PARTE 1:
ANDRY SHEVCHENKO
1. LO ZAR
Quante persone speciali puoi incontrare nella tua vita?
Quelle persone che ti restano dentro, che cambiano un pezzo di te in
quel periodo, che quando le rivedi o ci ripensi ti senti sciogliere e
sorridi malinconico volendo tornare lì in quel periodo o magari corri a
chiamarlo e lo rivedi subito.
Il primo, quello che probabilmente mi ha cambiato di più rispetto a com’ero prima di lui, è sicuramente Andry.
Ero così piccolo ed innocente quando sono arrivato, quando l’ho conosciuto.
Sono passato dal San Paolo al Milan e lui era lì, uno dei migliori
della squadra, io giovanissimo ed inesperto, una futura promessa del
calcio che nessuno conosceva, lui che si faceva strada e che aveva già
iniziato a dimostrare quanto forte fosse.
Andry, ucraino, numero 7, attaccante di un livello eccezionale.
Io un ragazzino che sembrava un adolescente scappato di casa, nessuno
sapeva chi fossi, ma Leonardo aveva garantito per me. Ovviamente un
direttore sportivo può garantire quanto vuole, ma finchè quel giocatore
non mostra ciò che sa fare resta nessuno.
Ed io ero nessuno.
Non credo che Andry mi abbia visto davvero finchè non ho avuto la palla
fra i piedi, da quel momento in poi sono magicamente apparso. Penso che
sia stato così per tutti onestamente, ma io ero da subito rimasto
catturato da lui perché era uno dei migliori.
Quel Milan era stellare e pieno di ottimi soggetti, era anche un bel
gruppo e l’allenatore era molto in gamba, però Andry aveva quel potere
di catalizzare l’attenzione di tutti.
Io ero un ragazzino puro innamorato di Dio che non si conosceva
minimamente, convinto di sapere ciò che volevo, ciò che ero, ciò che
dovevo fare.
La realtà era ben diversa.
Ricordo bene come mi sono sentito quando Andry mi ha fatto il primo complimento. Penso d’aver toccato il cielo con un dito.
Devo dire che lui non era uno famoso per elargire complimenti e prima
di quella volta io avevo cercato di mostrare le mie qualità per potermi
inserire meglio in quel gruppo di sconosciuti. Non conoscevo la lingua,
non conoscevo i compagni, la città, le usanze, nemmeno il loro calcio
alla fine.
Ma non potevo staccare gli occhi da Andry, conosciuto ovviamente per le
sue prodezze eccezionali sul campo. Aveva un’aura addosso particolare,
io penso sinceramente di aver voluto dimostrare di avere delle buone
carte non solo per una questione di inserimento, ma anche per lui.
Perché volevo impressionarlo. Ne sono abbastanza sicuro, sinceramente,
perché quando mi ha fatto i complimenti per la mia prima partita
debuttante ero al settimo cielo.
Era tutta l’estate che giocavo con lui cercando di distinguermi in
allenamento e nelle partite amichevoli, non mi ha mai detto nulla.
Quel giorno di settembre, quando entrai in campo durante il match, alla fine mi fece i complimenti.
Niente di speciale, mi strinse la mano mentre lo facevano anche gli
altri, quasi tutti mi avevano detto la stessa cosa perché ovviamente
ero l’ultimo arrivato ed avevo debuttato ed in questi casi i compagni
cercano di incoraggiarti, ti fanno i complimenti anche solo per il
fatto di aver debuttato a prescindere da come poi giochi.
Così lui forse lo fece così perché lo facevano tutti e si ritrovò me
davanti, ma non posso certo dire che può averlo fatto perché avevo
giocato particolarmente bene.
So che hanno capito appena ho toccato una palla in campo che ero
dotato, me l’hanno detto subito, però lui non ha mai fatto alcun cenno.
Ero felice che me l’avesse detto, ho sorriso come un bambino davanti allo zucchero filato.
Ero felice, ero immensamente felice e penso che quello sia una sorta di inizio.
In quanti modi le persone ti cambiano la vita?
Un complimento o la ricerca di un complimento più sentito, perché le
vuoi impressionare, vuoi farti notare da loro. Perché? Perché sì, non
puoi farne a meno.
Perché quella persona è speciale, ha qualcosa di diverso dagli altri,
si distingue ed anche tu vuoi distinguerti ma non su tutti e per tutti.
Solo per lui.
Perché lentamente, giorno dopo giorno, ti rendi conto che vuoi farti
notare solo da lui e prima di capire il motivo, ci sei dentro fino al
collo.
Non è stato facile per me distinguere quel che provavo per lui, perché
per me era indiscutibile il fatto di essere etero e più mi sentivo
attratto in ogni senso da Andry, più mi attaccavo a Carol.
Sentivo impellente quel bisogno di essere toccato da Andry, quel bisogno di toccarlo. Quella cosa io... io non so come dire.
Più la voglia di perdermi in Andry, di essere preso da lui,
abbracciato, sentirmelo addosso era forte, più mi buttavo a capofitto
in quella relazione con Carol facendo di tutto per convincere me stesso
e lei e tutti quanti che io ero normale, che amavo lei, che ero etero e
non c’erano strane tendenze in me.
Mi ha aiutato l’usanza della verginità, l’ho impostata come un sacro
cardine della mia religione che seguivo ciecamente, ma non è che è
stato difficile per me non fare mai l’amore con lei.
Se fosse successo avrei capito più facilmente. O meglio non avrei potuto nasconderlo a me stesso.
Prima di sposarla e di adempiere ai miei doveri coniugali, però, sono
passato per qualcosa che potrebbe definirsi inferno personale.
Mi sentivo bruciare tutte le volte che mi toccava e mi parlava e più
notavo che anche a lui piaceva toccarmi e starmi intorno, più io
morivo.
Non ero capace di oppormi, mi abbandonavo totalmente a lui mentre
quando mi saltava sulle spalle o mi stringeva toccavo il cielo con un
dito e tutto spariva. Ogni obbligo, strano senso di colpa, tutto quanto.
C’era solo la gioia in lui che mi abbracciava.
Andry era una creatura particolare sinceramente. Chiuso, un muro,
parlava poco, scherzava ancora meno, ma era molto gentile. Non è che
era scorbutico e asociale. Era solo uno estremamente composto e freddo
a cui nessuno poteva mai arrivare.
Era il più forte in assoluto e questo puntava i fari su di lui, ma lui
non sembrava nemmeno notarli ed io pensavo che fosse impossibile non
essere toccato da nulla come lui. Ma non è che non calcolasse nessuno e
non parlasse, era molto a modo, stava al suo posto, non si opponeva
alle cose, non litigava. Più che altro l’impressione era che non
litigasse perché nessuno aveva il coraggio di andargli contro.
I suoi sguardi mi tenevano svegli la notte, è stato shoccante il primo
anno vincere lo scudetto insieme. Quella notte di festeggiamenti io ero
già bello cotto ed è stato lì che non ho potuto non sentire
l’eccitazione scorrere prepotente in me.
Non credo di essere diventato il suo pupillo e non credo che vedesse in
me qualcuno da proteggere, ma lentamente durante quell’anno il nostro
rapporto è diventato qualcosa, non lo so definire perché con lui non ci
sono mai state definizioni, è sempre stato tutto un interpretare
qualcosa che probabilmente vedevi solo tu.
Come dicevo, Andry era un muro.
Era gentile, a modo, stava al suo posto, faceva sempre il suo dovere
molto bene ma non avevi mai la sensazione di averlo mai visto davvero.
Così quando lui ti faceva un complimento o ti accarezzava la schiena o
spettinava i capelli, ti chiedevi se era una cosa fatta perché gli
piacevi o magari era obbligato in qualche modo dalle circostanze.
Per cui qualcuno diceva in giro che ero speciale per Andry, che guai a
chi mi toccava. Scherzavano così ma non so come hanno iniziato.
Forse perché gli giravo inevitabilmente sempre intorno e sembravo il
suo cucciolo in cerca di attenzioni. E gli sorridevo di continuo e gli
chiedevo come stava, come andava, cosa aveva fatto. Non mi impicciavo,
però mi interessavo molto a lui e lui semplicemente rispondeva. Non era
uno che iniziava una conversazione, ma se gli chiedevi qualcosa
rispondeva.
Mi chiedo se per questo semplice fatto gli altri si fossero convinti
che io fossi speciale per lui. Certo mi parlava, ma perché lo facevo io
per primo.
E va bene, certi festeggiamenti ai goal erano molto vigorosi, insomma,
molto sentiti. Non credo di essere mai stato vigoroso. Lui sì. Virile
più che altro. Molto virile.
Virile e gentile.
Sorrido dolcemente quando ci ripenso.
Andry mi ha trasformato in un uomo. Piano piano.
Così quando abbiamo vinto lo scudetto al mio primo anno lì, era il
2004, eravamo tutti ubriachi di gioia ed anche ubriachi di spumante.
Quello scorreva a fiumi ovunque, in campo, negli spogliatoi. Eravamo
tutti mezzi nudi e felici a cantare e saltare e abbracciarci e penso
che io ed Andry ci siamo abbracciati almeno venti volte ed io le
ricordo tutte e non so se la testa mi girasse per lo spumante che avevo
finito per bere oppure per tutti quegli splendidi contatti con lui. Mi
sentivo magico, coraggioso, euforico e fuori di me, completamente senza
controllo.
Tutti sudati e bagnati, scombinati, accaldati, eccitati.
Oh, se eravamo eccitati.
Così tanto che ad un certo punto ho temuto di avere un orgasmo senza
toccarmi. Non mi sono mai masturbato, mai fatto certe cose. insomma, mi
sono sviluppato come tutti e le erezioni spontanee fisiologiche le ho
avute come normalmente succede ad ogni ragazzo. Però non mi auto
stimolavo e con Carol appunto mai sesso.
E così quella volta con tutti quegli strofinamenti assurdi con Andry
così fiero di me e della mia splendida stagione, non riuscivo più a
contenermi. Pensavo sarei venuto, me ne sono accorto con allarme così
ho preso una delle bandiere che giravano per lo spogliatoio, mi sono
seduto e me la sono messa sulle gambe a coprirmi in attesa che tutta
quella follia passasse. Era impossibile avere un orgasmo così. Non
potevo. Eccitarmi perché lo vedevo nudo sotto la doccia era un conto,
avere un vero orgasmo perché mi toccava ed era solo con i pantaloncini
addosso era un altro.
Non potevo.
Mi sedetti a quel punto, respiravo a fondo perché ero stremato per i
festeggiamenti e fingevo di tirare il fiato per quello. In realtà stavo
per venire e non sapevo come comportarmi.
Poi la tragedia.
Andry si sedette vicino a me.
Proprio vicino a me.
Mi schiaffeggiò la coscia, si sedette e mi circondò le spalle con un bellissimo sorriso di quelli che non puoi dimenticare.
Io ero tipo allo stremo a quel punto perché era stato tutto il tempo
così, io e lui a fare festa insieme in qualche modo ed il suo corpo era
così perfetto e attraente e pensavo che poi magari avremmo fatto la
doccia insieme vicini e continuato a toccarci così da nudi e la cosa
non mi aiutava.
- Sei già alla fine? - Disse sereno. Era bello vederlo così spensierato e al settimo cielo.
- Devo tirare il fiato... - Risposi incerto ma sempre sorridendo ebete.
Il suo braccio ancora intorno a me, io bruciavo. Mi sentivo sempre
peggio e non so se lui poi l’ha notato.
- Siamo appena all’inizio, adesso continueremo così tutta la notte.
Devi sbrigarti a riprenderti. Ti conviene rinfrescarti per bene, qua
non si respira e tu... - Guardò la bandiera che avevo addosso sulle
gambe ed io sussultai perché si fermò fissandomi il rigonfiamento che
penso si notasse eccome. Dai ti prego, mi dicevo. Non notarlo. Cosa gli
dico?
E forse stava per dire qualcosa perché vidi la sua fronte aggrottarsi,
ma proprio lì venimmo interrotti da qualcuno lì per fare foto, così ci
chiamò ed io prontamente sorrisi alzando la bandiera del
diciassettesimo scudetto con un sorriso un po’ tirato e strano. Andry
prese un’estremità, io l’altra, la sollevammo davanti a noi fino a
mostrare i nostri visi. Ci fecero la foto e solo dopo vidi che lui non
sorrideva in quel momento, ma che aveva un’espressione particolare.
Appena il fotografo se ne andò io lo guardai subito, la bandiera ancora alta davanti a noi.
Io ero scoperto, o meglio avevo gli shorts ma erano bagnatissimi di spumante e non mascheravano nulla.
Insomma, si vedeva la mia erezione in procinto di esplodere e lui, appunto, guardava proprio quella.
Io avvampai.
- Riky, ti sei eccitato... - Non era una domanda, ma una constatazione
e appena sentii il mio nome associato alla parola ‘eccitato’, vedendo i
suoi occhi fissi sul mio pacco gonfio, esplosi.
Fortunatamente non ero nudo e non si notò niente di particolare, ma lo notai io perché avvampai e mi tesi tremando tutto.
Insomma, Andry mi guardò silenzioso e shoccato credo, ma non disse nulla. Non disse assolutamente nulla.
- Ti serve una doccia. Ed anche a me. - Ma non la facemmo insieme.
Andry corse quasi via, non so bene cosa gli prese. Come dico, era un
mistero quel ragazzo, impossibile capirlo, lo potevi interpretare ma
avevi sempre il dubbio di non averci azzeccato. Infatti poi rimasi lì
incerto sul motivo della sua reazione. Aveva capito? Io ingenuamente
non pensavo si potesse capire, poi ovviamente col senno di poi so che
l’aveva capito eccome.
Ma perché scappare così? Perché evitarmi da lì in poi?
Da che mi aveva toccato tutta la sera, a che quasi non lo vidi più nonostante la famosa lunga notte.
Ci rimasi male, ma almeno non rischiai altri orgasmi.
Quello fu il primo quasi indotto, cioè ne avevo avuti di spontanei
appunto, niente di gestito ecco. Nemmeno quello lo era stato, ma non
era mai capitato in una situazione promiscua come quella.
Non sapevo che era solo l’inizio.