*Ecco un nuovo
capitolo. Il precedente Andry decideva di andare al Chelsea e lasciare
il Milan, Riky non prende bene la notizia e dopo aver provato a
convincerlo senza risultati, i due si separano per un po' e questo
dolore cambia inevitabilmente Riky, lo cambia profondamente. Ma la
vita, se tu sbagli, ti dà molte opportunità per correggere i tuoi
errori. Buona lettura. Baci Akane*
6. I MOMENTI CHE TI CAMBIANO LA VITA
Passai le notti e le
giornate a piangere, chiedendo perché avesse deciso di farlo così.
Quando seppi che se ne
andava, che aveva firmato per il Chelsea, andai da lui in lacrime.
Kristen e Jordan erano
già a Londra, le voci dicevano che era stata lei ad insistere e Andry
non aveva avuto la spina dorsale di opporsi, i tifosi lo chiamavano già
traditore convinti che fosse stato lui a volersene andare, lo
fischiarono a lungo prima di farsene una ragione.
Io so quanto era legato
al Milan e a me, quanto stava bene lì.
Per me era
inconcepibile che se ne andasse così senza dirmi nulla.
Corsi da lui in
lacrime, incapace di parlare e dire cose di senso compiuto.
Entrai come una furia
in casa sua e lo riempii di pugni sul petto scuotendolo poi mentre gli
tenevo stretta la maglietta. Lui era lì fermo, inerme, impassibile a
farsi fare.
Non riuscivo a dire
altro che:
- Come hai potuto? Come
hai potuto? -
Alla fine lui non disse
nulla per un bel po’, poi mi strinse forte forte per fermarmi, perché
sembrava sarei potuto esplodere malamente. A quel punto mi tolse il
fiato e le forze e le ginocchia mi cedettero, mi sostenne di peso e mi
accompagnò sul divano dove ci sedemmo sempre abbracciati.
Mi teneva il viso fra
le mani e poi premuto contro il proprio collo, mi cullava e appoggiava
la testa alla mia dolcemente.
- Ssss - Faceva. Per
calmarmi.
Dio come si fa a stare
tanto male?
Poi di momenti
terribili ne ho passati ma quello fu il primo davvero doloroso ed il
primo non si scorda mai, così come il primo amore.
Non so quanto ci mise a
farmi smettere di singhiozzare e calmarmi, dopo un tempo infinito mi
disse calmo e lento, in quel suo italiano sempre stentato come il mio,
ma che ci faceva capire bene.
E lui aveva una parlata
dolce al contrario delle sue apparenze:
- Ti prego, devo
andare. Devo farlo. - Scossi la testa, il sussurro spezzato.
- Non capisco perché...
-
- Perché sto perdendo
il controllo. Sta diventando troppo da gestire e non posso... io non
posso lasciarmi troppo andare... - Per me non aveva senso, era un
tradimento imperdonabile, era lui che sceglieva una vita sicura e finta
di facciata perché così doveva piuttosto che me, me che amavo e che lo
rendevo felice.
- Non voglio che scegli
me, mi basta che mi resti vicino... - Lo implorai alzando la testa, lo
guardavo supplichevole, le lacrime agli occhi. Lui mi fissava con la
voglia di cedere, impossibilitato a farlo.
- Non posso, stai
diventando tutto il mio mondo, sto perdendo me stesso, ho troppi doveri
e responsabilità e... - Lo baciai con disperazione, quel bacio era
salato e amaro insieme.
- Continueremo a
sentirci? Faremo in modo di vederci, ci riusciremo. - Non volevo
sentire e capire, non mi interessava, mi bastava non mi lasciasse.
Andry assaporò la mia
bocca, le mie labbra tremanti, mi prese il viso fra le mani e strinse
gli occhi, trattenne il fiato, mi respirò, mi tenne a sé. Poi mi separò
e con fermezza e dolore, disse:
- So che non capirai
mai e che ti sto facendo male, ma deve finire qua. Ti avevo detto che
era una cosa che iniziava e finiva qua, che poi non ci sarebbe più
stato un noi. Per questo ci siamo sposati e facciamo una famiglia
nostra, perché c’è altro oltre questo. - Ma per me non c’era e non ci
sarebbe mai stato.
Fu un duro colpo,
durissimo e atroce.
Cercai di spogliarlo
per fare l’amore con lui un’ultima volta, mi fermò stringendomi le mani
sulla sua bocca.
- Se lo facciamo ora,
non riuscirò più ad andarmene. -
- E non devi farlo. -
- Devo. - Ricordo il
sussurro mentre mi baciava le mani strette nelle sue. Ricordo le sue
labbra che tremavano, ricordo la fronte sulla mia, gli occhi persi
pieni di lacrime, la disperazione.
Non capivo, non sapevo
perché, sapevo solo che non voleva davvero farlo.
Ma io non ho mai capito
il suo senso del dovere, non credo che ci sono mai riuscito in realtà.
Andry aveva deciso e
pur di portare a termine la sua scelta, che era per lui tanto
importante, non mi aveva detto nulla prima per impedirmi di fargli
cambiare idea.
Ma io sapevo che non
sarebbe andata bene. Io lo sapevo che non sarebbe più stato felice,
perché ero io la sua felicità e lui, in quel momento, era la mia.
Quando soffri così,
quella sofferenza ti cambia.
Ti rinforza, è vero, ti
fa crescere. Ma ti cambia.
Mi chiusi e promisi,
anzi giurai a me stesso, una volta rimesso faticosamente in piedi, che
non avrei mai più permesso a niente e nessuno di ferirmi così, perciò
non avrei mai permesso a nessuno di farsi amare così, non avrei mai
permesso a me stesso di amare qualcuno in quel modo.
Ero sposato con Carol,
avrei fatto dei figli, eravamo simili in tante cose, lei mi amava, era
bella e perfetta.
Mi bastava, specie
perché sapevo che non avrei mai potuto amarla ed io non volevo amare
nessuno in quel modo.
Mi resi conto di essere
bravo a fingere e molto convincente, di avere una natura dolce,
romantica, sensibile e che mi ci voleva poco per convincere qualcuno
che lo amavo.
Convinsi per anni lei,
le nostre famiglie, il mondo intero, la società, chiunque. Lei era
molto innamorata, per me non era difficile essere dolce e gentile e
quello, ho capito ben presto, poteva venire facilmente scambiato per
amore.
Chiedevo perdono a Dio,
ma la rispettavo non tradendola più, provvedevo a lei, adempivo ad ogni
dovere di marito. Mi ero raddrizzato, non ero felice come quando lo ero
stato con Andry, ma facevo quello che era giusto. Finalmente ci
riuscivo. Da quel lato mi sentivo meglio con me stesso e forse mi
aggrappai alla cosa che per egoismo e sentimenti avevo messo da parte,
ormai non avevo più motivo di calpestare la mia fede, non c’era niente
di così forte in grado di farmene dimenticare e dire ‘ok, non posso
farne a meno’.
Sapevo che Andry non se
la passava bene. Seppi che il presidente non aveva premuto per
venderlo, ma il Chelsea di Mourinho aveva fatto di tutto per averlo,
forse è vero che passarono per Kristen e convincendo lei, convinsero
lui.
Le pensai tutte perché
appena lui mise piede a Londra nessuno vide più quell’Andry.
Lo zar. Il mio zar.
Nessuno vide più quel
calciatore formidabile e non perché aveva dimenticato come si giocava a
calcio, ma perché era evidentemente depresso e dopo una stagione la
depressione era così lampante che fu impossibile ignorare che aveva un
problema.
Stava così male lì, era
così infelice, che non gli importava nemmeno più del calcio che
era un tempo la cosa che per lui contava di più perché gli aveva
permesso di ottenere ciò che aveva tanto faticosamente conquistato. Un
ruolo, il rispetto, l’importanza.
Ed ora quelle cose non
contavano più, il calcio non lo rendeva nemmeno più felice, non lo
aiutavano a sfogare ogni sentimento represso.
Andry era preda di una
tristezza evidente ed infinita al punto che la società stessa che
l’aveva voluto intensamente, decise di lasciarlo tornare indietro.
Quando sentii che
voleva tornare e che sarebbe venuto in prestito un anno, mi sentii
svenire.
È come quando il mondo
ti crolla addosso, tu ci sali faticosamente sopra e risali e poi torna
a sparire di nuovo dai tuoi piedi e tu sei lì. Lì a fluttuare e ti
chiedi se troverai un altro pianeta su cui vivere.
La sensazione fu
quella.
I momenti ti cambiano
la vita, dicevo.
Anche quello fu uno di
quelli.
Quell’anno me la
cambiò, mi resi conto lucidamente di quanto il dolore da lui arrecato
mi aveva indelebilmente cambiato ed ero consapevole che non potevo più
tornare come prima perché, semplicemente, non volevo più.
Quanto dolore può
sopportare una persona?
Sapevo di non poter più
chiedere altro da me stesso, o meglio ne avevo il terrore.
Avevo il terrore di
dare di nuovo e di nuovo di soffrire in quel modo. Sapevo di non
potermi rialzare.
Quando soffri in quel
modo, quel dolore ti segna per sempre e non ci puoi fare nulla, ma te
ne rendi conto dopo. Quando provi a riaprirti a qualcuno e ti accorgi
che non ci riesci perché ne hai troppo paura.
Andry tornò in una
giornata di pioggia estiva, se ne aveva parlato un sacco ma io non ci
volevo credere, spesso sono cose che si dicono e non puoi dare retta a
tutto. In realtà penso di non averci voluto credere.
Alla fine di Agosto del
2008, Andry tornò in prestito.
Pioveva quel giorno ed
io ero a casa perché il ritiro estivo era finito ed era ricominciato il
campionato.
C’era afa ed era tutto
aperto nonostante la pioggia, io ero seduto sul portico e guardavo
fuori dalla mia di certo non piccola casa, ero solo perché Carol con il
piccolo arrivato, Luca, si erano trattenuti un po’ in Brasile a casa di
lei.
La pioggia mi è sempre
piaciuta, di solito rende malinconici, a me rilassa. È come una
benedizione per me, mi sento purificare quando mi bagna.
Ero in subbuglio per le
mille voci di mercato ed alla fine era tutto lì così, verrà o non
verrà?
Non mi aveva mai
chiamato e scritto, per cui non ci volevo credere che lo facesse,
perché se fosse successo non poteva avvenire così.
Nessuno ha mai saputo
di me e di lui, è sempre stata una cosa super segreta e forse in parte
non ci ho creduto nemmeno io, dopo che mi sono rialzato.
Forse mi sono sempre
illuso, forse non è mai stata così come la vedevo.
Forse non so.
Tuonava, quei temporali
potenti che durano mezz’ora, un’ora al massimo, che viene giù il cielo
con un gran baccano, vento, tuoni, danni di tutti i tipi.
Probabilmente dentro
era allagato, non me ne importava.
Ero troppo preso da
quel caos che stavo vivendo, un caos interiore dove non sapevo cosa
fare, come comportarmi.
Ero tutto zuppo
nonostante fossi sotto il portico e vidi davanti al cancello del
giardino una macchina fermarsi, una persona scendere accostarsi al
campanello per cercare di leggere e suonare.
Mi alzai titubante, da
lì vedevo chiaramente il cancello che era di fronte a me in linea
d’aria.
La pioggia era grossa,
scrosciava di sbieco.
I lampi illuminavano
tutto a tratti e poi il rombo faceva tremare tutto, l’aria stessa.
Non ricordo che momento
della giornata fosse.
Ricordo però che mi
alzai in piedi lentamente, andai al bordo. Ero bagnato, dovevo esserlo
abbastanza, ma quando misi a fuoco la sua figura il cuore iniziò ad
andare a tremila all’ora e mi ritrovai scalzo a camminare fuori
sull’erba impantanata. Era più simile ad una melma in quel momento.
Ero bagnato fradicio,
lui aveva una giacca a vento con un cappuccio.
I suoi capelli biondi
erano lunghi e ricadevano intorno al viso, il ciuffo bagnato.
Lento come un fantasma
arrivai al cancello chiuso che ci separava, mise le mani sulle sbarre
di ferro battuto, io vi ero davanti, ci guardammo in silenzio come in
un sogno, increduli di essere finalmente lì.
Pioveva troppo, non so
se quelle sul suo viso erano lacrime o pioggia. Io ero troppo sotto
shock per ricordare cosa feci.
Però misi le mani sulle
sue, sul cancello, ed in quel contatto tornai in me.
- Quindi sei davvero
tornato... -
- Arriveranno le firme
a breve, le solite cose... - Disse come se i dettagli fossero poco
importanti. E lo erano, perché ora era lì davanti a me, un cancello
solo a separarci e non sapevo cosa dire.
Tanta sofferenza, tante
cose che avrei voluto dire quando lo chiamavo e non mi rispondeva. Ora
l’avevo lì e non sapevo cosa dire, non mi veniva nulla.
- Perché sei tornato? -
Chiesi infine.
- Non mi fai entrare? -
Così mi riscossi realizzando che pioveva davvero tanto, ero zuppo e un
fulmine poteva anche colpirci a momenti. Mi riscossi e annuii correndo
in casa per aprirgli col pulsante. Prima di farlo mi fermai dentro, le
mie impronte dietro di me, il rumore delle mie goccioline che
scorrevano scivolando a terra. Mi strofinai il viso e la bocca con la
mano, fissando shoccato ed agitato davanti a me, senza ricordarmi come
si apriva quel cancello.
- Cosa diavolo faccio
ora? - chiesi nel panico a me stesso. - Intanto apro. - Mi risposi. -
Poi vedrò. -
Poi avrei visto eccome.