*Dopo una vita passata a combattere contro tutto e tutti a causa di un demone in particolare, ecco che quel demone torna nella vita di Jacoby. Quel demone è suo padre e questa volta è stato lui a cercarlo. Il loro incontro potrebbe dargli il colpo di grazia definitivo oppure dargli esattamente ciò che gli serviva per rinascere definitivamente. Quale esito avrà il loro incontro è tutto da vedersi. Sarà ancora una volta Jerry ad assistere a quel modo incredibile di vivere le emozioni di Jacoby, qualcosa che non si è mai visto in nessuno. Buona lettura. Baci Akane*
94. LA GUERRA È FINITA
"La mia testa è nel gioco, sono in missione
Ma ogni giorno è uguale, una demolizione
Siamo gli emarginati, ma non le vittime
Combattiamo nella lotta delle nostre vite,
per farti ascoltare
Mi hai fatto perdere il fiato
è stata una lunga corsa
Faccio fatica a tentare di dimenticare,
ma conosco il risultato
Ho mille rimpianti
e adesso sono in una di quelle
Potrei aver perso la testa
prima che la canzone finisca
Ero sospeso da un filo
Con i piedi sopra il limite
Ho le spalle contro il muro
Finirà mai questo incubo?
Mi romperò prima di curarmi?
Se scivolo e perdo tutto,
niente potrà interrompere la caduta
Devo mettere la testa a posto,
la mia testa a posto"
Entrare nella sua camera è come entrare in un antro oscuro, è un’esperienza mistica. Tremo dentro di me perché è un’esplosione di emozioni che mi sconvolge. Vorrei prendere la mia chitarra e suonare, ma non posso proprio ora.
Precedo il signor Shaddix che mi segue silenzioso e ciondolante, Jacoby è seduto dove l’ho lasciato, fissa un punto nel pavimento, mi faccio da parte silenzioso ed indico al padre di andare a sedersi lì. Lui sospira e lentamente va.
Mi sento un intruso, però credo di capire il senso della mia presenza. Sono un calmante naturale per Jacoby. Probabilmente non dovrò fare nulla, a lui basterà.
Mi metto le mani in tasca e mi appoggio allo stipite della porta che chiudo piano.
Il signor Shaddix si siede lentamente in punta sul letto davanti al figlio, sembra un condannato a morte che chiede perdono alla vittima martoriata perché sta andando sulla sedia elettrica.
Jacoby è girato a tre quarti, il suo volto rivolto verso il basso, assorto, rigido. Da qui ha una luce splendida ed un’espressione d’altri tempi. Vorrei poterlo fotografare od essere capace di disegnare.
Il padre solleva piano gli occhi sul figlio e sta zitto.
No, sei qua per parlare, sei qua per parlare tu. Non puoi pretendere che tuo figlio faccia tutto da solo. Già il farti parlare è qualcosa di incredibile.
Approfitta ed usa bene quest’unica occasione.
L’uomo pare sentire il mio pensiero, si schiarisce la voce imbarazzato, credo sia molto difficile ma alla fine inizia a parlare.
- Ho passato gli anni ad immaginare cosa ti avrei detto se avessi avuto quest’occasione, ma ora la mia testa è vuota. - Comincia roco e basso, ha una voce abbastanza simile alla sua, solo più rauca e rovinata.
Jacoby fissa per terra, la linea della bocca è dura, credo sia concentrato sulle sue paure, le sue voci, i suoi suoni e sulle lacrime, quelle che non vuole tirare fuori.
- Avevo paura dopo che sono guarito di essere rifiutato. Ero convinto non mi avresti mai potuto rivedere e perdonare. E pensavo di non meritarlo. Son sempre stato convinto che stavi meglio senza di me, che vi siete salvati senza di me. Perché vi ho distrutto e non potevo tornare egoisticamente nelle vostre vite. Però quando sono stato per morire ho capito. - Silenzio. Ancora alcun cenno di Jacoby, lui però continua e parla questa volta fissandogli le mani che si tengono sul bordo del letto, le nocche bianche. Il respiro piano e profondo. Concentratissimo.
- Era comodo morire senza chiedere perdono. - Fa una pausa, guarda fuori dalla finestra davanti a loro, poi ricomincia. - Non penso possiate perdonarmi né che sia giusto. E non c’è niente che possa fare per redimermi. Non ho giustificazioni per quel che ho fatto se non che ero malato, la mia testa era marcia, non ero in me. Non era colpa vostra, ma è così che è andata. Poi tu sei venuto, mi hai gridato di tutto come era giusto che fosse. Per la prima volta hai tirato fuori la tua voce con me, mi hai insultato come non hai mai osato fare, hai spezzato il tuo silenzio di anni ed anni, forse di una vita. E te ne sei andato. Ed ho capito ancora una volta. - Per essere uno che non sapeva più cosa dire, alla fine le parole fluiscono bene.
Sorrido piano. Vedo il signor Shaddix fare una pausa, poi sposta gli occhi su quelli del figlio che ancora non guarda e non si è mosso.
- Ma il punto non era se tu potevi perdonarmi o se era giusto che io ti chiedessi perdono. Il punto era che io non ho mai VOLUTO essere perdonato. Non lo meritavo e non VOLEVO il vostro perdono. Perché ero io a non potermi perdonare. Per questo non vi ho mai cercato quando sono guarito. Perché non potevo perdonarmi, quindi non era giusto che voi lo faceste. Quella pace era un premio che non meritavo, non era giusto. -
Ed ora, finalmente, solo ora, Jacoby solleva i suoi meravigliosi occhi azzurri, la forma ed il taglio identico a quelli di suo padre. Da qui uno davanti all’altro li vedo e rabbrividisco.
Senza parole, completamente senza parole.
- Ed ora perché pensi di meritarlo? - La sua voce è bassissima e quasi inudibile, come se le sue corde si fossero atrofizzate e solo lui sa il disastro che ha ora in testa nella sua guerra interiore.
Smetti di lottare Jacoby, vedrai che la guerra cesserà.
Il momento si cristallizza, i due si guardano a poca distanza, uno davanti all’altro, uno alto e magro, l’altro più massiccio ma comunque abbastanza in forma.
- Non penso di meritarlo, ma voglio essere perdonato lo stesso. -
- Perché? - Chiede insistente e duro.
- Penso che sia più sbagliato scappare dai propri doveri e dalle proprie responsabilità nascondendosi dietro il ‘non posso perdonarmi nemmeno io, è inutile che lo chieda’. Il minimo che posso fare, in realtà, è affrontare me stesso, le mie paure, i miei orrori, ogni mio maledetto sbaglio, guardarlo in faccia, ammetterlo fino all’ultimo e chiedere perdono. Non perché mi aspetto di esserlo alla fine. Ma perché chi sbaglia DEVE fare ammenda, DEVE assumersi le proprie responsabilità. DEVE fare ciò che è giusto. Ho sbagliato, vi ho ferito e distrutto e non ho giustificazioni se non la mia malattia mentale e poi non vi ho cercato perché ero convinto fosse meglio per voi, ma perché scappavo dalle mie responsabilità. È mio dovere chiederti perdono perché ti ho ferito. Ma non voglio che mi perdoni. Voglio solo che tu riesca a mettermi via ed andare oltre. Sono il tuo peso, il peso che ti impedisce di volare ed essere felice e nella pace. - Solo ora mi rendo conto che non ho respirato. Le sue parole sono come tanti pugni allo stomaco perché si riflettono in Jacoby ed in quello che lui dovrebbe fare per risalire del tutto. Il primo passo era pulirsi e trovare un punto fermo dentro di sé per rimanere concentrato e non ricadere, però il passo successivo è questo che gli sta mostrando lui, però Jacoby non può aspettare una vita per farlo.
Affrontare le proprie paure ed i propri errori, prendersi le proprie responsabilità, chiedere perdono perché è giusto che chi ferisce si scusi, e poi risalire. Risorgere.
Jacoby non respira, rimane pietrificato, stringe convulso le labbra e non ho la minima idea di che cosa si stia verificando ora nella sua testa, darei oro per saperlo perché spero non si stia spezzando.
Però penso che di meglio suo padre non potesse fare e finalmente ha fatto una cosa giusta.
- Non sono mai venuto a cercarti e pretendevo che tu venissi da me per potermi scusare. Ma finalmente ho capito che dovevo essere io a venire da te. Perdonami se ci ho messo tanto. -
Jacoby ancora quasi non respira e rimane come una statua immobile, rigido, stringe le mani nel bordo del letto, lo fissa negli occhi e fa violenza su sé stesso. C’è ancora qualcosa che gli impedisce di piangere e di arrendersi. Sta ancora lottando.
Devi arrenderti Jacoby, meriti la tua pace.
Poi suo padre sembra capirlo, sembra leggerglielo in quello sguardo pieno di una moltitudine infinita di emozioni.
- Sei diventato una persona meravigliosa, hai realizzato i tuoi sogni, hai fatto dei figli bellissimi che un giorno saranno orgogliosi di avere te come padre. Ho sempre voluto potertelo dire. Sono fiero di te, Jacoby. - Ed ecco che i margini si rompono, il fiume straripa e non è come un ruscello, è come il Rio delle Amazzoni che investe tutta l’intera nazione. È di questa portata la bomba delle sue emozioni.
Jacoby si aggrappa al suo collo, lo circonda con le braccia, nascono il viso e piange. Piange tantissimo come penso non abbia mai fatto e di pianti ne ha fatti.
Piange rumorosamente, tanto, non riesce a farlo in silenzio. Grida mentre piange e lo insulta. Piange in un modo che mi sconvolge e mi ritrovo a piangere anche io per l’onda d’urto delle sue emozioni.
Di quanto è potente quel che prova ora.
L’amore che ha soffocato dentro di sé per l’uomo più odiato nella sua vita è finalmente uscito.
Quanto è assurdo amare chi dovresti odiare e basta?
Forse è normale, perché in realtà tutti vorremmo poter amare nostro padre, tutti vogliamo poterlo fare e quando finalmente puoi farlo quello che provi non ha prezzo.
Le persone sbagliano e fanno delle guerre esterne ed interne che lasciano morte e distruzione, c’è chi non si riprende mai, c’è chi ce la fa.
Non c’è un modo per calpestare la via giusta, ci sono solo tentativi, quelli che vanno bene e quelli che vanno male.
Alzo le mani davanti a me che tremano come foglie, sorrido, mi asciugo le lacrime ed esco silenzioso.
Potrei dimenticare molte cose, molte potranno sbiadirsi e senza la mia macchina fotografica ad immortalare certe cose sarà un peccato.
Ma questo è un altro di quei momenti che non dimenticherò mai.
Il momento in cui Jacoby mi ha mostrato come si vivono le emozioni, quanto forti possono essere.
Quanto è enorme e spettacolare la sua anima prorompente.
Non credo vedrò mai un’anima con più emozioni di lui. Mai.
È un onore averlo incontrato, conosciuto, aver visto lati e saputo cose di lui che altri non hanno visto.
Sei una persona meravigliosa Jacoby.
La guerra finalmente è finita. Alzo gli occhi al cielo.
Finirà per convertirmi, quello scemo di là che frigna come un bambino. Perché se non è un miracolo questo non so cos’altro può esserlo.
Dopo è stata una questione di famiglia, una meravigliosa questione di famiglia al termine della quale Jacoby aveva gli occhi così gonfi, rossi e piccoli che sembrava fatto di venticinque cannoni in una volta.
Quando ci avviamo verso il concerto siamo al limite massimo di tempo a disposizione, ci siamo preparati prima in modo che adesso dobbiamo fare riscaldamento e basta, ma Jacoby è ancora disfatto.
Si è cambiato in fretta e lavato il viso, non so nemmeno se ha voce dopo tutto quel che ha pianto.
Siamo seduti vicini io e lui, come sempre, mentre Tony e Tobin, silenziosi, dietro. Come se capissero tutti la solennità di questo momento. In questo giorno è successo qualcosa di importantissimo per la band, perché è il giorno in cui è morto definitivamente il vecchio Jacoby per lasciare spazio ad un altro, uno nuovo, nuovo per davvero.
Nessuno sa cosa si deve dire, cosa si può dire. Così nessuno dice nulla.
La macchina ci porta verso il luogo del concerto e lui ha il cappuccio tirato su e gli occhiali scuri da sole e guarda fuori tirando ancora su col naso.
- Saranno là nel backstage? - Chiedo piano e discreto. Lui annuisce.
- Gli ho dato dei pass. - Annuisco anche io.
- Come ti senti? Pensi di riuscire a salire sul palco? - Lui alza le spalle.
- Ora come ora non so nemmeno come mi chiamo! - Scherza su con un mezzo sorriso ed io gli metto la mano sul ginocchio rilassato e calmo.
- Adesso trattieni ancora per un’oretta tutto quello che hai appena vissuto, tienitelo stretto e poi buttalo fuori sul palco sotto le urla di Last Resort, Scars e tutte le altre canzoni. - Sorride sorpreso e perso ed annuisce, piano piano sta tornando.
- Ragazzi quello che ho appena vissuto è incredibile. Davvero fottutamente incredibile. - Finalmente si rivolge a tutti e decide di parlare e non tenersi tutto dentro. Sebbene dopo quell’esplosione avevo paura che il problema fosse non avere più le forze per fare un’esibizione carica di energia. - Mai avrei pensato di rivederli tutti e tre lì e di scambiarci queste fottute scuse a vicenda! Io sono sparito dalle vite dei miei fratelli, ci vedevamo nei momenti comandati, ma eravamo come tre estranei e pensate che da piccoli eravamo uniti da morire, ci proteggevamo a vicenda! E poi lui... cazzo... io l’avevo seppellito, ero convinto di non poter... non so... mi ero immaginato ad andare da lui, un giorno, e archiviarlo in qualche modo. Tipo ‘fanculo stronzo, mi hai ucciso, ma voglio andare oltre e smettere di distruggermi per questo! Cazzo, non è colpa mia se non potevi amarmi!’ Ed invece è venuto lui! Non avrei MAI pensato che venisse lui dall’atra parte del mondo per chiedermi scusa e dirmi... ma lo sapete cosa si prova quando l’uomo che vi ha odiati per i primi anni della vostra vita, l’uomo che invece doveva amarvi, un giorno viene e vi dice che è fiero di chi sei diventato? Io non... non ci avevo mai pensato e non volevo che me lo dicesse, ma quando me l’ha detto... Cristo Santo, non ho capito più un cazzo, un cazzo! - Sorridiamo colpiti, tutti bene o male abbiamo gli occhi lucidi mentre lui si confida ed io mi sento così leggero mentre si confida con tutti, da quando ha tentato il suicidio lo fa più spesso, sono contento che viva questo rapporto nel modo giusto.
Jacoby parla a ruota libera di questo, noi interagiamo un po’ come ci sentiamo, è un bel momento, un momento strano, ma è tutta la giornata che lo è. Noi ci limitiamo ad adattarci. Quel che conta è che non cammini indietro ma in avanti, e ci pare proprio che stia andando nella direzione giusta.
Lo guardo e vedo una statua di cristallo come sempre, ma se prima erano tantissime le crepe, ora sono sempre meno. Il cristallo sta diventando infrangibile, ci sta arrivando. Ci arriverà.