*Ancora in ospedale in attesa di poter parlare, Jerry fa fare a Jacoby terapia, ma non di coppia come dovrà fare con Kelly per poter convincere Makaile a perdonarlo, bensì per sé stesso. C'è un mostro bello grande ancora da affrontare, chissà se un giorno ci riuscirà. Jerry intanto è sempre lì con lui e con pazienza infinita non molla mai. Buona lettura. Baci Akane*
85. RINASCITA LENTA E COSTANTE
"Sei solo spezzato come me
Zitto perchè posso vedere attraverso le bugie
Siamo solo più stanchi dei segreti che nascondiamo
I disastri sono i nostri maestri mentre stiamo qua bruciando nel letto
Ma qualcosa mi dice che non posso arrendermi con te ancora
Non mi arrenderò con te oggi
Perdonerò e dimenticherò perchè so che mi libererà
Ma tutto quello che rimane è il vuoto dentro di me"
Ogni giorno Jacoby scrive lettere, me le manda tutte per mail, sono i suoi sproloqui, tutte le parole che gli girano per la testa, le sue paure, i suoi terrori.
La paura principale arriva da Makaile, non riesce proprio a riavvicinarsi. Ha detto a sua madre che solo se lei lo perdonerà sul serio e completamente, solo se dimostreranno di essere davvero una coppia, un padre ed una madre veri, marito e moglie e non fingeranno più, solo allora lui prenderà in considerazione l’idea di riavvicinarsi a Jacoby.
Lui è spaventato da cosa significa.
Oltretutto Kelly sta prendendo seriamente la cosa, di conseguenza anche lui.
Vogliono trasferirsi un po’ più in là, tanto quando siamo in processo creativo e facciamo gli album ci rinchiudiamo negli studi per mesi e quindi il problema di fare su e giù non esiste. Poi ci sono i tour intervallati da qualche breve periodo fra quello americano e quello euroasiatico.
Il tempo che lui passa a casa, così come noi, è breve considerando tutto quello che passa fuori e lei vuole che sia un tempo speso unicamente per loro, che lui dia tutto per la famiglia, per lei. Che facciano vacanze insieme, passino tutto il tempo insieme.
Lo posso capire, dopotutto non ha torto. Solo che questo significa che quando è a casa, io non lo vedrò praticamente mai a meno che non ci mettiamo qualche evento od intervista. Insomma, non è che c’è solo il fare un album nuovo ed il tour, ci sono migliaia di cose nel mezzo nella nostra vita.
Lo incoraggio, lo possiamo fare.
Non gli nascondo di essere perplesso riguardo a questa richiesta di Makaile sull’essere una vera coppia.
‘Andremo in terapia da Jason. Ci sono diversi programmi e sistemi. Kelly è d’accordo e Mak penso inizi a prendere più seriamente la cosa’
Questa è una delle nostre conversazioni, io sospiro ed annuisco.
- Pensi di riuscire a rimettere insieme la famiglia? - Lui sorride e scrive.
‘Non si tratta di rimetterla insieme. Si tratta di metterla insieme per la prima volta. Non siamo mai stati una famiglia. Penserò a tutto quello che ho vissuto io e farò il contrario.’
Annuisco.
- Pensi di tornare a parlare con tuo padre? - Lui ridacchia.
‘Ora come ora non posso parlare!’ Io scuoto la testa e lo spingo.
- Sai cosa intendevo... - Lui ride e continua a scrivere divertito.
‘La mamma ha detto che sta meglio, perciò non avrà più bisogno di riconciliarsi con me!’
- Ma coi tuoi fratelli? - Jacoby si fa serio, cambia proprio aria.
‘Perdonato. Tutti e due.’ Rimango sorpreso.
- Perciò resti solo tu? - Annuisce con bocca dura e sguardo cupo.
Le sue tenebre sono lunghe.
- Non troverai pace finché non riuscirai a perdonarlo. -
‘Ma non posso sforzarmi di farlo solo perché così posso avere la mia pace!’
Scrive col pennarello e furioso sul quaderno. Annuisco e vado a chiudere la porta, il giro serale è già stato fatto e stavo per andare via quando mi ha chiesto di rimanere -coi gesti, ma io ormai lo capisco- e così visto che non ci saranno più visite, ho deciso di rimanere ancora.
Mentre ne parliamo, beh, io parlo, lui scrive, mi accomodo nel letto con lui, si fa in parte per farmi stare, lo circondo col braccio, poi prendo il portatile e lo metto sulle nostre gambe mettendogli davanti una pagina per scrivere a tastiera.
- Cosa ti serve per perdonarlo? - Che domande da un milione di dollari. Si gira e mi guarda così da vicino, corrugato. Non ci deve aver mai pensato. - Cosa vuoi per perdonarlo? Ti ha chiesto perdono, no? - Lui fa sì con la testa. Arriccia le labbra pensandoci in crisi.
Si volta verso il portatile ed inizia a scrivere.
‘Forse non voglio perdonarlo. Non c’è niente che lui può dire.’
- E pensi che Makaile dovrebbe perdonarti invece? -
Così lui parte a pigiare subito infervorato i tasti.
‘Non è la stessa cosa, io non gli ho mai torto un capello! Magari gridavo e facevo sceneggiate, ma non c’è stato alcun terrore, non l’ho mai toccato! Non sono stato fisicamente violento con nessuno! Ho tentato il suicidio ben lontano da loro! Mi ubriacavo in casa, ok. E le scene a cui assisteva non erano belle, lo ammetto. Ed ero assente per lavoro. ok. Ma non ci sono paragoni. Io capisco che sia segnato, ma non è uguale a quello che ho vissuto io a casa mia!’
Non che si sbilanci troppo, ma sempre più ogni volta.
Alzo le spalle e gli carezzo l’orecchio con le dita che gli circondano le spalle, piano piano lo sento che si rilassa e sospira seccato.
‘Voglio parlare e gridare! Ogni volta che ci penso! Non so cosa cazzo voglio da lui, cosa dovrebbe dire per andare oltre. Io non lo so, cazzo!’
Ancora fermo, gli bacio la tempia.
‘Nessuno dovrebbe ingoiare quello che ho ingoiato io...’
Non si è mai vittimizzato, infatti non ha mai detto nulla di particolare su di sé. Però questo non è un vittimizzarsi. lo guardo mentre sta con le dita sospese sui tasti neri retroilluminati. Si morde le labbra ed ha la fronte aggrottata, gli occhi cupi, bui.
Non lo forzo, dopo un po’ torna a scrivere.
‘Per me vederlo significa tornare indietro a quegli anni terribili, quando gli insetti mi camminavano in faccia di notte e mi svegliavo gridando. Mi sono svegliato gridando per un sacco di anni, dopo. Cancellare è il solo modo per stare meglio e se lo rivedo io... io torno a vivere il periodo peggiore della mia vita. Quell’uomo mi ha fatto impazzire ed io sono diventato come lui!’
Così gli prendo una delle mani per fermarlo, perché poi sarebbe tornato a dire che si odia e si odierà per sempre. Così gli prendo la mano e lo blocco, poi calmo e paziente parlo dolcemente.
- Tu ti sei fermato e stai facendo di tutto per rimediare, vuoi farlo, farai ogni cosa è in tuo potere. Lui non l’ha mai voluto, ha spinto tua madre a scappare per salvarvi. La differenza fra voi è che tu ti sei fermato in tempo e non aspetterai trent’anni o più per far pace con la tua famiglia. -
Questo punto di vista lo sconvolge, mi guarda meravigliato, gli occhi lucidi meno cupi, finalmente le nuvole si diradano e sotto torna il suo meraviglioso azzurro. Quanto è difficile farlo venire fuori.
Non gli lascio la mano, ma mi guarda di nuovo, un soffio uno dall’altro, gli asciugo la lacrima che scende dalla guancia con la mano che prima gli toccava l’orecchio, poi gli bacio la punta del suo naso all’insù. Jacoby si rasserena del tutto.
- Vedrai che troverai la chiave giusta ed un giorno semplicemente avrai la pace che ti serve per affrontarlo e metterlo via, metterlo via sul serio. -
Non credo sia ancora ora di dirgli che i suoi problemi per così dire mentali, quando sente i ronzii derivanti dai momenti sotto pressione, nascono perché lui voleva perdonare e voler bene a suo padre mentre invece lo odiava con tutto sé stesso. Questo scompenso unito ad altre cose l’ha portato ad avere una spaccatura che piano piano è uscita sempre più fino a non poterla ignorare.
Un giorno glielo dirò.
Jacoby appoggia la guancia sulla mia spalla e con la destra, l’unica libera visto che gli tengo la sinistra, scrive la parola foto. Così capisco che vuole vedere le mie foto.
Così dalla tasca tiro fuori la chiavetta che mi ero portato con tutte le mie foto suddivise per categoria, e gliele mostro.
Prima comincio con quelle sulle cose, poi sul paesaggio e gli animali, sono foto di vario genere. Molte sono in bianco e nero, trovo che tiri fuori l’essenza delle cose.
Lui guarda tutto con attenzione, ogni tanto controllo che non dorma, le mani allacciate.
Sto cambiando cartella quando lui indica quella col suo nome. Ridacchio.
- Sono foto tue, per la maggior parte rubate. Da quando mi hai regalato la macchina. - Sorride e indica ancora di mostrargliele. È da tanto che non le vede, da quella volta se ne sono aggiunte molte, di tutti i tipi, ma in ognuna c’è la sua splendida essenza.
In qualcuna fa l’idiota perché sapeva di essere fotografato, in altri ho scattato prima che potesse fare lo scemo ed è sorpreso. In altre proprio non se ne è mai accorto. In alcune dormiva. Alcune sono con la luce naturale ed i colori, altre sono filtrate in bianco e nero.
Sono tutte particolari. Lo guardo mentre lui le guarda, ma da qui siamo troppo vicini, la guancia sulla mia spalla non mi permette di vederlo bene, per stringere la mano.
Cosa ci vuole per ammettere di essere una coppia? Non lo siamo già?
Dovrebbe essere qua a farsi coccolare da sua moglie perché ha paura di domani, invece è qua con me. Qual è la vera coppia?
Non dice niente e quando finiscono sto fermo, indeciso.
Forse è uno di quei momenti di ricordargli cosa voglio io, sono qua e aspetto, ma dovrebbe saperlo che non ho smesso di crederci e di volerlo.
Gli prendo il mento con due dita e gli giro il viso verso di me, sollevandoglielo dalla postazione comoda e sicura che si era preso. Mi guarda coi suoi grandi occhi lucidi e commossi e sorrido.
- Io riesco a vedere tutto di te, anche quello che hai paura a mostrarmi perché pensi che mi farebbe scappare. - Ha l’istinto di ribattere, ma gli metto un dito sulla bocca. Non può parlare. E non voglio lo faccia. - Non importa cosa sia, niente mi farà mai scappare da te. Io ti vedo così, come in queste foto. E sono perdutamente innamorato. - Gli metto una mano sulla guancia e l’accarezzo caldo avvicinando il viso al suo ancora di più, sulle sue labbra che si sfiorano, mormoro ancora. - Vedrai che andrà tutto bene. Domani ed ogni giorno da qui in poi. -
Schiudo le labbra e lo invito ad intrecciare le sue alle mie, ipnotizzato dal mio tono basso e dal mio sguardo sottile e morbido lui lo fa.
Infila le sue fra le mie, aprendole. Poi ci abbandoniamo chiudendo gli occhi.
Credo che tramite le mie foto si senta completamente amato.
Ed io mi sento amato quando nonostante il purgatorio che sta passando riesce a sentirsi come in paradiso solo fra le mie braccia. Mie soltanto.
Le lingue si trovano dopo che uniamo meglio le bocche e le apriamo, ci intrecciamo e diamo vita ad un bacio che vorrei durasse per sempre.
E noi qua, il computer sulle gambe, i corpi nella stessa posizione comoda sul letto di un ospedale, seduti attaccati uno all’altro, una mano sulla sua guancia, l’altra a tenergli la sua, le dita che si intrecciano come le nostre lingue e quest’emozione che ci brucia e ci scalda.
Nonostante tutti i problemi e le imperfezioni, essere felici lo stesso solo perché c’è un momento insieme e quel momento è meraviglioso.
L’eccitazione sale, ma mi fermo prima di chiudere il computer e metterlo via per potergli salire sopra e farlo mio. Va bene che abbiamo chiuso la porta e bussano prima di entrare perché sanno chi c’è qua dentro, ma non si può certo esagerare.
E poi voglio che sia lui questa volta. Voglio dire, è sempre stato lui a farlo per primo, ma siccome mi ha chiesto questa pausa voglio aspettare che sia lui a decidersi ad interromperla. Un conto sono dei pompini e dei baci, un altro è tutto il pacchetto completo.
Così mi separo dalla sua bocca morbida che adoro visceralmente, lo guardo malizioso e poi mormoro:
- Non vedo l’ora di sentire ancora la tua splendida voce, mi manca un sacco. Penso che avrò un orgasmo appena la sentirò! - non che così l’aiuti a rimanere entro le sue sane intenzioni di attesa.
So che stare chiuso qua dentro senza parlare è un inferno e so che non posso considerarlo effettivamente lucido. So anche che ha ragione ad aspettare di stare meglio, di essere uscito dal tunnel prima di decidere cosa fare fra noi. Però un incentivo ogni tanto...
I suoi occhi si accendono di malizia e sta per insultarmi, ma gli tappo la bocca con la mia ridendo.
- Non puoi ancora parlare! - Ma lui sta per farlo così lo bacio ancora divertito. - Sì, per poco, ma per ora ancora niente! - Perché tanto non serve che parli, so interpretarlo alla perfezione.
Però ride in silenzio e si illumina con questi occhi carichi di speranza e di una calma un po' forzata.
La rinascita è lenta ma costante, sono sicuro che sarà la volta buona.
Si è addormentato su di me, l’ho abbracciato e lui si è steso accoccolato sopra. Tengo d’occhio l’ora ma non dormo. Rimango sveglio preoccupato per quel che potrebbe essere davvero domani. Se non dovesse essere come doveva, come era progettato. Se fosse invece andato tutto male.
Come lo terrò di qua? Come lo raccoglierò?
Dopo venti anni di conoscenza e studio ho capito molte cose di lui, tante che non ha voluto dirmi, come questa spaccatura interiore che ha fra ciò che ama e ciò che odia, che spesso corrisponde e lo manda fuori di testa.
Inizialmente io ero fonte di stress e sentiva i ronzii, il rumore della pressione. Andava fuori di testa.
Poi ho capito che era perché non avremmo dovuto, perché mi opponevo, perché non ero convinto e a mio agio.
Quando ho accettato tutto, quando ho iniziato a volerlo consapevolmente, ad essere io a cercarlo e ad essere a mio agio nonostante tutto, i ronzii in mia presenza sono spariti e sono diventato un’oasi e non una fonte di stress.
È lì che ho capito.
Quando accetta i suoi mostri, lì li abbatte. Non quando tenta di esorcizzarli. Potrebbe anche non riuscirci mai. Deve semplicemente accettare le cose, viverle per quello che sono.
Deve odiare suo padre, ma in realtà vuole disperatamente amarlo e perdonarlo. Vuole disperatamente suo padre e si odia per questo.
Il fattore chiave è questo. Appena risolverà questo, tutti i suoi problemi ‘di testa’, con la pressione e lo stress svaniranno lentamente, come è successo con me. E quando non ci saranno più quelli, avrà la pace per affrontare tutto, qualunque altra cosa abbia mai fatto che l’ha demolito dai diciassette anni in poi.
Non dimentico che ha sottolineato che beve da quando aveva 17 anni. Un’età specifica. Non dice ‘bevo da una vita’. Bevo da 17 anni. C’è qualcosa dietro. Non mi sfugge.
Ma ci sarò, ci può scommettere.