NOTE: non poteva non arrivare la fic sulla semifinale sincaraz di Indian Wells 2024! Fa seguito alle altre che ho scritto su di loro, perciò va diretta in ‘Bocca e capelli’. Ho intrecciato la realtà di ciò che effettivamente è accaduto durante la loro partita (pioggia e caduta) con le mie sfrenate fantasie sulla loro assolutamente meravigliosa relazione. Come sempre specifico che sono visioni personali, nulla di ciò che è romanzato corrisponde al vero, è tutto frutto di mia fervida fantasia ed i personaggi sono reali e di loro stessi. Io scrivo solo perché non ho di meglio da fare in questo periodo (e anche se l’avessi, scriverei lo stesso). Grazie a chi legge e segue, per sapere se e quando scrivo (o magari seguire i miei sproloqui) c’è sia una pagina su FB, che una su Tumblr. Buona lettura. Baci Akane
Finito di raccogliere le proprie cose, Jannik si voltò per avviarsi all’uscita del campo e nascose a stento una risatina notando che Carlos era lì in mezzo ad aspettarlo davanti all’intero stadio, presumibilmente da un intero lunghissimo minuto.
L’aveva visto avviarsi ben prima di lui e non ci aveva fatto caso, Jannik si era attardato ma a quanto pareva Carlos non poteva andarsene da solo.
Quando si affiancarono, il suo adorabile ‘Piccolo Pazzo’, come ormai lo chiamava sempre più spesso, riprese a camminare verso il tunnel che li avrebbe portati al coperto in attesa della fine della pioggia.
- Sapevo la strada, sai? - commentò ironico Jannik, Carlos in risposta illuminò il viso in uno dei suoi splendidi sorrisi che all’Italiano piacevano tanto.
- Sai perché piove, vero? - rispose invece l’altro come se non avesse fatto dell’ironia circa il suo aspettarlo davanti a tutta quella gente.
- Perché finalmente ci potevamo scontrare in campo? - ma lui sapeva perfettamente quel che la sua testolina aveva partorito, non perché lo pensasse anche lui, bensì perché lo conosceva.
Gli aveva fatto una testa così con quella storia per tutti i mesi che avevano separato le loro partite, tanto che quando finalmente avevano visto che avrebbero di nuovo giocato uno contro l’altro, Carlos era stato l’essere più felice della Terra.
Non perché convinto di potersi prendere la rivincita, era ancora fermamente convinto che Jannik fosse più forte in quel momento, ma a lui semplicemente piaceva da matti giocare contro il suo rivale preferito, non importava quali erano i loro livelli. Gli piaceva e basta.
Jannik non pensava minimamente di essere più forte, ma lo lasciava dire perché tanto in certi casi erano parole sprecate.
I due tennisti avversari solo sul campo uscirono insieme ridendo e parlando allegramente come se non fossero ad una semifinale di un Master 1000.
Quando Jannik era con Carlos nelle loro vesti ufficiali di rivali diretti, gli venivano in mente le parole che Djokovic aveva spesso ripetuto in relazione al suo rapporto con Nadal o Federer. Spesso nel corso della loro carriera gli avevano chiesto se i leggendari Big Three fossero amici oltre che rivali, come davano a pensare poiché non avevano mai fatto mistero d’avere uno splendido rapporto, specie Novak con Rafa. Lui aveva sempre detto che finché erano giocatori era difficile pensare di essere amico di un proprio diretto rivale, ma era sicuro che appena avrebbero appeso le racchette sarebbero usciti insieme a cena divertendosi da buoni amici.
Erano risposte che aveva dato più di una volta poiché la domanda gli era stata rivolta spesso e Jannik, da quando era diventato intimo con Carlos, ci pensava.
Aveva ragione lui a dire che se eri rivale di qualcuno non potevi essergli amico, e nel loro caso qualcosa di più?
Quando ci pensava, però, si scontrava sempre puntualmente con Carlos, spesso anche in senso letterale, come in quel caso, per esempio, che imboccato il tunnel del palazzetto sportivo si era piantato improvvisamente per chiedergli se dovevano andare negli spogliatoi o aspettare lì.
- Diceva che questa pioggia non dovrebbe durare molto, forse è meglio aspettare qua... - disse logico Jannik posando giù i borsoni che si era caricato sulle spalle. Carlos gettò i propri a terra con un gran tonfo accompagnando al gesto un delizioso broncio di cui lui sapeva perfettamente il motivo.
Carlos non era minimamente d’accordo con l’ideologia di Novak, era bensì più in linea con Rafa che si era da sempre dichiarato apertamente amico sia del Serbo che in particolare di Roger. Non ne aveva mai fatto mistero e non aveva mai avuto paura di dirlo.
Carlos come Rafa non aveva dubbi sul fatto che non ci fosse niente di male nell’essere amico del proprio miglior rivale, anzi, le due cose non si rovinavano a vicenda.
- Tanto anche se andiamo negli spogliatoi non faremo quello che speri, siamo nel pieno di una semifinale! - dovette ammonirlo e ricordargli che in quel momento magari erano solo rivali.
Solo rivali, si ripeté fra sé e sé divertito, ridendo da solo per l’assurdità di quel che aveva pensato.
“Come se potremmo mai essere solo rivali. Anche quando giochiamo si vede troppo che siamo altro. Io ancora ancora riesco a staccare la testa e concentrarmi solo sulla partita e sul fatto che sto cercando di batterlo, lui no, non ci riesce e lo so perché ormai lo conosco così bene che riconosco alla perfezione ogni suo gesto, espressione, modo di fare.”
L’avrebbe visto ancora meglio dopo, quando durante uno scambio fra loro particolarmente difficile e spettacolare invece di stizzirsi per averlo perso, Carlos avrebbe riso entusiasta come fossero in una partita d’esibizione e fossero lì per divertirsi e divertire.
Jannik sapeva come la pensava Carlos, a volte si chiedeva se avesse ragione lui o se fosse Novak ad averla, ma era probabile che comunque quest’ultimo mentisse a sé stesso o quanto meno ai giornalisti quando faceva quelle dichiarazioni. In quanto appassionato di tennis, aveva sempre guardato con grande passione ai Big Three ed era impossibile non notare un rapporto speciale fra loro, specie fra Rafa e Roger o Rafa e Novak. Poteva definirsi ‘solo rivale’ quanto voleva, ma che fossero ben di più era palese.
“Dovrei mantenere un contegno pubblico anche io e manipolare l’opinione popolare come fa Novak?”
Talvolta pensava anche a questo, ma poi Carlos lo distraeva coi suoi sproloqui che lo facevano ridere e finiva per dargli corda invece che mantenersi concentrato sulla partita momentaneamente sospesa.
“Pur volendo, non me lo permetterebbe. E poi guardalo, è così bello vederlo di nuovo così entusiasta per una partita che non mi isolerei da lui nemmeno se me lo chiedesse tutto il mio staff intero dicendo che è per il mio bene. Lo guardo parlare, ridere e saltellare mentre cerca di mantenersi caldo, impaziente all’idea di tornare in campo, che non posso non essere felice per lui. Dovrei sperare che questa pausa lo deconcentri per poterlo battere, dovrei dargli le spalle e stare nel mio angolo da solo, ma chi ci riesce? Forse faccio male a me stesso e alla fine della partita potrei pentirmi di non aver fatto così, ma che vuoi? Il suo entusiasmo è così genuino e splendido.”
Carlos per mesi aveva avuto serie difficoltà in campo, per molti erano state difficoltà di concentrazione nei momenti di difficoltà e forse in un certo senso era stato così, ma lui che lo conosceva sapeva che non si trattava proprio di quello, quanto di motivazione.
Lo sapeva perché avevano passato le ore a parlarne, un po’ di persona, insieme, stesi nel letto dopo aver fatto l’amore, un po’ al telefono. Perché si sentivano quasi ogni giorno in lunghissime telefonate senza le quali Carlos non dormiva.
L’aveva capito bene forse ancora meglio di quanto lui stesso si fosse compreso.
Carlos dopo aver raggiunto un enorme successo così in fretta, aveva perso un po’ di motivazione e quelli così caldi e passionali avevano bisogno di averne sempre per dare il loro massimo e giocare bene.
Tuttavia in quel torneo l’aveva visto cambiare, mano a mano che l’eventualità di scontrarsi in campo dopo tanti mesi che non l’avevano più fatto tornava a presentarsi sempre più solida e concreta.
Aveva visto la sua partita contro Sascha, il quale fra l’altro l’aveva battuto in Australia l’ultima volta che si erano affrontati. Aveva rivisto Carlos.
Quel Carlos devastante perché di nuovo felice di giocare, motivato, col fuoco ben vivo nonostante le api a disturbare la sua concentrazione.
Anche ora, anche se avevano giocato appena pochi game per via della pioggia che li aveva interrotti subito, lo vedeva che saltellava come un grillo allegro come non mai, non preoccupato, non in procinto di cercare concentrazione.
Era di nuovo sé stesso, lo sapeva. Non poteva spiegare come, ma ne era sicuro che Carlos adesso fosse tornato e non poteva che esserne sinceramente contento, forse sarebbe andato a proprio discapito quel suo stato agonistico ritrovato, ma Jannik non era capace di sperare in una sua nuova involuzione del suo rivale. Se fosse stato uno qualunque sì, ci avrebbe sperato. Magari non in un’involuzione, ma in una deconcentrazione, qualcosa che gli permettesse di dominare il resto del match e vincere. Ma con lui non poteva.
- Non vedo l’ora di riprendere, ti sembra che finalmente possiamo giocare dopo mesi e mesi che il mondo intero e l’universo ed il firmamento si mette contro di noi e che fa? Piove! Ma è normale? Certo che è normale, ma questo non ci impedirà di giocare, a costo di farlo a mezzanotte, non mi importa! Posso anche fare la semifinale dietro alla finale!
Carlos era partito, non che si fosse mai fermato da quando erano lì nel tunnel, tanto che Jannik scoppiò a ridere divertito.
- Ah perché sei pure convinto di vincere, eh? - questa era una novità, Carlos non era uno spaccone, specie perché in quei mesi aveva ripetuto che lui adesso era più forte.
- Certo! - rispose col suo tipico sorriso da schiaffi. Dio, quanto adorava quel suo sorriso. Decisamente il suo punto debole.
- Ma non eri tu che dicevi che ti avevo superato in forza? - lo stuzzicò pur non pensandolo realmente. Sapeva cos’era capitato a Carlos e che era stata una condizione momentanea.
Carlos continuò ridendo mentre saltava e agitava le braccia torcendo il busto.
- Sì, ma proprio per questo oggi ti batterò. Perché io mi esalto troppo contro i più forti!
Era vero, ma Jannik sapeva anche un’altra cosa e scuotendo il capo fu lieto che l’arbitro venisse a chiamarli per provare a ricominciare in quanto la pioggia sembrava aver dato tregua.
“Non è che ti esalti contro i più forti, ti esalti contro di me. Non serve che mi dici cosa provi, piccolo adorabile pazzo. Ma non è il momento migliore per parlarne comunque.”
La prima pausa non durò molto, così come non durò molto il tentativo di ricominciare a giocare, poiché la pioggia riprese quasi subito e con una tale intensità e cattiveria da non lasciare più adito a tempi d’attesa.
Sicuramente quella volta la pausa sarebbe stata molto più lunga, in quel caso i due, come prima avviati insieme perché di nuovo Carlos aveva aspettato Jannik prima di infilarsi nel tunnel, erano andati direttamente negli spogliatoi consapevoli che si potevano mettere comodi, che poi la partita sarebbe ripresa più tardi e a quel punto avrebbero rifatto il riscaldamento.
Carlos era contento.
Così contento nonostante la partita si fosse di nuovo interrotta, che aveva ancora riso e scherzato con lui uscendo sotto la pioggia, aveva continuato nel tunnel e poi nello spogliatoio dove erano lì felicemente soli.
In un piccolo minuscolo angolino del suo cervello sapeva che non doveva perdere così tanto la concentrazione sulla partita, ma non ci riusciva.
Era troppo divertente, oltre che bello, essere lì con Jannik,
Aspettava mesi e mesi per giocare contro di lui, quelle erano in assoluto le partite che preferiva di più, e cosa succedeva quando finalmente ci riusciva faticosamente?
Pioveva! E tanto, pure!
Come faceva a non ridere?
L’universo si divertiva così, ma anche lui, doveva ammetterlo.
Appena le porte si chiusero alle loro spalle, Jannik alzò subito la mano verso di lui col dito dritto severo.
- Non faremo niente, siamo nel pieno di una semifinale, stai fermo o chiamo qualcuno! - ma Carlos ridendo si mise il suo dito in bocca e premendosi prepotentemente contro di lui, gli prese i fianchi e lo attirò a sé.
Jannik non finì mai la frase perché prima scoppiò a ridere cercando di dirgli di stare a cuccia, poi si ritrovò con la sua bocca addosso.
Carlos gli lasciò il dito per scivolare sul suo collo che sapeva un po’ di pioggia ma non di sudore poiché non avevano nemmeno iniziato a giocare veramente.
- Non voglio scopare, mi ricordo ancora che dobbiamo finire la partita. Quello me lo riservo per dopo. Ci dovremo consolare... - Jannik rise piegando la testa di lato per i brividi delle sue labbra contro il collo. Alla fine si tolse da solo il cappellino e liberando i suoi splendidi ricci rossi, si arrese mettendogli le braccia intorno al collo in attesa che le labbra carnose di Carlos scivolassero sul viso trasando le sue.
Si intrecciarono con buona pace dello Spagnolo che con enorme sollievo lo strinse a sé come avesse astinenza dei suoi baci.
Jannik gliene concesse sorprendentemente uno, supponendo che quella pioggia sarebbe stata veramente lunga. Qualcuno aveva parlato di minimo tre ore.
Il regolamento impediva ai rispettivi team di scendere negli spogliatoi durante la partita [di questo non ne ho realmente idea onestamente! NdA], perciò sapevano che sarebbero rimasti tranquillamente soli per tutto il tempo, un tempo meravigliosamente lungo, ma Jannik dopo la grazia di quel bacio dove le loro lingue avevano giocato fra loro, lo spinse sgusciando via con un sorrisino mezzo divertito.
- Non avrai più di questo!
Carlos rimase senza parole e con occhi spalancati a fissarlo pensando stesse scherzando.
Vedendo che andava a sciacquarsi il viso e si ravvivava i capelli davanti allo specchio, Carlos realizzò che diceva sul serio.
- Aspetta, non scherzi?
Jannik gli lanciò una breve occhiata gelida in apparenza.
- Sei tu che scherzi, siamo rivali oggi. Ricordatelo o te lo incido nelle chiappe tonde che ti ritrovi.
Carlos si illuminò in un sorrisino capendo che faceva finta di essere gelido, ma gli piaceva anche in quella posa. Provò a tornare all’attacco circondandolo con le braccia da dietro, ma la sua mano lo precedette sulla faccia tenendolo a distanza debita.
- Chiedo di aspettare in un altro spogliatoio? - chiese minaccioso. Carlos sbuffando e temendo che lo facesse davvero, abbassò le braccia sconfitto rimanendo appoggiato con la fronte sul suo palmo.
- E va bene! Farò il bravo! - si arrese infine con sollievo di Jannik.
In realtà sapeva che aveva ragione, non aveva di certo pensato di fare sesso, solo qualche coccola spinta. Insomma, niente di che.
Lasciò che Jannik si sedesse per primo consapevole che se l’avesse fatto sedere dopo, si sarebbe sicuramente messo lontano, perciò una volta che si fu messo alla sua postazione, Carlos gli si mise vicino facendolo ridere.
- Lo sapevo che aspettavi che mi mettessi per primo per metterti vicino!
Ma non era per niente arrabbiato, anzi. Carlos rispose con un gran sorriso dei suoi e prendendogli il braccio se lo passò da solo intorno alle spalle accoccolandosi vicino a lui come un tenero cagnolino che cerca le coccole, alzò anche un piede e piegò la gamba per stare meglio contro di lui.
- Fa pure, tranquillo. Che tanto quando vengono a chiamarci non ci vedranno così! - gli fece notare ironico Jannik che comunque non pareva intenzionato ad opporsi. Carlos a quello ci pensò e scattando alla porta la chiuse a chiave per poi tornare com’era prima, bello comodo accoccolato contro il suo ragazzo.
Non avevano mai parlato di sentimenti, non perché non sapevano cosa dire in merito, semplicemente entrambi sapevano che era superfluo. Forse una parte di loro non era ancora pronta a ufficializzare a parole ciò che provavano, ma mentre le loro dita si intrecciavano e Carlos appoggiava la testa sulla sua spalla e si strofinava da solo contro il suo collo e la guancia, entrambi sentivano la stessa cosa e non serviva dirlo. Un giorno ne avrebbero avuto bisogno, ma adesso avevano tutti e due paura di correre troppo o rovinare qualcosa di così bello e perfetto da essere lasciato fra le righe.
- Ti vedo meglio, comunque... - disse poi Jannik serio. Percepiva un sorriso sereno sulle labbra, doveva essere ancora divertito, ma sapeva che adesso parlava con un altro mood.
Carlos si sorprese che lo facesse in un momento così delicato. Già che gli concedesse di rimanere abbracciato a lui durante una semifinale era tanto.
- Lo sono. - ammise Carlos. Era vero. Lo era, ma se ne rendeva conto solo in quel momento. Ci mise poco a realizzare di cosa si trattava e perché lo era.
Aumentò la stretta delle loro dita.
- Grazie a te. - aggiunse infatti senza farsi pregare.
Jannik sorrise e lui lo sentì anche senza vederlo. Forse non avevano bisogno di dirsi apertamente cosa provavano e cos’erano uno per l’altro, perché era fin troppo evidente.
- Sei tu che ne stai uscendo da solo, io non ho fatto niente.
- La mia motivazione sei tu. All’idea di potermi scontrare con te ho sentito qualcosa che... non so, mi sono sentito rinascere.
Anche agli Australian Open aveva avuto la stessa occasione, ma in quel caso si era emozionato ed innervosito troppo.
L’aveva voluto e sperato così tanto che avere davanti un Zverev così in forma e preparato, l’aveva deconcentrato e gli aveva fatto perdere la testa. Era stata l’idea di non poter affrontare Jannik, a farlo uscire definitivamente di testa. Quel tedesco gli aveva strappato la sua sacrosanta partita contro il suo sacrosanto ragazzo. Come aveva osato?
In poche parole non era riuscito a rimettersi in partita in tempo.
Il resto del tempo non era andati in loro favore, ma finalmente erano lì insieme. Quando aveva capito di poter giocare contro di lui quella volta non si era fatto prendere dalla troppa emozione, ma l’aveva usata per motivarsi, come gli aveva suggerito il suo coach.
- Juan mi ha detto che se giocare contro di te mi motiva così tanto, devo usare la cosa in mio favore. Va bene desiderare tanto battersi con qualcuno, ma devo fare in modo di arrivarci. Devo far sì che nessun anima viva si metta fra noi.
Jannik l’ascoltò in silenzio, al termine della sua condivisione che aveva fatto ovviamente senza filtri, disse con una voce morbida e dolce che scaldò Carlos.
- Allora è merito suo se ci sei riuscito.
Carlos però scosse subito la testa sicuro, stringendo di nuovo le dita intrecciate alle sue.
- No no, sei tu. Se non fosse stato per te, raggiungerti e tentare di superarti, per me non avrebbe funzionato. Non so spiegarmi bene.
- È perché parli ancora un pessimo inglese, perché non fai qualche corso? - Jannik tentò di scherzare per alleggerire la situazione molto romantica e Carlos ci cascò come un pero ridendo e scendendo al suo livello.
- Potresti fare tu un corso di spagnolo, forse lo impareresti più velocemente di come io non imparerò mai l’inglese. Meglio di così è impossibile!
Jannik continuò ridendo più forte ed il suono della sua voce divertita rese euforico Carlos.
- Ma dai, ormai capisco persino le tue parole inventate! Sai, dovresti fare un dizionario. ‘L’inglese secondo Carlos!’
Continuarono a ridere insieme sparando sciocchezze abbracciati in quel modo per tutte le tre ore abbondanti di pioggia, non fecero altro. Solo risero, scherzarono e chiacchierarono di miliardi di cose senza staccare le loro dita.
Quando poi vennero a chiamarli, si separarono e Carlos saltò in piedi come una molla, iniziando a schiaffeggiarsi, saltare, scaldarsi e fare esercizi tutto eccitato e contento. Lo era davvero, non vedeva l’ora di tornare in campo.
Certo la tensione era calata e forse ora era troppo rilassato, ma comunque stava per fare la sua sacra partita contro il suo adorato Jannik ed era già felice solo per quello.
Sapeva che il rischio di stare insieme in quel modo era esattamente quello.
Il calo di tensione e concentrazione colpì Carlos inevitabilmente e Jannik se ne dispiacque sinceramente.
Il primo set fu tutto suo. Doppio break, 6 a 1. Un set, se non si consideravano le ore di interruzione, volato in un certo senso.
Carlos sembrava rimasto in quegli spogliatoi ancora abbracciato a lui. Si sentiva un po’ in colpa e responsabile per quel suo terribile primo set. Anche lui per la verità aveva nutrito molte aspettative sulla loro partita, gli era mancato da matti giocare contro Carlos ed ora che l’aveva davanti aveva desiderato con tutto sé stesso che quella fosse una partita perfetta, indimenticabile e bellissima. Se la voleva godere e basta, ma vederlo giocare in quel modo, così nettamente sottotono e teso, lo distrasse un po’ mettendogli dispiacere nel sapere quanto importante per Carlos fosse quell’incontro.
Tuttavia non poteva fare nulla, per lui. Doveva tirarsene fuori da solo.
In quel momento, seduto in attesa di iniziare il secondo set, si ricordò delle parole di Novak.
“Alla fine ha ragione lui? Quando sei avversario di qualcuno, non puoi essergli amico?”
A quella domanda non trovò risposta subito e quando durante il secondo set Carlos tornò a lottare con unghie e con denti tornando con enorme fatica in partita, si sentì stupidamente felice di vederlo di nuovo in sé.
Ovviamente voleva vincere lui e la maggior parte di sé pensava solo a giocare la propria partita, ma una piccola e minuscola si ripeteva ‘eccolo lì il mio Carlos!!’
Se lo disse fino al terzo set, quando Carlos aumentò ulteriormente il suo livello di tennis ricordando al mondo come era riuscito a diventare numero uno a diciannove anni. Fu lì che Jannik subì una piccola involuzione.
Ci fu un momento preciso dove si ritrovò seriamente a pensare che aveva sbagliato a non dar retta al buon vecchio Novak e tenere separate le relazioni. Amore e rivalità non potevano andare a braccetto come Rafa e Carlos pensavano. Si sbagliavano.
Lo pensò mentre cercava di tornare in partita e impadronirsi del suo miglior tennis per battersi valorosamente senza successo.
Più tentava, meno riusciva. Non stava realmente perdendo la testa, i suoi nervi erano sempre abbastanza saldi, ma semplicemente non vedeva una via d’uscita alla situazione infangata in cui era finito.
Continuò a pensarlo fino a quando cadde nel tentativo di rispondere e vincere il proprio punto di battuta.
Lo scambio incredibile fra loro venne purtroppo vinto da Carlos che si prese il break mentre lui rotolava rovinosamente a terra rischiando di farsi male.
Lo scambio era stato davvero bello al di là di chi l’aveva vinto e Carlos sarebbe dovuto essere contento, avrebbe dovuto esultare con vigore. Chiunque in una situazione simile avrebbe esultato come un matto, vincendo un punto del genere che era valso un break e forse la vittoria stessa. Ma lui no.
Fu lì che Jannik capì che alla fin fine no, Novak non aveva ragione.
Carlos non esultò, non fece nemmeno un cenno, un sorriso, un pugno in alto, nulla.
Accorse alla rete e con aria sinceramente preoccupata ed apprensiva gli chiese come stava aspettando si rialzasse e gli rispondesse.
Quando Jannik fu in piedi ed ebbe recuperato la racchetta, prima ancora di accertarsi di stare realmente bene, sventolò la mano in direzione del suo compagno e rivale dicendo che stava bene.
Non lo sapeva, forse non stava veramente bene, non emotivamente, in ogni caso sentiva il polso bruciare e una fitta al gomito lo impensieriva. Tuttavia disse subito che stava bene. Perché Carlos si era totalmente disinteressato d’aver vinto un punto così importante in un modo così favoloso. Se ne era disinteressato per lui. Per assicurarsi sulle sue condizioni, perché l’aveva visto cadere. Aveva dimostrato al mondo che per lui la priorità era la salute di Jannik, prima che la propria sempre più probabile vittoria in semifinale.
Non era scontato fra avversari, magari qualcuno controllava le condizioni del rivale caduto, ma comunque sicuramente esultava. Lui non lo fece né prima, né dopo.
No, si disse Jannik sedendosi al proprio posto in attesa di riprendere la partita ormai parecchio compromessa e sicuramente difficile da riprendere, ormai.
Non aveva ragione Novak.
“Anche se avessi tentato di tenerlo lontano per guardarlo solo come un rivale, Carlos non me l’avrebbe mai permesso. Non sarò mai solo un rivale per lui. E come diavolo gli fai fare qualcosa che non vuole?”
Rimase piegato con la schiena in avanti a i gomiti sulle ginocchia a stringersi il polso e il gomito per capire se fossero feriti, ma per la verità non era quello a bruciargli realmente quanto la sconfitta dietro l’angolo.
Quando alzò la testa richiamati a tornare in campo, inevitabilmente guardò Carlos che con aria attenta e apprensiva si metteva al suo posto senza distogliere un istante gli occhi dalla sua faccia, per leggergli qualsiasi traccia di dolore.
A quel punto Jannik capì che non gli bruciava veramente perdere contro di lui anche se era un’importante semifinale di un Master 1000, anche se avrebbe potuto salire in seconda posizione nella classifica ATP e gli stava per interrompere la striscia record di vittorie consecutive.
Non gli bruciava proprio perché l’avversario era Carlos, non un vero rivale. O meglio non solo un rivale, ma anche la persona di cui era innamorato.
Alla fine sospirò accettando semplicemente le cose che non erano andate come aveva sperato e voluto. Accettò la dura realtà dei fatti perché pazienza, a vincere era comunque Carlitos, no?
E non c’entrava il fatto che le ultime partite le avesse vinte lui e quindi se ora vinceva Carlos andava bene. Non era questo a dargli quello sciocco sollievo.
Jannik girò la testa guardando la pallina uscire dal campo e consegnare la vittoria a Carlos.
Lo vide esultare con le braccia alzate al cielo, era sì felice, veramente felice e sorrideva radioso come sempre, ma non rimase lì ad ostentare la sua felicità e la sua vittoria. Corse subito a rete e l’abbracciò di nuovo ansioso e preoccupato, chiedendogli subito come stesse, così sinceramente in apprensione per le sue condizioni che non poté infine non sorridere anche se non c’era proprio un cazzo da sorridere. Aveva perso.
Non solo la semifinale, ma anche la posizione e la striscia di vittorie. Aveva perso più di una semplice partita. Ma gli sorrideva rassicurandolo che stava bene, mentre Carlos invece ripeteva ansioso che gli era venuto con colpo quando l’aveva visto cadere e si era preoccupato da matti.
- Davvero, sto bene, non preoccuparti. Sei stato bravo, oggi. Complimenti.
Voleva aggiungere altro mentre gli sorrideva e si sentiva veramente e sorprendentemente meglio, ma lì ormai erano arrivati sotto l’arbitro e si separarono per stringergli la mano, così poi sgusciò via alla propria postazione per raccogliere le cose ed andarsene.
Carlos aveva vinto ben più di una semplice partita, anche per lui significava molto e solo lui sapeva quanto, perché veniva dopo un lungo momento negativo, era da molto che non dimostrava di possedere ancora quel tennis devastante contro gli avversari che contano ed in momenti difficili.
Era stata una gran vittoria, dopo aver perso così rovinosamente il primo set, ma si era preoccupato per lui, non aveva ecceduto nelle esultanze e non gli staccava gli occhi di dosso.
“La verità è che grazie a questi sentimenti che ci sono fra di noi, troviamo delle motivazioni speciali che ci spingono a fare meglio e a superarci. È proprio grazie al fatto che non siamo solo rivali ma qualcosa di più. Quando l’anno scorso sono riuscito a batterlo salendo di livello, ce l’ho fatta perché Carlos mi stimolava a superare me stesso per poterlo vincere. Adesso è riuscito a lui, la prossima riuscirà di nuovo a me e ce la farò proprio perché avrò lui davanti. Lui e non un rivale qualsiasi. La mia motivazione speciale.”
Perciò Jannik uscì tutto sommato leggero dal campo, vedendo Carlos che lo applaudiva con quei suoi occhietti da cucciolo ancora preoccupato.
Se ne andò consapevole che appena si sarebbe liberato dalle incombenze da vincitore gli si sarebbe precipitato addosso gridandogli carico di ansia e di amore per sapere come stava, stringendolo forte a sé e alleggerirgli quella sconfitta. Non così bruciante, nonostante tutto, proprio perché contro di lui.
Il ragazzo di cui era innamorato, non solo il suo miglior rivale.
Jannik dovette ripeterglielo almeno dieci volte che stava bene e non si era fatto male, ma Carlos rimase poco convinto ugualmente perché lo conosceva e sapeva che poteva fingere benissimo per non rovinargli la vittoria.
Alla fine Jannik per scrollarselo di dosso gli prese il viso fra le mani e sorridendo divertito gli stampò un bacio sulle labbra.
- Piantala, sto bene, hai vinto e goditi la vittoria!
- Sì che me la godo, ma vorrei godere meglio con te e se hai male da qualche parte godo di meno! - rispose spontaneo sempre versione treno preoccupato e ansioso. Jannik continuò a ridere stringendolo a sé, ormai lui era pronto perché mentre Carlos svolgeva le consuete incombenze da vincitore, lui si lavava e si preparava, ma non se ne sarebbe di certo andato senza salutarlo.
Carlos aveva comunque fatto il più in fretta possibile, convinto che per non fargli sapere come stava veramente sarebbe anche potuto scappare come un demone dai capelli rossi. Per fortuna l’aveva intercettato e appena l’aveva avuto davanti negli spogliatoi, senza nemmeno mettere giù le proprie cose gli si era aggrappato addosso chiedendo a ripetizione come stava.
Aveva inseguito Jannik per lo spogliatoio cambiandosi senza andare a lavarsi, per avere la sua risposta.
- Sto bene, Carlitos, ti prego, mollami! - implorò ancora.
- No che non ti mollo, ti conosco! Ti sei già vestito, non mi hai aspettato per trombare! Quando giochiamo trombiamo negli spogliatoi, ricordi? È il nostro rito!
Carlos sragionava, ma a modo suo voleva assicurarsi che stesse davvero bene e dopo l’ennesimo tormento, Jannik sbuffò e nonostante fosse già vestito e pronto ad andarsene, si rassegnò e si tolse i vestiti come se non se li fosse appena messo puliti. Vedendo che lo faceva Carlos smise di fare la faccia da cucciolo preoccupato e sorrise vittorioso, sentendosi finalmente meglio e sollevato.
- Contento? - così dicendo, sentitamente esasperato, appena si fu tolto tutto, Jannik prese la mano di Carlos che sgambettava ancora nudo e crudo per lo spogliatoio e tirandoselo nel locale docce, si infilò in una di quelle e si rassegnò a farsene una seconda con lui, mentre gli dava quello che per Carlos era il vero premio.
- Certo che lo sono! - rispose soddisfatto agguantando le natiche del suo compagno e attirandoselo addosso. L’acqua calda scivolava sui loro corpi ricoprendoli dolcemente, ma più dolci furono le loro labbra che si intrecciarono insieme alle loro lingue che ripresero a giocare insieme, quasi che non fossero mai usciti dal campo.
- Pensavi di potertela svignare così senza darmi il mio meritato premio? - disse contro la sua bocca fra uno scambio di lingua e l’altro. Jannik rise premendosi su di lui e schiacciandolo contro le piastrelle del box, dandogli uno schiaffo sul fianco che fece rumore per l’acqua che lo ricopriva.
- Sei un tormento! - rispose Jannik mordendogli il labbro carnoso, Carlos sorrise sornione.
- Ti piaccio per questo.
- Sì, ma sei un tormento lo stesso.
“E la prossima volta te lo dico. Che ti amo da matti.” pensò Carlos senza trovare il coraggio di dirlo già in quel momento. L’emozione per aver vinto di nuovo dopo tanto contro di lui e soprattutto per aver ritrovato sé stesso proprio grazie a lui, poteva rendere quella dichiarazione falsata agli occhi di Jannik, perché conosceva il suo innamorato. Perciò avrebbe trovato un momento perfetto per dirglielo, quando non avrebbe potuto smontargli la dichiarazione con qualche trovata logica delle sue. Ma sentirlo sorridere mentre lo baciava sotto la doccia, era tutto ciò che contava per lui in quel momento.
Lui, la sua motivazione speciale.
Note Finali: Sul serio hanno interrotto la partita una prima volta per pioggia, ma sono tornati poco dopo per poi tornare a fermarsi definitivamente per 3 orette circa. In quel periodo i due pargoli ci hanno rivelato di essere rimasti negli spogliatoi insieme a chiacchierare di un sacco di cose. Sul serio durante la partita c'è stato uno scambio spettacolare di tennis finito con una gran risata da parte di entrambi che identifica quanto si siano divertiti loro stessi. Sul serio ad un certo punto Jannik è caduto e Carlos invece di esultare per il punto/break preso si è sincerato sulle condizioni di Jannik, era molto preoccupato e anche dopo quando si sono seduti per la breve pausa Carlos era molto contenuto come non fosse in vantaggio e praticamente con la partita in mano, poiché Jannik in quello ha avuto un momento di sconforto e Carlos in ha avuto enorme rispetto facendo come se fossero in un momento qualsiasi e non fosse successo nulla. Sul serio a fine partita Carlos si è sincerato sulle condizioni di Jannik tanto da farlo sorridere teneramente nonostante la sconfitta. I due non hanno fatto che ripetere per i mesi che hanno separato i loro scontri che giocare uno contro l'altro gli dà una motivazione diversa, speciale. Giocare e vincere contro di lui è sempre diverso e più bello, questo è ciò che hanno detto spesso.