*Ecco un altro capitolo. Riky e Andry approfondiscono il loro rapporto realizzando che ti senti amato anche se non osi mai dirlo a voce alta, e Riky ad un certo punto si è sentito innegabilmente amato da Andry, ma lui è sempre stato particolare, diverso da chiunque altro e spesso capirlo è stato impossibile. Spesso l'ha capito solo molto tempo dopo. Le cose che racconta Andry qua su di sé sono vere. Buona lettura. Baci Akane*

5. ESSERE IMPORTANTI




A volte era come se in campo scaricasse tutta la rabbia e la tensione che tratteneva prima di scendere in campo, segnava con una furia assurda, come dribblava, come superava chiunque e segnava ad ogni costo. Cioè in area senti toccarti e ti fai cadere per prenderti il rigore, è una cosa normale. Però lui stava in piedi, continuava a correre, si girava e segnava.
A lui non importava nulla il rigore, il fallo, nulla.
Lui doveva segnare, punto e basta.
Era come una questione fra sé e il suo dio, chiunque esso fosse.
A volte mi preoccupava vederlo così, però poi lo vedevo corrermi incontro e abbracciarmi sorridente con la passione che riservava a me. Quella gioia che riservava a me.
Quando si è infortunato era a pezzi, l’ha presa malissimo ed ero seriamente preoccupato che si buttasse troppo giù.
Non l’ho mai visto così, non pensavo che fosse uno che si abbattesse per un infortunio.
Ho faticato un sacco a tirarlo su, quando gli ho chiesto se a casa sarebbe stato bene con Kristen, lui ha detto che non voleva vederla, non poteva stare con lei, che sarebbe andato da un’altra parte, che non ci pensava proprio ad andare da lei.
Così gli ho detto di venire da me quanto voleva, che tanto io non avevo problemi.
Quella volta così lui venne, ma non facemmo l’amore subito.
Passai gran parte della notte a tirarlo su, non fu facile. Era cupo, chiuso, rabbioso e depresso e non capivo quale fosse il problema.
Quella notte mi disse di lui più di mille altre giornate insieme.
Non voleva parlare, non voleva fare nulla, non sapevo come gestirlo, cosa fare, così ho cercato di tirarlo su con la mia dolcezza, rassicurandolo e dicendogli che un infortunio non era la fine del mondo, che sarebbe stato presto bene.
Lui non rispondeva, scuoteva la testa e stava seduto sul letto a stringere il lenzuolo e tirare come un forsennato fissando torvo e furioso la televisione spenta.
Non so quanto stemmo così, fino a che esasperato, dopo che avevo anche provato a baciarlo svariate volte senza successo, sbottai e dissi:
- Insomma Andry vuoi dirmi cos’hai? - Avevo perso la pazienza, non era da me e forse questo lo scosse. Lui si girò verso di me, seduto sul letto con lui, e ringhiò ostile:
- Tu non puoi capire! - Esclamò.
- E allora aiutami a capire perché questo stato per me è assurdo e non so che fare! -
- Io ho solo il calcio! Se smetto di essere quello che sono, non sono nessuno! - Silenzio. Solitamente si esagera, ma lui non era tipo da esagerare. Quello era una cosa completamente impossibile detta da lui, così capii che doveva esserci un fondamento profondo e grave dietro, così mi calmai, mi misi in ginocchio accanto a lui a guardarlo mentre lui ancora si ostinava a non guardarmi e dissi dolcemente:
- Andry ma cosa dici? - Silenzio. Mi sporsi per farmi guardare. - Andry tu sei molto più che un grande calciatore. A parte che un infortunio non ti toglie la tua capacità di giocare a calcio! -
- Nessuno è lo stesso dopo un infortunio grave! - Ringhiò.
- Non è vero, moltissimi tornano forti come prima! - Gli feci degli esempi pratici e così non disse più quella sciocchezza. A quel punto tornai a quello che stavo dicendo con più dolcezza, prendendogli le mani che finalmente non sfilò via rabbioso. Ma ancora non mi guardava: - Perché dici che sei solo un calciatore? Sei anche un uomo meraviglioso, puoi essere chiunque tu voglia, hai tutto. -
Era ricco, famoso, acclamato e comunque aveva ancora molti anni di ottimo calcio davanti a sé.
Lui scosse la testa e mi guardò sempre aggrottato ma meno rabbioso e finalmente dopo forse una vita intera ad ingoiare e non spiegare mai niente, si aprì con me.
- Noi lassù non abbiamo niente, Riky. Nasciamo poveri e pieni di problemi e cresciamo per diventare qualcuno, per riscattarci da adulti, per produrre, adempiere ai nostri doveri. E tu sai cosa significa perché anche in Brasile è così. Tanta povertà. Magari la tua famiglia è benestante, ma la mia no. Non è mai stato facile. Io avevo nove anni quando ci hanno fatto evacuare e ci hanno trasferiti dopo averci tenuti tutti in quarantena e sotto controllo, quando Chernobyl è esplosa. E credimi che certe cose non sono facili da capire e da vivere. - Quando Andry cominciò mi resi conto che avevo davanti un fiume in piena incapace di fermarsi, aveva contenuto per troppo tempo degli argini che non potevano più reggere una tale portata.
Lo ascoltai sfogarsi con rabbia fino alla disperazione e quando poi concluse in lacrime mi ritrovai ad abbracciarlo forte e piangere con lui per la portata delle sue emozioni devastanti.
Capii perché conteneva tanto, perché era sempre un fascio di nervi, perché sembrava un muro che camminava.
Capii che aveva paura di lasciare andare e tirare fuori e che quella calma che l’accompagnava, quella pacatezza che sfociava in freddezza era per arginare l’orrore che sentiva dentro.
Aveva faticato come un matto per arrivare dove era e conquistare ciò che aveva ed aveva il sacro terrore di perdere tutto in un attimo.
Quella notte capii il suo modo di giocare, come si trasformava in campo, perché giocava con tanta rabbia, forza e devastazione, perché non si fermava quando lo strattonavano o cercavano di buttarlo giù. Si rialzava sempre e tirava come un treno.
Capii tutto e lo strinsi senza sapere cosa dire, alla fine mi trovai ad usare il cuore come ho sempre fatto, spontaneo sperando di non sbagliare, di non esagerare.
- Quello che hai lo devi a ciò che sei. E ciò che sei lo sarai sempre. Potrai anche non giocare più a calcio, un giorno, o magari perdere il tuo tocco geniale, non so... può capitare, è vero. Ma quello non toglierà nulla alla ricchezza interiore che hai, che è molto più importante di quella materiale. - E comunque sarebbe stato tranquillamente benestante per sempre, ma sapevo che non era una questione economica la sua.
Era più una posizione sociale, un ruolo, essere qualcuno nel mondo dopo che non eri stato nessuno, dopo tutte le lotte fatte per conquistarsi il diritto di vivere, di stare con la testa alta.
Mi parlò tanto di quei sentimenti, di quelle paure, di come era venuto su convinto di dover far vedere a tutti che lui poteva essere il migliore in qualcosa, che era degno di rispetto e stima.
Doveva aver passato cose ignobili, io non penso di poter mai capire quelle cose perché è vero che sono fortunato, derivo da una buona famiglia e non ho provato la povertà che comunque dall’altra parte della strada in Brasile c’era. La vedevo, ma non la vivevo.
Lui ha vissuto tutte quelle cose che nessun bambino dovrebbe.
- Si pensa che la guerra sia la cosa peggiore che tu possa vivere, ma ce ne sono così tante che non immagini. Ricordo il suono di quella sirena sparata in tutte le città che sarebbero state evacuate. Sono state tante, la mia una di quelle. Quel suono io lo ricordo e ancora lo sogno. È un suono orribile. Penso sia come quello che suonano quando arrivano i bombardamenti e la città è assediata. Sono gli allarmi che quando li senti, li sentirai per sempre, poi. -
Eravamo stesi abbracciati, non facemmo l’amore, mi parlò di tutte queste cose e di Kiev e di come sia tutto difficile, prevalentemente poveri. Non solo a Kiev, in tutta l’Ucraina. Le opportunità sono scarissime e la felicità è sopravvivere, ma non dovresti essere felice se sopravvivi. Mi parlò con rabbia del governo colpevole di quella situazione atroce che non era giusta e del suo desiderio di entrare in politica, un giorno, per migliorare le sorti di un paese a cui era tanto legato.
E là il brutto è che ai vertici ci sono persone intolleranti che ti impediscono qualsiasi cosa, ti possiede, possiede la tua anima, non puoi fare nulla per te stesso se non è nelle loro regole. Se vuoi fare altro devi andartene.
Per essere felice devi andartene e per lui è stato così perché solo quando se ne è andato ha ottenuto successo, felicità, il rispetto, un ruolo.
- Hai anche una famiglia. - Dissi io perché volevo dire ‘hai me’ ma non potevo mettermi nel pacchetto.
- Sono felice di essere padre. Vedevo questa cosa come un dovere, ma quando tengo in braccio Jordan penso che lui non dovrà mai sapere come ci si sente a lottare per emergere e a prendere tutto come un dovere  supremo. - Sorrisi contento che alla fine una cosa derivata da un dovere l’avesse fatto stare bene.
- Potrai essere ancora padre. - annuì.
- Mi piacerebbe. Mi dà pace. - Mi sentii escluso da quello, mi sciolsi cercando un motivo per raccogliere le mie ferite, le ferite di uno che amava perdutamente qualcuno che forse non si sarebbe mai concesso l’amore.
Ma lui mi tirò giù di nuovo, mi voltò verso di lui, mi mise una mano sulla guancia come quando mi stringeva in campo dopo i goal e mi disse con uno sguardo intenso, penetrante e tormentato:
- E tu. - Fece poi. Io mi sorpresi trattenendo il respiro.
- Io? - Chiesi incerto. Appoggiò la fronte alla mia come facevamo spesso in campo. Il nostro modo di comunicare. Il mio cuore in gola.
- Tu sei la mia luce. Non ho mai detto niente di tutto questo a nessuno, non ho mai pianto. Se non avessi te sarei affondato. - Quello era meglio di qualsiasi ‘ti amo’, nel suo caso non potevo aspettarmelo, sapevo che non voleva dirlo, ma era ormai evidente che lo provava ed io pure.
Quella notte poi facemmo l’amore con dolcezza, io stetti sopra per evitargli certi movimenti e mi mossi su di lui come delle onde che diventano impetuose, lo sentii in modo diverso, trasportato da tutti quei sentimenti che ci eravamo scambiati.
Come dimentichi certe cose? Come le metti via, come le superi?
Quella notte ci unimmo come non mai.
Ero la sua luce, ero il suo fare, ero la sua ragione per tenere duro e non abbattersi a questo duro infortunio.
Passavo ore al telefono e venivo a trovarlo spesso anche se a casa c’era la moglie. Non potevo lasciarlo solo.
Andry si aggrappò molto a me ed io mi resi conto di poter essere altro che un cucciolo che insegue il padrone. Potevo essere la luce nelle tenebre di qualcuno.

Sai quando ti amano e non serve che te lo dicano, Andry poi quando tornò a giocare ben presto fu devastante come sempre, ma quello che ricordo con calore di quel periodo, quando lui non poteva giocare, erano le volte in cui mi diceva:
- Segna per me, so che ce la puoi fare, tu puoi fare tutto. - Era una cosa che cominciò a dirmi sempre da quel periodo e sentirglielo dire con la dolcezza ed un pizzico di tristezza mi colpiva e commuoveva.
Penso che la sua tristezza fosse congenita.
La nascondeva dietro calma, compostezza e gentilezza ed anche freddezza. Quella tristezza era il muro che mostrava al mondo ed ora, dopo quella notte che non potrò mai dimenticare, so che è sempre stato interpretato male ed ora solo io potevo vedere le cose bene, senza un vetro smerigliato a rovinare tutto.
Il mondo era un posto meraviglioso, per me, pieno di spunti di crescita e di occasioni che coglievo. Ottenni molto più di quello che osai mai immaginare, ma finchè ero con lui vivevo ogni istante con lui.
Quando mi convinse a sposare Carol anche se eravamo giovanissimi, due bambini, fu per soddisfare la sua paura che la nostra storia potesse diventare troppo forte, così forte da non poterla più tenere nascosta e controllata.
Per lui sarebbe stato una tragedia se in qualche modo fosse trapelata ed io non potevo vederla allo stesso modo, perché contava solo lui, ma mi convinsi che se lui poteva stare meglio se mi sposavo, allora mi andava bene.
Era una questione culturale, religiosa e familiare anche per me, solo che non era una priorità come lo era per lui.
Comunque la sposai.
Ora vedo le cose diversamente. Ora, a dire il vero, so di aver cambiato visione in merito mille volte, ma non è facile giostrarsi in certe cose, non c’è un manuale.
So che prima vedi come importante una cosa che poi non lo è più.
Col tempo io e lui ci siamo invertiti, ma questo è successo molto dopo, ormai la nave era salpata.

Quando ami qualcuno, quando arrivi ad amarlo in quel modo, a vivere per lui, ad essere ciò di cui lui ha bisogno tanto da crescere in fretta per potergli stare vicino, essere utile, aiutarlo e farlo stare bene. Quando vivi in funzione di una persona senza nemmeno farlo apposta, quando lo fai perché ti viene, perché altrimenti non ti sembra di essere completo.
Quando riesci ad amare e ad essere amato in quel modo tanto che non vi serve di dirvelo e quando poi lui se ne va troncando in modo netto e deciso senza spiegazioni.
Quel momento ti cambia.
Ti cambiano le persone, è vero, ma anche ciò che vivi con loro e, spesso, cosa ti fanno.
Le gioie e le sofferenze, i passi che fai per quelle persone e quelli che ti fanno fare a forza.
A volte, però, faresti a meno di quelle crescite e di quei cambiamenti.
Non posso dire se sono cambiamenti giusti o sbagliati, è vero che grazie a quelli arrivi ad ottenere qualcosa che in seguito ti arricchisce e diventa vitale ed essenziale e guai se non l’avessi vissuto, poi, e succede grazie a quelle gioie e a quei dolori.
Ma è vero che quello che avevamo era così bello che se fossi stato diverso, più forte, più coraggioso, forse la mia storia, la mia vita sarebbe diversa ma sono convinto sarebbe stata meravigliosa comunque, sarei lo stesso felice come lo sono ora.
Ma la mia strada è stata questa, la mia vita è andata così.
E lui, quell’estate del 2006, semplicemente se ne andò dopo alcune settimane di freddezza e di muro, quel muro vero e non di quelli che tutti potevano fraintendere perché non conoscevano il vero Andry.
Cercai risposte forse poco convinto, quando non me ne diede semplicemente sprofondai nel dolore incapace di risalire.
Avrei dovuto obbligarlo a rispondermi, inseguirlo in capo al mondo, disposto a tutto. Avrei dovuto fare tante cose diversamente.
Ma alla fine non ero quello che sono ora, ed ora sono questo, sono quello che insegue ad ogni costo solo grazie a quello che ho patito allora.
All’epoca il dolore fu così sordo ed io ero così fragile che mi spezzai convinto di non potermi rimettere in piedi.
Quello mi cambiò al pari dell’incontro con lui. La separazione fa tanto, la separazione crea scudi e barriere inscalfibili. O quasi inscalfibili.



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Note: Poco prima di scrivere la fic, avevo trovato un video del periodo di Andry e Riky al Milan, era quando Andry si era fatto male e non poteva giocare da un po', così in trasmissione con Riky lo hanno chiamato e la voce di Andry è di una tristezza e dolcezza infiniti, e diceva precisamente 'mi devi fare un favore domenica, so che ce la farai, tu puoi tutto Riky'. Che mi ha colpito moltissimo. Ecco il link per sentirlo: https://www.youtube.com/watch?v=3_MSSp7bko8