*Siamo ancora verso l'inizio della prima stagione insieme di Cris e Riky, i due passavano molto tempo insieme e Cris veniva da un periodo dove si era conquistato una brutta fama anche facendo una vita un po' dissoluta, al Real lui cambia completamente modo di fare, diventa molto professionale ed esemplare proprio come Riky. Riky però sin da subito è stato molto giù e non ha mai giocato come il vero Kakà, ne ha sofferto molto ma Cris gli è sempre stato vicino, con una pazienza infinita, a consolarlo. Dalle loro interviste si sa che passavano molto tempo insieme anche al di là del calcio. Dalle esultanze dei pochi goal di Riky, si capisce che lui si lamentava molto con Cris in privato e addirittura piangeva. Riky è comunque uno molto emotivo che se si abbatte affonda tanto, quelli così solitamente nei periodi no ripetono le cose all'infinito come delle litanie. Buona lettura. Baci Akane*

11. UNIONE EMOTIVA

 

 


Mentre la sera arrivava mi sentivo euforico, come se quella specie di appuntamento a casa sua fosse speciale e col senno di poi posso dire che lo fu.
Non avevo ben capito per quale ragionamento poco logico dovevo andarci, però alla fine mi piaceva l’idea e probabilmente credo che semplicemente avendo le idee chiare, non gli piaceva perdere tempo.
In effetti questo è Cris, fissa l’obiettivo e fa di tutto per conquistarlo. Il più delle volte ci riesce.
In quel momento non ci vedevo niente di male, mi aveva preso in simpatia ma non volevo ostinatamente vederci nulla dietro, per cui in amicizia si poteva fare un sacco di cose. Anche andare a casa di qualcuno a cucinare.

Quando arrivai lui era con dei jeans aderenti ed una maglietta altrettanto aderente, color nero.
Lo guardai, sembrava pronto per uscire e così mi guardai tirando il labbro all’infuori.

- Io pensavo saremmo stati a casa... - Cris mi prese la mano e mi tirò dentro ridendo.
- Certo che sì! -
- E perché sembra devi uscire? - Mi mollò e cominciò a girare su sé stesso massaggiandosi il culo, quel bel culo praticamente perfetto che non potevo non fermarmi a considerarlo perfetto, appunto.
- Tesoro, questa perfezione è canon, non è special! - Non so bene cosa stava dicendo, blaterava qualcosa di stupido probabilmente, ma io mi ero perso in un istante.
Ricordo il sopracciglio alzato e quella voglia di toccarglielo anche io, quel culo. Di nuovo come quella volta negli spogliatoi.
Succedeva troppo spesso, sospirando lo spinsi e andai dritto alla ricerca della cucina.
- Comunque pensavo uscissi ogni sera, non sei uno che si diverte un sacco in giro? - Chiesi solo per spostare l’attenzione su argomenti meno pericolosi per i miei ormoni di nuovo accesi.
Mentre lo sentivo seguirmi, ricordo che cercai di fare mente locale su quand’era stato l’ultimo orgasmo avuto.
Era quella volta con Andry. Troppo tempo che non provavo piacere e pareva che con Carol non fosse davvero la stessa cosa, che magari quando riuscivamo a fare l’amore non era proprio come quelle volte con lui. Il mio corpo iniziava a reclamare quel genere di piacere intenso e totale dove ogni centimetro e molecola del mio essere gridava mentre si svuotava.
Immaginai a farlo su di lui e finii per far cadere la pentola che avevo preso dall’armadio di Cristiano, come se fosse casa mia.
Ci ero già stato lì, ma di giorno ed in accezioni diverse. Tipo a bere qualcosa al volo e cose così, niente di serio.
Non che quello fosse serio, non volevo vederci nulla, ma Cris ridendo mi prese la pentola:
- Tutto bene? -
- Sì dicevi? - Chiesi in fretta riprendendo la pentola e riempiendola di acqua da mettere sul fornello a bollire.
- Il presidente mi ha fatto sapere che al Real si tengono certi atteggiamenti, che sono libero di fare come voglio ma si aspettano da me un comportamento esemplare, come quello che avrai tu. - Così lo fissai con un sopracciglio alzato, perplesso e incredulo.
- È per questo l’invito a cena? Per imparare qual è l’atteggiamento esemplare che ho io? Non mi vedi ogni giorno in allenamento? A parte che poi, se fossi al tuo posto, eviterei proprio di imitarmi... - questo mi scappò e me ne resi conto troppo tardi d’aver detto qualcosa che ovviamente lui non poteva ignorare.
- Che dici? Perché non dovrei? Comunque non è per questo, ovviamente non ci vuole un genio per capire il genere di esempio che dai... è che volevo solo passare del tempo con te, non posso? -
Cristiano tirò fuori degli ingredienti che probabilmente sua madre gli aveva preso per una buona pasta, mi ricordo che si era oscurato un po’ a quel discorso così mi affrettai ad aggiustare il tiro perché non volevo rovinare in ogni caso il nostro bel rapporto.
- Certo che puoi, sono felice di stare con te. Mi fai stare bene, mi distrai... - E di nuovo avevo detto qualcosa che non avrei dovuto, ma forse dentro di me in qualche modo ne volevo parlare con lui. Evidentemente era così perché di nuovo mi era partita la frase da non dire.
Cristiano quella volta non me la fece passare liscia e con un tono deciso, piazzandosi a braccia conserte vicino a me, mi disse:
- Adesso mi dici cosa ti succede perché altrimenti... -
- Oh andiamo, non mi hai invitato nemmeno perché mi vedi giù ultimamente? Cioè lo sono da quando sono arrivato ed hai sempre fatto di tutto per aiutarmi, l’ho notato... ora non lo hai fatto per questo? - Ero un po’ polemico, non volevo parlare anche se forse in realtà lo volevo.
- La smetti di vederci motivazioni dietro la mia amicizia? Cioè mi piaci e voglio stare con te, punto. Perché devono esserci motivi? - Cris in quel momento aveva il fondoschiena, quello così bello e perfetto di prima, appoggiato al ripiano di lavoro dove io stavo cercando di organizzare una salsa semplice. In pratica mi poteva guardare in viso e non si sarebbe spostato finchè non avrebbe ottenuto qualcosa da me e capivo di non avere scelta.
- Scusa. È solo che... che ti sei legato a me molto in poco tempo e non è mai successo così e... - E non sapevo cosa dire. Lui sorrise scacciando il fastidio che gli avevo suscitato, mi prese la guancia pizzicandomela in modo molto tenero.
- Potresti dirmi perché sei così giù? Che hai insomma? Perché non dovrei imitarti? Sei uno splendido esempio di persona, cos’è che non va? - Affondò in un attimo, sembrava una lama affilata che mi demoliva e mi affettava. Forse fu il suo sguardo insistente e diretto, lui così aperto in quel momento, che aveva subito buttato giù le carte in tavola senza paura di mostrarsi. Era chiaro che voleva un rapporto con me, non tanto su quale genere ma presto avrei avuto chiaro anche quello.
- Lo sai, non volevo venire qua e... e ormai ci sono e volevo tirare fuori il meglio da questa situazione ma non ci sto riuscendo. Non riesco più ad essere quello di prima, sia in campo che fuori, ma soprattutto in campo. Sono preoccupato perché penso che quel Kakà sia morto, non tornerò più com’ero e non so se posso farci qualcosa. Penso sempre più a questo. Come vedi non sono un vero esempio, è meglio per te che tu prenda una strada tua e che non impari da me... - Ridacchiai citando il presidente che aveva in pratica vietato a Cristiano di fare una vita dissoluta come prima.
In realtà non glielo aveva vietato ma consigliato, spesso i giocatori fanno comunque quello che gli pare e dubitavo che Cristiano avrebbe smesso perché Perez glielo aveva chiesto. Anzi. Ero abbastanza certo che presto sarebbe tornato per locali strani a fare notizia.
Non immaginavo che invece per sentirsi degno di me e per piacermi di più avrebbe smesso definitivamente.
- Tornerai quel Kakà. Ed anche se qua sarai un altro, sarai comunque meraviglioso, perché sarà un’altra versione di te. - Disse a quel punto serio e sicuro di sé, mi fermai col coltello sul tagliere dove avevo tritato la cipolla che iniziava a bruciarmi gli occhi. Lo guardai impressionato mentre non riuscivo a non piangere e non capivo se era per le dannate cipolle o per quel che aveva detto, ma via via lo vedevo sempre peggio, gli occhi sempre più appannati.
- Dici che andrei bene comunque? -
Cristiano, infervorato, mi prese il braccio stringendolo, quel contatto mi sconvolse, mi lasciò una scarica di adrenalina che però non frenò quelle lacrime che ancora non capivo la loro origine, ma forse non era tanto importante.
- Andrai sempre bene, tu sei tu, non c’è una versione di te che non va bene! Se gli altri si aspettano un altro Kakà si arrangino! Non sei tu in difetto, non sei tu quello sbagliato e che deve essere qualcuno, tu sei già qualcuno e ciò che sei, ciò che ti viene ora, va benissimo perché autentico e tutti ti devono solo accettare! - Lui era così forte, così mentalmente forte ed incredibile.
Quando mi disse quello fui suo.
Era esattamente ciò che mi serviva, ciò che speravo che qualcuno mi dicesse e non solo lui l’aveva capito, ma mi era entrato in un modo incredibile e come mi guardava, come mi toccava, come mi stava davanti.
Ed io come piansi, lì.
Al di là delle cipolle.
Come.
Aggrappato al suo collo, nascondendo il viso, perché avevo bisogno, un bisogno infinito di sentirlo. Singhiozzai e lui mi abbracciò, immerse una mano nei miei capelli mossi e fluenti e mi tenne a sé senza dire altro. Senza polemizzare per una crisi assurda così all’inizio che forse era esagerata.
Non sminuì il mio stato d’animo, mi aveva capito e mi stava consolando, non potevo volere altro, non potevo chiedere altro. Essere accolto, essere capito, essere consolato.

Ma non successe solo lì, Cristiano mi consolò infinite volte, fu la mia forza da lì all’infinito, senza mai stufarsi nonostante chiunque ad un certo punto lascia perdere. Lui non solo non mi lasciò mai perdere, ma fu il mio autentico sostegno tanto che è vero, non tornai mai più quel Kakà sul campo, eppure se tornassi indietro rifarei tutto e andrei comunque lì a Madrid, perché lì ebbi l’esperienza più importante della mia vita.
Lì mi unii a lui.

Da lì in poi successe spesso. Ci ritrovavamo a casa sua e parlavamo, anche pomeriggi interi. Io mi sfogavo perché sapevo che mi capiva e non mi prendeva in giro, lui mi ascoltava e mi consolava e mi tirava su e alla fine mi distraeva, ridevo, stavo bene.
Sul campo quando riuscivo a segnare, sebbene succedeva poco e con difficoltà, era sempre lui quello che mi abbracciava, a cui saltavo addosso, che mi stringeva forte con una gioia infinita.
Lui ed i suoi modi scanzonati di esultare mentre mi imitava quando piagnucolavo con lui o mi lamentavo all’infinito. Come se un goal ed un abbraccio cancellasse tutto, come se bastasse poco a raddrizzare ogni cosa.
E forse era così. Forse bastava poco perché dopotutto quello che contava di più era sotto i nostri occhi e l’avevamo, l’avevamo eccome.
Avevamo un rapporto speciale che stava nascendo e che era chiaro non saremmo riusciti a frenarlo specie perché nessuno di noi voleva.
Lentamente segnare non era una gioia solo perché potevo illudermi di tornare quello di prima, ma perché c’era lui che mi sollevava in alto mentre mi stringeva forte, perché potevo baciarlo fugace in mezzo ai miei compagni seguendo un indomabile impulso che al di fuori del campo non avevo il coraggio di seguire.
Presto i nostri goal, più i suoi che i miei, divennero motivo di gioia che andava ben al di là del campo e del calcio. Molto al di là.
E mi serviva ancora una scusa per abbracciarlo, toccarlo e baciarlo. Mi serviva ancora una scusa che per fortuna il calcio mi dava. Ma presto non sarebbe più stato così. Presto non sarebbe servito il calcio.

- Non devi pensarci sempre... tu vai in campo con la testa piena di pensieri e non sei libero di... semplicemente correre e fare quel  che vuoi con la palla... - Mi disse una volta un’altra di quelle sere dove al posto di uscire per locali di dubbio gusto come aveva fatto a Manchester, stava con me a fare cose del tutto normali come guardare film, chiacchierare e sentire le mie infinite lamentele. Ormai con lui riuscivo a parlare e sfogarmi e mi aprivo, credo che gli facesse piacere da un lato, ma dall’altro lo esasperavo perché lui è l’opposto, non si lamenta mai troppo di qualcosa. È polemico, eh, ma va davanti alla persona che causa la sua polemica e l’affronta a viso aperto immediatamente. Io invece no, ingoio e brontolo con un povero essere umano che mi sta vicino.
Perché certe cose non si possono dire davanti... ma lui pensa che sia meglio farlo piuttosto che fare i falsi. Non mi ha mai dato del falso, solo uno troppo educato, però poi sono punti di vista dato che io non lo vedevo come uno stronzo, ma come uno molto onesto.
- Sì lo so ma non riesco semplicemente a spegnere il cervello... - Risposi io coprendomi il viso con le mani perché sentivo di nuovo le lacrime pungere. Piangevo tanto con lui.
Cristiano, seduto vicino a me, mi prese e mi circondò le spalle col braccio ed io mi accoccolai contro di lui sul divano, mi baciò la fronte e un brivido mi attraversò lungo tutto il corpo fermandosi al mio inguine che cercai di ignorare.
Io lo abbracciavo e lo baciavo solo in campo, mi servivano delle scuse e per fortuna segnava tanto quindi ce la facevo. Non volevo chiedermi perché tutta quella voglia di baciarlo visto che non lo facevo con tutti.
Quel bacio sulla fronte mi fece piacere e mi rilassò.
- Quando semplicemente ti metterai a giocare perché sì, perché ti piace e non perché sei stato comprato per un sacco di soldi dopo aver vinto un Pallone D’oro e perché tutti si aspettano un certo gioco da te, allora vedrai che tutto tornerà a posto. -
Sospirai sentendomi oppresso perché ero convinto che quel momento non sarebbe mai arrivato, che non ci potevo riuscire perché non era nel mio DNA.
Girai la testa verso di lui nascondendo il viso contro il suo petto, fra il torace e la spalla, in quel posticino dove potevo fingere che non esistesse nulla. La sua mano risalì sulla mia nuca e si immerse nei miei capelli, adorava toccarmi i capelli. Lo faceva spesso, erano il suo anti stress ed io ogni volta mi sentivo in pace col mondo. Volevo lo facesse sempre. Mi carezzò così.
- Ho paura... ho paura che non succederà mai, che non sarò mai capace di farlo. Sarò sempre questa pallida imitazione che ogni tanto ha delle fiammate e si illude che tutto sia tornato a posto e poi... - A quel punto Cris, forse un po’ esasperato dal fatto che gli facevo letteralmente gli stessi discorsi da settimane e mesi, mi prese il viso fra le mani e mi guardò diretto negli occhi, da vicino.
A quel punto, proprio in quel momento, qualcosa accadde. Qualcosa fece click fra noi, nel nostro rapporto intendo. In quel momento limpido e cristallino sentii il desiderio di baciarlo e sperai che lui lo facesse. Non potevo più fingere e chiudere gli occhi e non farmi domande. Ora c’era solo una risposta. Volevo baciarlo, ero attratto e non solo fisicamente e sessualmente, ma anche emotivamente.
- Anche se tu non tornassi più quel Riky, sarai un altro e non sarai una pallida imitazione. Andrai bene come sei, andrai sempre bene come sei. Hai capito? Sei meraviglioso anche così. - Mi congelò le lacrime in quel momento, non piansi, rimasi ebete a fissarlo con le mani sul mio viso e la sua bocca così vicino e mi persi, mi persi totalmente perché volevo che annullasse la distanza, ma non lo fece. Rimase così fino a che annuii senza capire che mi aveva detto. Così poi mi tornò a posare la testa su di sé, mi prese con una mano le gambe all’altezza delle ginocchia e me le sistemò su di sé in modo da appoggiarle sulle sue in questa posizione dove avrebbe potuto raccogliermi come una principessa, mentre ero tutto abbarbicato su di lui. Misi una mano sul suo petto vicino al mio viso e toccai il suo corpo attraverso la maglia, respiravo il suo ancora molto forte profumo intossicante mentre chiudevo gli occhi e sognavo di sollevare il capo e baciarlo io.
Ormai avevo avuto la mia epifania, a quel punto sapevo come sarebbe finita e ne ero finalmente consapevole. Comunque non sarebbe stato facile lo stesso.