplicemente in quei momenti si lavorava su altro o ci si prendeva delle piccole pause.
Ultimamente capitava sempre più spesso, gli dicevamo di farsi vedere ma lui diceva che era normale. Ma quanto normale poteva essere?
Quando arriva al secondo giorno quasi afono e canta lo stesso, non so nemmeno come faccia.
Gliel’ho visto fare altre volte, ma onestamente lo trovo incredibile.
La concentrazione e l’adrenalina fanno miracoli, anche se so che è possibile, vederglielo fare è tutta un’altra cosa.
Quando arriva alla fine del concerto che non parla più, lì iniziano i problemi. Quelli veri.
Chi ci accompagna e ci assiste ed è diciamo una sorta di nostro portavoce e responsabile, arriva con un medico. Visto che Maometto non va dalla montagna...
Appena gli guarda la gola e gli tocca il collo, il suo viso cambia subito. Jacoby mima di dargli qualcosa che non contenga droghe, visto che il mimo è quasi incomprensibile mi guarda ed io traduco per lui. Ma il medico scuote la testa e serio gli ordina una visita in ospedale immediata ed urgente. Questo lo fa impallidire.
- Da quanto non si fa vedere le corde vocali? - Jcoby si aggrotta ed io parlo al suo posto perché proprio non ha voce .
- Troppo. - Rispondo seccato al suo posto. Il dottore lo punta e scuote la testa.
- Mi dispiace, non mi piace quel che ho visto e sentito. Ha bisogno di una visita seria, bisogna vedere con un sondino. - Jacoby sbianca ulteriormente, si agita ed io gli metto la mano sul braccio per calmarlo.
- Verremo domani, è possibile? - Il dottore annuisce.
- Se dice chi è, glielo faranno subito. Avverto subito il mio ambulatorio. -
Questo dà l’inizio a qualcos’altro. Qualcosa che non saprei interpretare, onestamente. Qualcosa che però lascerà il segno. A me di sicuro.