*Jacoby non sta bene e Jerry ovviamente se ne accorge subito, nonostante lui cerchi di nasconderlo. Ma a Jerry è impossibile nascondere qualcosa se riguarda Jacoby. Per fortuna è una semplice infulenza (che ha avuto realmente durante il tour) e Jerry si prenderà ancora una volta cura di lui, ma questa volta è diverso. La loro relazione è ormai ad un altro livello, dove non era mai arrivata prima d'ora. Buona lettura. Baci Akane* 

98. POCO A POCO

jacoby jerry

"É come se i sogni americani prendessero fuoco
Stiamo abbattendo le recinzioni bianche
Un soldato sanguina e un altro muore
Hai mai pensato che
la guerra fosse una malattia?
Io sono suo figlio, quello incasinato,
La coincidenza della mia famiglia ne è la prova
Osiamo sognare o vivere per morire
Riuniti dalla verità al momento giusto
Qualcosa non quadra qui
O così sembra
Perché non riesco a dormire
I sogni americani,
Menzogne americane
Tentiamo di vedere attraverso
il fumo nei nostri occhi
Allora dimmi la verità
Non raccontarmi le tue menzogne
Perché fatico a respirare
Quando vieni sepolto vivo
Dai sogni americani"

AMERICAN DREAMS


Questa volta niente giro per la città, ce ne stiamo tranquilli in albergo, ognuno per i fatti propri. 
Le giornate delle famiglie sono già state, Jacoby ha già avuto il suo umore nero quando ha visto Jessica, per fortuna per lui c’era Jagger. 
Di tanto in tanto si unisce a noi qualche amico o familiare, ma non è una cosa davvero frequente perché i nostri tour sono molto dinamici ed allora diciamo che tendenzialmente scelgono magari delle tappe dove ci possiamo fermare almeno 2 o 3 giorni, altrimenti è stressante per loro venirci a trovare. 
Ma fosse pure solo per un paio di ore, quando Jacoby vede Jessica diventa un orco e riesce a litigare con tutti, è intrattabile e si mette a spaccare in mille pezzettini tutto quello che ha sotto mano. 
Ribadisco, fortuna che lui ha il figlio. Makaile non gli piace venire in giro per il tour ma ogni tanto si unisce anche lui. Kelly è incinta e quest’anno si è vista poco per mia fortuna, perché non è che a me vada meglio.
Ma oggi è una di quelle giornate tranquille ed è strano vederlo così silenzioso e calmo, perché ormai era un bel periodo in cui non si fermava ed era iperattivo.
Oggi è qua nel divano a scrivere nel suo quaderno, silenzioso e chiuso. Io sono al computer e sistemo le foto, faccio un po’ di vita social, sebbene non sono un grande fan di quella roba. A volte la trovo divertente, più che altro è sicuramente utile se usata in una certa maniera. 
Lancio spesso delle occhiate a Jacoby per vedere se è ancora vivo, è strano non saperlo di avere. 
Che sia bipolare sul serio? 
Allungo il collo per controllare cosa fa e mi aggrotto. 
- Sai disegnare?! - Esclamo improvvisamente a tutta voce facendogli prendere un colpo. Jacoby salta nel posto e tende il braccio aprendo le mani, la matita gli parte per poi girarsi a fissarmi come se mi fossi mangiato il cervello. 
- Ma sei scemo, cazzo?! - Di solito sono io che glielo dico. Metto in parte il mio macbook e mi sposto vicino a lui nel divano per guardare nel suo quaderno che gli prendo senza che possa discutere. 
- Jacoby da quanto ci conosciamo? Tu disegni?! - Alza le spalle e fa un’aria vaga che dovrebbe sminuire la cosa. 
- Non lo faccio da una vita. Preferisco scrivere o fare... sai, tipo graffiti o cose così... - E poi fisso lui, sconvolto. 
- E te ne vergogni? - Sbuffa ed alza gli occhi al cielo sfilandosi via per andare a prendere qualcosa da bere nel mini bar della camera. Io guardo meglio il foglio dove stava disegnando con carta e penna.
Sembra un corpo, ma non c’è la testa. Un momento, è un uomo. 
Un momento! È un uomo a cavalcioni su un altro visto da davanti! 
- Jacoby, ma stavi disegnando me quando ti ho svegliato quel giorno? - Quando gli sono salito sopra e abbiamo finito per masturbarci insieme. 
Beve ed alza le spalle vergognandosene sempre di più. Non so cosa mi sconvolge di più, se lui imbarazzato od il fatto che dopo venti anni di conoscenza -cazzo sono venti sul serio quest’anno!- non sapevo che disegna!
- Ma sei davvero bravo! - Cioè manca il viso, ha iniziato dal basso per risalire su, credo che di solito si faccia il contrario, si inizia dalla testa e si scende. E poi le ombre che sta facendo sembrano a casaccio, ma credo abbiano un senso. 
Sembrano tratti rabbiosi buttati lì a caso, ma forse alla fine saranno fatti bene invece. 
- Non disegno da tanto di quel tempo... - Dice sminuendo la cosa. Io continuo a guardarlo ammirato. 
- Ma dai, sembra che lo fai spesso. Cioè hai un modo strano di farlo perché inizi dal basso e le ombre sembrano scarabocchi, ma credo che alla fine verrà bene, si capisce perché hai azzeccato i dettagli e le proporzioni... - Jacoby torna a sedersi e mi prende il quaderno riappropriandosi della penna, si sistema a gambe incrociate con la sua tuta larga e continua distratto, la testa piegata di lato. 
La penna riprende con le ombre e come avevo immaginato fa tutto in modo strano, sembrano degli errori, come se dovesse buttare via il disegno. 
Ma si capisce che sta venendo su bene invece. 
- Come mai non disegnavi da tanto ed ora ti ci sei messo così improvvisamente? - Alza le spalle e fa come se non fosse niente di speciale, così mi sistemo accanto a lui appoggiando il gomito allo schienale dietro di lui. L’occhio non si stacca dal disegno. 
Sono belle le sue mani che tracciano nel foglio. I suoi tatuaggi, i suoi anelli. sorrido. 
- Era mio padre che disegnava. È lui l’artista. L’ho preso da lui questo. E non è una cosa che mi piace. Cioè aver preso qualcosa da lui. Ma alla fine ho preso un sacco, da lui. L’auto distruggermi, per esempio. - Come lo potevo immaginare? 
Suo padre che disegna, lui che disegna e che quindi lo odia. 
- Se... se ti sei rimesso a farlo ora è perché hai fatto pace con quell’aspetto? - Chiedo piano. Di solito aspettavo che gli andasse di parlarmi di qualcosa, ma spesso finivo per aspettare una vita. Ora basta aspettare, voglio sapere una cosa, gliela chiedo. 
Alla fine mi risponde ed è piacevole perché non ha più paura di parlare delle cose. È questa la differenza, no? 
Jacoby ora ha fatto tutto, c’è solo la forma del viso che inizia a tracciare. Le ombre sono incredibili, guardandole ora non sembrano più scarabocchi buttati a caso. 
Che stile che ha. 
Sono ipnotizzato dal suo disegno, lo fa veloce, quasi casualmente, sembra non avere idea di cosa fa. Non hai nemmeno il tempo di pensare che ha già fatto e sembrano tutti errori visti di primo acchito. Poi comincia a perfezionare e a fare i dettagli ed è incredibile perché hanno motivo di esserci. Tutti quei segni, sono perfetti alla fine. 
È come lui il suo modo di disegnare. Sembra un casino vivente, poi invece è meraviglioso com’è. 
- Credo di volergli dare seriamente un’occasione, così non so... mi è semplicemente venuta voglia di disegnare e mi sono detto... e perché no, in fondo? Che senso ha non disegnare per tenere lontano il pensiero di lui? Dopotutto io bevevo come lui, quello mi è andato bene, no? - Parla a ruota libera e sono sempre felice di quando lo fa. Non lo interrompo, rimango assorbito sia dal suo disegno che dalla sua voce bassa e pacata che sussurra roca facendomi rabbrividire. 
- Ho sempre pensato che se dovessi rimettermi a disegnare, l’avrei fatto per ritrarti! Tu mi fai tutte quelle foto di continuo ed io penso spesso, quando ti vedo, che vorrei fartele anche io. Ci sono volte in cui sei... wow... - Sorrido dolcemente nella sua spontaneità. - Credo che il bisogno di ‘riprodurre’ in qualche modo qualcuno che ami sia per tenerlo il più possibile con te. Fargli foto, disegnarlo se ne sei capace. - 
- Anche io penso sia così. - Dico calmo. Jacoby finisce di disegnare e guarda piegando di lato la testa. 
Ha fatto tutto con la penna, niente matita e cancellature. Tutto con la penna. E non c’è un segno sbagliato. 
Impressionante. 
- Jacoby, è incredibile! - Lui fa un sorrisino soddisfatto, finalmente, ed annuisce. 
- Sì, devo dire che non si perde la mano col tempo... - Poi butta il quaderno sul tavolino e si gira verso di me sorridendo felice, io ancora appoggiato col gomito allo schienale praticamente attaccato a lui. - È fottutamente bello tornare a disegnare. Quando crei qualcosa, sai... e poi ti riesce bene e sei soddisfatto... hai quella sensazione che ti fotte il cervello. -
La sua mano scivola nella mia coscia e mi carezza l’inguine sfacciato e deciso, prendendomi il pacco. - Ti fa sentire maledettamente eccitato. È come quando facciamo una canzone fighissima! - Capisco bene di cosa parla. Quando abbiamo fatto canzoni complicate che poi sono uscite benissimo eravamo tutti eccitati, le scopate più belle sono dopo delle creazioni soddisfacenti o dei concerti particolarmente belli. 
La sua mano continua a carezzarmi il pacco, mi delinea l’erezione attraverso i pantaloni ed io sorrido senza fermarlo, avvicina il viso al mio per quel po’ che ci rimaneva, le labbra si sfiorano. 
- Capisco benissimo. - improvvisamente la mia mano si muove sul suo inguine a fare la stessa cosa. - ma in questo caso sei tu quello eccitato, significa che sono io a doverti soddisfare, no? - Appena lo dico i suoi occhi si accendono mentre realizza quel che non aveva considerato. 
Così smette di toccarmi, si sistema seduto meglio nel divano abbassando i piedi che raccoglieva sotto di sé, allarga le gambe e apre le braccia accomodandosi. Un invito silenzioso che mi eccita molto più di quando mi salta addosso. Che fra l’alto non fa da un bel po’, non so quanto sia saggio stuzzicarci ora... ci fermeremo prima di andare oltre?
Scoperemmo perché siamo arrapati, ma vuole che sia speciale, Jacoby. Ed io voglio che lui non lo dimentichi mai. 
Però ora mi chino sul suo bacino, gli tiro fuori l’erezione dalla tuta, lo massaggio con la mano e dopo averlo masturbato, lo lecco e lo succhio. Ben presto la mia testa si muove sul suo membro duro che cresce nella mia bocca, la mano non sta ferma sullo schienale, finisce sulla mia nuca ad attirarmi a sé aumentando i movimenti. 
Avere il suo membro nella mia bocca che pulsa eccitato è sconvolgente, a volte ci scambiamo piaceri, ma ci fermiamo quando stiamo andando oltre. Solo che è sempre più dura. 
Mi chiedo quando arriverà il momento. 
La voglia di prenderlo e farlo mio, ora, è sconvolgente. Perdermi in lui, marchiarlo col mio seme, farlo mio e basta. 
Eppure ci accontentiamo di questo. 
La mia bocca sul suo che viene in un’esplosione di piacere, poi lui che ricambia allo stesso modo perché poi sono io quello che sembrerebbe un maniaco se non mi sfogassi. 
Ed anche il mio orgasmo arriva nella sua bocca. 
Fanculo, stavo per ribaltarlo ed infilarglielo dentro, altro che bocca.
Gli prendo il viso fra le mani, lo sollevo e lo bacio appropriandomi del mio stesso sapore, l’eccitazione è alle stelle. 
Sulla sua bocca, mormoro eccitato:
- Non so quanto resisterò senza prenderti e farmi mio. - Lui fa un sorrisino soddisfatto a proposito e mi lecca le labbra in risposta. 
- Sarà speciale. - Su questo non ci piove. 

Jacoby è stranamente calmo, un po’ troppo per i suoi canoni.
E dorme. 
insomma, voglio dire, dorme sul serio. 
Un conto è quando ha i suoi momenti, è lunatico, a volte si mette per conto suo e scrive, ora disegna di nuovo... insomma. Però un conto è quando dorme. Lui non è capace di dormire di giorno. 
Gli faccio la foto naturalmente, poi lo sveglio dolcemente col caffè ed un bacio e lui fa un sorriso assonnato tenerissimo, ha l’aria di un bambino. 
- Tutto bene bella addormentata? - Chiedo. Lui fa un sorrisino e si strofina il viso stropicciato, sbadiglia ed annuisce. 
- Sonno arretrato. La pausa arriva giusta! - Adesso abbiamo un bel mese di pausa, peccato che arrivi proprio per il suo compleanno e non ha senso festeggiarlo insieme. Sto per toccargli la fronte sospettoso, ma lui si alza subito scivolando via per andare in bagno gracchiando rauco che deve cagare. 
Si chiude in bagno per un po’, so che ha sempre problemi ad espletare i suoi bisogni, così lo lascio tranquillo mentre, di pura abitudine, gli preparo tutti i vestiti ed il necessario per il concerto che sarà fra un paio di ore. 
Quando esce si è dato una ravvivata, chiude la porta prima che mi faccia svenire ed ha un sorriso costruito, di quelli che non arrivano agli occhi. Stile prima del 2012, per intenderci. 
Lo fisso sottile mentre evade i miei contatti diretti e si cambia mettendosi a parlare di cose insulse come ‘ho sognato che i pinguini volavano’ e cavolate simili. 
- Jacoby, mica mi nascondi che stai male spero. - dico serio. Lui mi guarda spalancando i suoi bellissimi occhi azzurri e fingendosi innocente esclama. 
- Chi?! Io?! Ma dai! - 
Sospiro innervosendomi, alzo gli occhi al cielo e cerco di raggiungerlo per toccargli la fronte, ma lui fa finta di sentire il telefono e corre a prenderlo. 
- Oh non vibrava, ero convinto... - 
- Jacoby... - Chiamo paziente rimanendo fermo. Lui non si blocca, continua a prendere cose e a fare come se io non lo chiamassi. Ed io ancora paziente in mezzo alla stanza, mani ai fianchi: - Jacoby... - Poi mentre passa da una parte all’altra lo intercetto e gli agguanto le braccia, con fermezza gli tocco la fronte e scuoto la testa. - Fatti dare qualcosa. - Dico senza bisogno di aggiungere altro.
La sua fronte è calda, me ne ero accorto quando l’ho baciato per svegliarlo ma siccome dormiva poteva sembrare caldo senza esserlo. 
I suoi occhi diventano ancor più infantili e scuote la testa. 
- No non se ne parla, non prenderò mai pastiglie. - Alzo gli occhi al cielo esasperato. 
- Vuoi fare un concerto decente? - Con questo chiudo la discussione perché è sempre così. Lui illogico, io logico. Alla fine fa come dico io perché quando voglio non esiste santo che tenga. 
Ed ora è una di quelle volte. 
Tony non sa tante delle nostre dinamiche, ma non posso stare a spiegargli i dettagli, che quando conta mi impongo. 
Volevo sedurlo e portarmelo a letto stanotte prima della pausa, però alla fine se ha la febbre dovrò rimandare il mio piano. 

Quando inghiotte le pillole che gli ha fornito il dottore, solo ed esclusivamente quelle necessarie per il concerto per poi restituirgli la scatola intera, siamo per un momento soli io e lui in uno dei nostri camerini, io seduto sul divano a mettermi le scarpe, lui a finire di sistemarsi i vestiti accanto a me. 
- Sai... capisco molto più ora mio padre che prima mentre ero sempre fatto ed arrabbiato. È strano perché prima eravamo accomunati in modo fottutamente evidente, no? Lui il suo stress post traumatico, io le mie allucinazioni uditive... e poi il bere, il farci di merda... eppure non lo capivo, non mi sono mai accorto di essere come lui fino a quando ho toccato il fondo. - Lo guardo mentre ne parla serio senza ricambiare lo sguardo, si osserva allo specchio mentre si sistema la maglia nera senza maniche che scivola sul corpo. 
Parla sempre più di queste cose private e personali, prima erano rari sprazzichi, ora è naturale, lo fa come se mi raccontasse di cosa ha fatto ieri oppure stati d’animo qualunque, invece sono cose che l’hanno sempre tormentato. Suo padre era tabù. 
- Ora invece? - Chiedo piano e tranquillo allacciandomi le scarpe. 
- Ora che sto cercando di risalire e fare le cose per bene vedo quanto è maledettamente difficile, ho paura di tutto. Che se ricado ora è finita, no? E se faccio anche solo una mossa sbagliata sono fottuto. E mi chiedo... anche lui aveva paura di tutto? Anche per lui è stato tutto così maledettamente difficile? - Ora capisco meglio anche i momenti in cui si chiude e se ne sta tranquillo in un angolo. I momenti che noi chiamiamo ‘alla Jacoby!’ 
O quando si mette a fare il matto, per sopprimere questi sensi di soffocamento. 
- Se... - Mi schiarisco la voce cercando di essere più sereno possibile, mi alzo in piedi pronto e lo guardo con un sorriso calmo. Quanto sono calmo sul serio? I suoi occhi mi scrutano in profondità, ha già capito tutto. - Se senti di non farcela ancora, o se hai paura di qualcosa, se c’è anche solo un piccolo insignificante motivo che ti fa stare male... io voglio che tu me ne parli, ok? Sono qua per te, abbiamo superato tutto, non so se posso capirti, ma posso distrarti o... beh, quello che vuoi! - Lui sorride dolcemente, per un momento sono tornato impacciato con le parole. Mi viene davanti, mi carezza la guancia liscia appena rasata, mi sistema una ciocca traditrice di capelli che scivola sulla fronte, mi sorride con una calma e padronanza che mi rilassano. 
- Una volta ti sarei saltato addosso per combattere questi momenti di terrore. - 
- Come vanno le fobie? - Alza le spalle. 
- Meglio. Piano piano le guardo in faccia. - Ora è molto padrone della situazione, mi fa sentire meglio, ma a volte tremo. A volte torno  vedere al sua fragilità. 
- È per questo che non vuoi fare ancora l’amore con me? Perché hai paura che sia solo un modo per combattere le tue fobie? - Inghiotte ed alza le spalle con un’aria che dice tutto e niente. Mi strofino le labbra e scuoto la testa. - Hai mai pensato che vuoi fare l’amore con me perché mi ami e basta? - Sorride ancora allo stesso modo, un po’ più dolce, mi prende la mano abbandonata lungo il fianco, aggancia il mio dito al suo. 
- Quando lo faremo sarà speciale. - Di questo ne sono sicuro, ma di questo passo impazzirò. Però gli do uno schiaffo al fianco e indico la porta. 
È ora di andare. 
- Se non ce la fai accorciamo, ok? - Lui alza le spalle. 
- Andrà bene. - dice sicuro. Io come sempre spero che le preghiere che faceva prima al suo Dio, funzionino come sempre. 
Se avesse un crollo lo ammazzerei! 

Alla fine lo raccolgo con un cucchiaino, fa le cose che vanno sempre fatte dopo i live, complimenti, rifiuta il cibo perché sta per vomitare, poi mentre lo chiamano a destra e sinistra per questo e quello, mi guarda con occhi imploranti e capisco che proprio è al completo e ancora un po’ e lo tiro su con lo spazzolone. 
Così intervengo e dico che sono stanco e voglio andare a farmi una doccia e dormire, di solito ci muoviamo insieme, così non discutono mentre andiamo via. 
- Potresti anche ammettere che sei distrutto per una volta e che vuoi andare solo in camera... - Dico poi mentre recupero un autista che ci porti in albergo, nel sedile posteriore vicino a me è mezzo steso e dallo specchietto l’autista non vede, così gli prendo io la mano e allaccio le dita parlando piano appoggiato più o meno come lui. 
- Sei stato grandioso lo stesso. - Lui fa un sorrisino sfinito, lo sguardo di chi non ne ha proprio più, così per il resto stiamo in silenzio e non ci sono problemi. 
Quando siamo in camera ci laviamo velocemente e ci mettiamo a letto, esita ad attaccarsi come una cozza, quando gli dico che basta non scambiarci fluidi corporei e non mi contagerà, si gira verso di me e mi abbraccia come se fosse un koala al suo albero. 
Io ridacchio e mi sistemo affinché stiamo entrambi comodi sul fianco uno verso l’altro. 
La mia idea di ultima notte prima della pausa era ben diversa, ma va bene anche così, alla fine, immagino. 
La sua testa accoccolata contro la mia spalla, la fronte calda contro il mio collo. 
- Grazie. - Biascica poi più per la febbre che altro, trema impercettibilmente per i brividi, ma spero che si calmi dormendo. 
- Per cosa? - Chiedo senza capire. 
- Per esserci, per avere pazienza, per lasciarmi fare le cose importanti come voglio e per insistere su quelle giuste. Perché mi capisci e perché posso dirti tutto che so andrà benissimo. - Quando fa così mi commuove così sto zitto di solito. - mi sono ripromesso di non dare mai più niente per scontato e di dire sempre le cose importanti quando vanno dette. - Gli carezzo la testa e gli bacio la tempia. 
- Grazie per rendermi degno di tutto questo. - 
Percepisco il suo sorriso contro il mio petto nudo, poco dopo il nulla ci avvolge e so che sta dormendo. 

 

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NOTE: Non so se Jacoby sappia realmente disegnare, è una mia invenzione. Ho fatto uno schizzo di quello che Jacoby disegna qua, giusto per fare un po' capire.

disegno di jacoby