*Ecco un altro capitolo. Andry è tornato dal Chelsea al Milan in prestito per provare a riprendersi ciò che di prezioso ha perso e capito troppo tardi d'aver sbagliato a lasciar andare, ma bisogna vedere se il dolore patito da Riky gli permetterà di rimettersi semplicemente con lui o meno. Di sicuro rivedersi così dopo tutto quel tempo è una bella botta emotiva. Buona lettura. Baci Akane*

7. SPONTANEO E INEVITABILE





Quando lui entrò dopo qualche istante, si fermò dietro, anche lui era bagnato. Si tolse il cappuccio e si aprì la giacca senza smettere di fissarmi. L’acqua mi appiccicava i capelli ed i vestiti estivi, i piedi scalzi sporchi di fango, lui si tolse le scarpe ma vicino alle finestre aperte che facevano corrente c’era acqua che entrava, il vento faceva aria, i fulmini facevano tremare un po’ tutto. Ci guardammo a qualche metro di distanza, fermi, quasi non respiravamo.
Cosa dirgli? Cosa chiedergli? Cosa fare?
Ma i suoi occhi erano quelli gentili e dolci di sempre, quelli che con me lo erano sempre stati. E tristi, molto più tristi di come  quando era qua con me.
Così tristi che non sapevo dirlo. Straziato.
Avevo sentito che era depresso a Londra, la rabbia nei suoi confronti mi aveva fatto andare avanti ad un certo punto fino a dire che se davvero era stata la moglie, avrebbe dovuto tirare fuori le palle, ma mi ricordavo che aveva detto che doveva andare, che non riusciva più a controllare la nostra cosa, e poi era andato e si era perso le cose importanti, ogni scelta, ogni percorso era andato a quel paese dopo quella scelta ragionata.
Ed ora era lì.
Quanto male ero stato?
Quante lacrime versate per lui?
Quanta sofferenza inghiottita da solo perché non aveva mai voluto rispondere alle mie chiamate, mai più rivedermi?
Ed ora era lì, i capelli lunghi gli stavano bene, la sua pelle chiara, gli occhi dal taglio felino, di quel bel colore dorato quasi. Il suo corpo sempre forte, le sue mani sempre sicure.
Non dovevo, non volevo, esigevo risposte, ma il mondo sparì quando un tuono portò via la luce, si vedeva lo stesso ma sussultammo ed il secondo dopo eravamo a baciarci avvinghiati uno all’altro anche se sapevo che non era giusto e non se lo meritava.
Le nostre lingue si avvolgevano una all’altra, le bocche si fondevano, ci respiravamo ansimanti, le mani si frugavano faticosamente fra i vestiti. I suoi più facili da togliere, i miei più difficili.
Fui il primo a prendere la sua maglia e a levargliela, quello funse da incentivo, come la scintilla che prende la miccia e tutto esplode in poco tempo.
Le sue mani lottarono con la mia maglia appiccicata, lo aiutai a liberarmi, poi mi prese per la vita, mi sollevò e avvolsi le gambe intorno ai suoi fianchi mentre mi teneva su e stringevo le braccia intorno al suo collo.
Tornammo a baciarci mentre mi portava frettolosamente e frenetico dentro alla ricerca di un posto dove farlo, dove prendermi e farmi suo. Volevamo andare in camera ma trovammo più pratico il tavolo in quel momento, mi mise sopra, mi stesi sulla schiena aiutandolo a tirarmi via i pantaloni ed i boxer, mi presi le ginocchia contro il petto, lo vidi abbassarsi i pantaloni e tirarsi fuori l’erezione, lo vidi leccarsi la mano, strofinarsela addosso, infilarsi il dito in bocca, mettermelo dentro e così in un attimo, come se sarebbe morto se non l’avesse fatto subito, Andry entrò e finalmente tornai a respirare e sentirmi meglio. Iniziò subito a muoversi mentre tornavo ad avvolgere le gambe intorno a lui, mi teneva, mi inarcavo, entrava ed usciva frenetico affondando sempre più forte, i gemiti riempirono la stanza sovrastando i rumori del temporale fuori.
Fu un orgasmo intenso e pazzesco, un orgasmo impossibile da replicare, venimmo quasi insieme.
Ricordo solo che poi, sempre avvinghiato a lui come un koala, mi portò a letto e prima di mettersi con me, andò a chiudere porte e finestre lasciando il fresco e la pioggia fuori.
Sempre nella penombra del blackout, tornò nel letto con me, si stese e mi baciò dolcemente carezzandomi i capelli ancora bagnati e spettinati.
Ero confuso e nella pace dei sensi insieme, lo guardavo incredulo di cosa fosse successo e di cosa dovessi fare.
- Sei tornato davvero. - Ripetei cercando di fare mente locale.
Lui era steso accanto a me, appoggiato ad un braccio piegato che reggeva la testa e l’altra mano mi carezzava dolcemente.
- Ho sbagliato tutto. Non sarei mai dovuto andarmene. Ma a volte capisci quello che hai quando lo perdi. Anche se nel mio caso sapevo di perdere tanto. Più che altro a volte capisci di aver sbagliato dopo che l’hai fatto. Pensavo fosse tardi per rimediare e forse lo sono davvero, ma non mi sarei mai perdonato se non avessi riprovato. Sai... non me ne sarei mai fatto una ragione. Ho deciso che se non funzionerà tornerò a Kiev e basta. Non importerà più niente, ma dovevo riprovare... a... a riprendere tutto quello che avevo perso. Le cose più preziose. Quando giocare a calcio mi rendeva felice perché tu correvi ad abbracciarmi. Quando ogni momento libero eravamo insieme. -
Andry non parlava tanto prima. Pensai subito che le persone cambiano dopo certi momenti.
Quanta voglia di parlarmi aveva avuto? Era pazzesco come si era torturato e mutilato da solo convinto di doverlo fare.
Improvvisamente capivo bene tutto quello che non avevo capito, ero diverso, ero cresciuto e vedevo ciò che prima non volevo vedere.
Non condividevo le sue scelte, ma erano più chiare.
- Io sono stato troppo male, Andry. - Dissi rendendolo chiaro a me stesso. Andry capì subito che quel ‘troppo’ era la parola chiave.
- Capisco se non te la senti. -
- È.... È solo che mi serve tempo. Devi darmene perché sei capitato qua come... come un temporale estivo e... - Sorrisi per l’assonanza perfetta. Lui fece altrettanto.
- Non voglio metterti fretta, lo capisco. Va bene. -
- È stato bello e spontaneo ed inevitabile, ma devo riflettere perché io... io così male non so se... non so se posso tornare e certe cose non si cancellano con un bacio ed una cosa come questa... - Bellissima e meravigliosa.
Ascoltava attento ogni parola ma vedevo che il tormento e la tristezza di prima stavano andando via mentre stava steso a letto con me. Ero la sua forza vitale e forse lo sarei sempre stato. Ma io non ce la facevo, avevo troppa paura di stare ancora così male. La sofferenza aveva chiuso qualcosa dentro di me, forse l’amore per lui che non volevo liberare più, non lo so.
Quel che so è che fu sconvolgente il suo ritorno e non lo digerii facilmente.

Quella notte rimanemmo lì insieme a dormire, il mattino mi accorsi che si alzò dopo avermi carezzato e baciato dolcemente. Poi lo sbirciai muoversi per casa come se fosse sua, nudo e splendido.
Stava divinamente coi capelli lunghi. Potevo fare finta di nulla, come se non ci fosse stato nulla prima, come se non ci fossimo interrotti mai.
Però in realtà non sapevo se potevo davvero. Il terrore che poi tornasse a finire, di tornare a soffrire.
Alla fine un momento di cedimento c’è sempre, ma quando sei stato tanto male subentra lo spirito di autoconservazione e penso che fu questo con lui.

Per un po’ rimasi per conto mio a riflettere, confuso sul da farsi. Aver fatto l’amore era quell’addio di cui mi aveva privato, però non ero sicuro di cosa volevo fare.
Poi dopo averci pensato un sacco, decisi di parlargli e chiedergli qualche chiarimento, perché me lo doveva.
Comunque vedendolo ogni giorno era difficile mantenere le distanze e al contempo avvicinarmi di nuovo, ero dilaniato, a volte volevo lasciarmi andare e riprovarci, altre volevo solo scappare.
Quell’anno il Milan era composto da nomi stellari e per Andry non c’era molto spazio, ma avevamo vinto la settima Champions l’anno prima e quindi tutti volevano giocare al Milan, io avevo vinto il mio primo Pallone D’oro e insomma le cose andavano in un certo modo, ma per Andry non c’era molto spazio eppure sembrava non importargliene. Ripenso oggi alla premiazione per il Pallone D’oro che ho vinto e al Fifa World Player, vinto sempre da me, dove dietro di me c’era Cristiano. Sorrido. A volte il destino è strano, ci presenta dei segni che ignoriamo, ma a volte non siamo pronti.
Eppure posso davvero dire di non averli colti quei segni? Perché se devo essere onesto ci fu un istintivo feeling fra noi in quelle occasioni, specie durante le preparazioni alle cerimonie, durante le press. Un feeling che mi fece scattare qualcosa nel profondo di me, qualcosa che mi spinse a chiedermi di nuovo se fosse stato Andry l’unica eccezione della mia vita o se fossi gay in generale, o bisessuale insomma.
Perché ho pensato spesso che Cristiano fosse molto carino e simpatico e mi era piaciuto tanto parlare con lui. Ricordo una delle nostre partite Milan-Manchester United quando ci eravamo salutati tenendoci la mano uno accanto all’altro, come una tenera coppia che cammina mano nella mano.
Chissà, a volte il destino ci mette lo zampino, ci prepara al futuro.

Sentii una sua conversazione privata con Ancelotti, il nostro allenatore di quell’epoca. Carlo ci conosceva bene, era stato il mio primo allenatore al Milan, era lì dagli stessi anni in cui ero io e si vociferava come per me che presto o tardi sarebbe arrivata l’ora di lasciare il club anche se entrambi non volevamo. Io ne ero certo, lui non tanto.
Avevamo finito gli allenamenti e i ragazzi andavano via alla spicciolata, io ero da alcuni giorni che mi chiedevo se dovessi parlare meglio con Andry per capire cosa fare con lui. Lui era lì in prestito per una stagione, non era detto che sarebbe rimasto perché non trovando spazio per giocare non poteva nemmeno tornare ai suoi fasti e di conseguenza farsi riacquistare.
Però non sembrava tanto preoccupato per quello.
Carlo quel giorno lo chiamò e lo prese in parte, quando li sentii non li volevo spiare, inciampai per sbaglio e capendo che erano loro finii per ascoltare.
- Sai che se non fai di più nelle occasioni che hai non posso darti più spazio, vero? Lo spazio per giocare te lo devi conquistare e devi fare di più. - Carlo era molto amichevole e paterno, fare certi discorsi non gli piacevano. Sono sicuro che gli piaceva ancora meno farne a lui.
- Lo so mister, non voglio trattamenti di favore per il nostro passato. Mi sta bene essere trattato come merito. - Tipica risposta gentile e tutta d’un pezzo di Andry. Strinsi le labbra scuotendo la testa appoggiato al muro dietro l’angolo.
- Non era la risposta che volevo, Andry. - Disse sinceramente Carlo, lo sentivo dispiaciuto di quel dialogo.
- Non capisco... - Ma Andry capiva e capivo anche io.
- Dov’è la rabbia e la grinta di una volta? Ti ho lasciato che eri una tigre, ti ritrovo che sei un gatto spaurito... - A volte essere un bravo allenatore non è facile, devi trovare il modo giusto di parlare a tutti in base a chi sono e a come puoi stimolarli e a cosa stanno passando.
Una volta nessuno avrebbe osato parlare così ad Andry, suscitava timore, rispetto anche se non era aggressivo con chi lo circondava, anzi, ma dava comunque sempre l’impressione di non poterti approcciare a lui in certi modi. Quella distanza glaciale che aveva con tutti. Ora era sempre distante e chiuso, ma triste. Quella tristezza depressiva se l’era portata dietro da Londra.
- Sono tornato per vedere se la ritrovo... - Mormorò Andry abbattuto, me lo immaginavo con la testa bassa e le mani dietro la schiena. Mi venne da piangere in quel momento e capii che dovevo fare qualcosa anche se non ero sicuro di volermi rimettere con lui.
Comunque qualcosa per lui dovevo farla.
- La stai cercando davvero, Andry? - Carlo era allegro e spensierato, ma sapeva essere anche molto sentimentale e filosofico. Diciamo che si è sempre adattato ad ogni circostanza tirando fuori il mode giusto, ecco.
- Farò del mio meglio. - Disse sempre abbattuto Andry sentendosi in colpa, come se fosse lui a non volerne uscire.
- Non è una cosa che puoi ritrovare da solo, è una di quelle cose che puoi ritrovare solo se qualcuno ti aiuta. Vorrei poterlo fare. - Carlo non aveva paura di parlare a nessuno, l’ho sempre ammirato.
- Non penso che lei possa farlo. - rispose lui, anche questo era tipico suo, metteva le distanze già di partenza.
Rimasi lì impietrito mentre dopo poco vidi spuntare Andry perché doveva aver finito di parlare con il mister. Si fermò mentre io ero lì appoggiato con quell’aria triste e preoccupata da cane bastonato. Ci fu un bel silenzio a quel punto fra noi, mentre ci guardavamo senza sapere bene che fare. Poi dissi semplicemente:
- Dobbiamo parlare. - Ed era inevitabile.
Sapevo di volerlo aiutare, non importava altro, volevo solo aiutarlo perché l’avevo amato e sicuramente l’amavo ancora perché non si smette di amare, chiudi quell’amore per paura di stare male, ma non smetti.