2. FORSE QUALCOSA DI PIÙ

sincaraz

I due si bloccarono e non si mossero, la mano di Jannik nella tasca posteriore dei pantaloni di Matteo, a toccargli apparentemente la natica, i nasi ad un centimetro di distanza, gli occhi spalancati fissi uno sull’altro, i respiri sospesi. 
Che diavolo succedeva, improvvisamente? 
Un scintilla in quelli scuri di Matteo. Scuri e bellissimi, di un colore così caldo e autunnale. Bellissimi come il suo viso dove la barba nera gli stava benissimo. 
Si sentì catapultare dietro nel tempo, quando pensava a lui in tutti i modi e impazziva sperando un giorno di ritrovarsi in una situazione simile. 
L’abbraccio intenso di prima, in campo, alla fine della partita ed in attesa della premiazione. Quel momento in cui si erano guardati e stretti, quando gli aveva preso il collo con la sua mano grande e forte per tenerlo a sé, i brividi che l’avevano ricoperto.
Ma quella scintilla gli raccontò una storia che non poté negarsi. 
Matteo stava sperando, in quel momento. Sperando in qualcosa. La stessa cosa che fino ad un anno prima avrebbe sperato anche lui, ma adesso non più, no?
Adesso era sereno e soddisfatto, non aveva più fantasie su di lui da un anno ed era totalmente in controllo su di sé. 
Da quando aveva iniziato ad andare a letto con Carlos, pensava solo a lui e al loro prossimo incontro. 
Incontro che sarebbe potuto essere quella notte, se si riprendeva il telefono e chiariva con lui.
Qualunque cosa fosse ad averlo fatto arrabbiare, la doveva risolvere. Tassativamente. Era la cosa più importante in quel momento. Non poteva andare a fare nessuna festa sapendo che lui era arrabbiato, chiuso da solo in una camera d’albergo.
Non poteva lasciarlo così. 
- Mi serve il telefono. - disse riprendendosi in tempi record, com’era nel suo stile. Anche ammesso che riuscisse a perdere la testa, riusciva anche a ritrovarla sempre. 
Era ormai molto bravo in quello. 
Così la sua mano sfilò da una tasca e passò nell’altra, sempre notando quanto sode fossero entrambe le sue natiche. Effettivamente sembrava lo stesse palpeggiando ed in un certo senso era vero, ma c’era uno scopo preciso dietro.
Una volta che prese il cellulare, Jannik lo estrasse e sorridendo vago si girò tornando al suo angolo dove c’erano le proprie cose già pronte solo da recuperare per potersene andare. 
Sapeva di non poter lasciare la festa, era quasi il protagonista. Come minimo doveva mangiare e bere qualcosa con loro e poi si sarebbe dileguato, ma non poteva andarsene ora. Strinse il telefono fra le dita e prima di guardarlo si fermò e si voltò a guardare il casino che non sembrava cessare. Sarebbero andati avanti ancora per molto, senza considerare che di fatto erano ancora negli spogliatoi. A breve li avrebbero cacciati, vincitori o meno. 
Jannik sospirò insofferente ed indeciso ed alla fine sperando di non essere notato, prese i borsoni e le proprie cose, si buttò velocemente la giacca sulla testa e sulle spalle ed uscì dallo spogliatoio, dirigendosi ad una delle porte di servizio sul retro che gli avevano indicato precedentemente per evitare la folla di quella principale.
Una volta all’aperto. il fresco dell’inverno lo schiaffeggiò dandogli sollievo, le idee si schiarirono e la nebbia portata dall’alcool e da quella strana cosa con Matteo, si dissipò.
Prese dei respiri profondi prima di concentrarsi sul telefono e su Carlos. 
Avrebbe dato oro per essere in quella situazione, ma un anno e mezzo prima. Ormai no. Ormai stava bene. Non aveva più fantasie su Matteo, né fisse di alcun tipo.
Era bello.
Bello da togliere il fiato. E forse un debole per lui l’avrebbe sempre avuto, ma ormai c’era qualcun altro che gli riempiva le proprie fantasie. Un altro protagonista dei suoi orgasmi. 
Pensandoci aprì gli occhi e sbloccò il telefono tornando a guardare la chat abbandonata prima. 
Rilesse i messaggi e con lucidità comprese che non era stata la gelosia a farlo scattare, che comunque era evidente provava anche se non capiva come e cosa avesse visto, ma era stata la mancanza di entusiasmo alla notizia che era lì a Malaga e che l’aspettava. 
Non è che fosse stato privo di entusiasmo, ma forse non l’aveva dimostrato come faceva Carlos. 
“Ma cazzo, chi dimostra l’entusiasmo come lui? Deve capire che nessuno è come lui! Solo lui è così!”
Sospirando spazientito e nervoso, peggio di quando aveva giocato la finale, cercò di chiamarlo sperando rispondesse, ma lo conosceva, sapeva che non l’avrebbe fatto. 
Infatti non rimase deluso, stizzito sì.
Solo lui ci riusciva a farlo sentire così. 
Aveva vinto da protagonista una storica finale di mondiale di tennis, perché diavolo non gli dava tregua?
Bella la sorpresa, ma serviva fare in quel modo, poi? 
Jannik rinunciò alla chiamata e cercò su maps quell’hotel, solo quando vide che non era molto lontano dal Palazzetto sportivo in cui erano, capì quanto ci aveva sperato di rivederlo e quanto ci aveva tenuto a fargli quella sorpresa.
Si era messo lì nell’eventualità che se avesse perso, sarebbe stato depresso e sicuramente non sarebbero andati a festeggiare da nessuna parte. 
Jannik fece una via di mezzo fra un sorriso ed una smorfia, scosse il capo, si girò a guardare dentro e vedendo che non c’erano ancora cenni di vita da parte di nessun compagno, alzò le spalle, si infilò meglio la giacca e si tirò su il cappuccio. Dopo di quello andò ad una delle macchine che erano lì ad aspettare proprio loro della nazionale vincente, gli stessi accompagnatori con cui si erano mossi in quei giorni. 
Si sarebbe fatto portare da Carlos e avrebbe scritto al suo coach che doveva andare a salutare un amico e si trovavano direttamente in ristorante, di dirgli dove erano. 
Certo prendersi una macchina di servizio intera solo per sé e i propri capricci era una cosa da star che lui odiava fare, ma era un’emergenza.
Gli serviva solo un attimo.
Giusto una parolina a quell’idiota e li raggiungeva subito!

Carlos era appallottolato nella sua palla di miseria, nel terrazzo della camera con una splendida vista sulla città di Malaga. Si vedeva il mare che era effettivamente molto vicino e c’era anche la piscina che aveva un aspetto invitante anche di sera. 
Erano a fine novembre e a quel punto anche in Spagna faceva freddo, sebbene quell’anno non sembrava voler arrivare davvero. 
Si strinse sotto la giacca che si era messo addosso come una coperta finendo per tirarsela su fin sotto gli occhi. Non era un animale invernale, aveva tardato la sua partenza per il proprio benamato caldo solo per Jannik e poter festeggiare con lui, od in caso consolarlo. Ma sapeva che avrebbe vinto. Non aveva mai avuto dubbi su quello.
Le immagini viste in tv grazie alle emittenti sportive che avevano trasmesso l’evento fino alla cerimonia di premiazione, erano vivide nella mente.
Non contento aveva anche cercato l’hashtag Sinner su Instagram ed era venuto fuori quel maledetto momento con Matteo che si era rivisto a ripetizione. 
A quel punto e solo a quel punto non aveva resistito e gli aveva scritto. Del resto Jannik se lo sarebbe aspettato, non aveva potuto evitarlo. Peccato che aveva fatto il suo solito casino.
Gli bruciava aver fatto il bambino, aver fatto il geloso e soprattutto non aver ricevuto la felicità che si sarebbe aspettato. 
Si stava ancora autocommiserando ben deciso ad andare avanti tutta la notte, mentre si immaginava Jannik e Matteo scopare come ricci, quando un ceffone gli fece saltare il cervello dalla nuca alla fronte. 
Carlos si voltò saltando dritto sulla sdraia, il giaccone gli cadde sulle gambe scoprendo la parte superiore del busto e quando mise a fuoco il viso severo di Jannik, rimase inebetito a fissarlo convinto di essersi addormentato e di star sognando. 
- Che diavolo ci fai qua? E poi come sei entrato? 
Due domande sorprendentemente logiche, tutto sommato. 
Jannik non contento gli tirò pure l’orecchio e afferrando la giacca con l’altra mano, lo trascinò dentro. 
- Che diavolo ci fai TU qua fuori!? Dove diavolo hai messo il telefono? Ci si comporta così come i bambini? Ti ho chiamato un sacco, cosa ti credi, che se mi pianti il muso io riesco a festeggiare come niente? Volevi rovinarmi la serata? 
I rimproveri di Jannik arrivarono severi come quelli di un padre furioso ed una volta dentro la camera, richiuse la porta finestra e gettò la giacca sul letto; la sua ce l’aveva ancora addosso, ma aperta. 
Jannik stava lì in mezzo alla sua stanza, furioso come non l’aveva mai visto. Non una di quelle furie da fuoco e fiamme tipo le proprie, era più come una grandine furiosa che scende e devasta tutto. 
Traumatizzato sia dal suo scoppio che dal fatto stesso che si fosse materializzato lì come per magia, Carlos si toccò l’orecchio che pulsava di dolore insieme alla nuca. 
No, quelle sensazioni erano fisiche. 
Era veramente lì! 
- Ma come sei entrato? - tornò a ripetere non capendo come avesse fatto ad entrare senza la chiave. 
Jannik lo guardò sbalordito che quello fosse davvero ciò che gli premesse sapere per primo, così si tirò fuori una copia della chiave magnetica dalla tasca e la sventolò.
- Sono Jannik Sinner ed ho appena vinto la Davis Cup, ho solo dovuto chiedere discrezione in cambio di un autografo personalizzato ed una foto! 
Carlos piegò le labbra ed il capo constatando che era effettivamente logico e semplice. 
- Beh, tutti sanno che siamo amici, non sarà strano che sono qua e che tu sei piombato qua... - avrebbe continuato a parlare nel suo solito terribile inglese inventato, se Jannik non gli avesse piazzato il dito indice davanti alla faccia con aria severa. 
- Ti sembra? - fece poi riportandolo all’ordine come un generale sul piede di guerra.
Era davvero molto arrabbiato e ancora Carlos non se ne capacitava. 
- Ti sembra cosa? 
Non capiva proprio. 
A Jannik partirono i cinque minuti. Ed anche i dieci ed i quindici. Carlos dubitava che in vita sua si fosse mai arrabbiato tanto. 
I suoi splendidi occhi verde-nocciola erano pieni di lame affilate pronte a trapassarlo. Era lì ad un solo passo da lui e lo sovrastava come se dovesse decidere la sua sentenza. 
- Il modo di reagire? 
- Io?! - sbottò a quel punto Carlos svegliandosi e capendo per cosa era tanto arrabbiato. - Tu piuttosto! Io ti ho fatto una bella sorpresa, potevi mostrare più entusiasmo! Sei stato freddo come il ghiaccio! Ti ho rovinato i piani con Matteo? Bastava dirlo, essere chiari è...
Non riuscì a finire che Jannik gli prese le guance di scatto zittendolo improvvisamente, Carlos spalancò gli occhi e si zittì provando una fitta di dolore per l’aggancio non delicato, ma poi invece di tirare e staccargli la carne dalla faccia come per un momento aveva pensato volesse fare, premette la sua bocca sulla propria. 
A quel punto tutto si calmò repentinamente fino a fermarsi e sospendersi. 
La furia di entrambi, la foga, il fuoco, il ghiaccio, qualunque cosa. Anche i battiti ed i respiri. Tutto fu normale, finalmente.
Pace e quiete. 
Jannik gli lasciò le guance per scivolare con le dita sul suo collo. Le sue dita lunghe arrivarono a stringergli possessivo la nuca e a quel gesto Carlos aprì le labbra e gli andò incontro con la lingua dando vita al bacio che si era immaginato lui e Matteo si stessero dando mentre loro avevano smesso di scriversi al telefono. 
Era così, fra l’altro, che quel tipo bello e alto l’aveva preso prima mentre tutti li riprendevano e li facevano vedere al mondo. 
Matteo l’aveva preso così con le sue mani giganti e l’aveva tenuto a sé guardandolo da vicino, poi aveva osato parlargli all’orecchio. 
Ricordava tutto molto bene, troppo. Tanto che con le mani lo spinse sul petto ritirando la lingua che gli aveva consegnato troppo docilmente. 
- Devo saperlo, Jan. - fece improvviso e di nuovo impetuoso riaccendendosi come una dinamite pronta ad esplodere. Jannik lo trattenne impedendogli di ritirarsi. 
- Cosa? - chiese confuso, preso dal bacio interrotto malamente. 
- Tu e lui state insieme? Insomma c’è qualcosa? Trombate, che ne so? 
Sapeva perfettamente che stava ufficialmente facendo il geloso pietoso, ma non ci poteva fare niente. Non riusciva a fermarsi. Non ci era mai riuscito e non era ancora nato quello in grado di bloccarlo.
Non ci riuscì infatti Jannik se non in un unico modo. 

Jannik realizzò all’istante che Carlos era in modalità demolitore automatico e non si sarebbe fermato, non avrebbe sentito ragioni o spiegazioni diverse da quella risposta.
Non ne avevano mai parlato, ma ora sembrava l’ossessione di sempre. 
Da quando era geloso? Come erano arrivati a quello?
Jannik capì che non aveva scelta e decidendo per una volta di usare la logica ed i ragionamenti dopo, usò il solo metodo che Carlos avrebbe capito. 
- No che non stiamo insieme. Non lo siamo mai stati e non abbiamo mai fatto nulla. Come diavolo ti viene su ora così?
La pura e semplice verità. Ecco cosa. 
Il resto Carlos non lo ascoltò perché a quella risposta gli saltò letteralmente addosso agganciando le braccia intorno alla testa, poi gli rimise la bocca sulla sua, divorandolo. 
Gli trasmise tutta la sua gioia assoluta, Jannik rideva mentre le loro lingue tornavano a giocare insieme e barcollò sentendolo addirittura appendersi a lui con le gambe intrecciate sui fianchi. 
Jannik non ebbe scelta che stringerlo con le braccia e reggerlo. Mentre si muoveva alla cieca in camera nella speranza di non cadere ma trovare il letto od un sostegno valido, la sua mente produceva mille cosa da dire e mille domande, ma la sua lingua gli impediva proprio di parlare. 
Così solo quando trovò il letto ci si buttò sopra tenendosi Carlos sotto. 
Una volta lì il compagno sganciò braccia e gambe per correre con le mani ad aprire i suoi pantaloni con una fretta come se non potesse più aspettare.
Dire che si era acceso era riduttivo e nonostante non fosse propriamente il suo stile, Jannik capì di non poter far altro che lasciarsi trasportare da quel suo fuoco scoppiettante.
Si ritrovò ad aiutarlo ad abbassarsi i vestiti nella parte inferiore, il necessario che serviva per fare quello che all’improvviso era urgente. 
Come se non ci fosse altro che quello, ora. 
Solo i loro corpi bollenti, i loro desideri e l’entusiasmo di aver fatto pace ed essere di nuovo insieme. 
Insieme? Ma quando si erano messi insieme, in realtà? Non era una cosa senza impegno?
Carlos si girò mettendosi a pancia in giù sfilando via la bocca e piegò le gambe sotto di sé, scoprendosi i glutei già pronti per lui. Jannik lo guardò totalmente ubriaco e non dello champagne di prima.
Ubriaco di lui.
Come gli dava alla testa quel ragazzo, nessuno mai ci era riuscito.
Si leccò le dita e gliele infilò lubrificando il suo ingresso che scalpitava per essere preso. Lo preparò brevemente, giusto il necessario, poi si passò il palmo bagnato di saliva sull’erezione già dura e scuotendo il capo, lo penetrò subito sbrigativo e con bisogno.
“Matto!” pensò. “Ed io lo sono diventato con lui. Mi ha contagiato con la sua follia. Queste non sono cose da me, non è il mio stile, ma mi fa impazzire. Mi fa proprio impazzire!”
Appena fu dentro con una spinta possente, Carlos si inarcò davanti a sé mostrandogli la splendida curva della sua schiena allenata che finiva nelle sue natiche tonde e sode. 
Erano sicuramente belle e piacevoli quelle di Matteo, ma le sue erano di un altro universo. Era fuori categoria!
Jannik si riempì gli occhi della visione del suo corpo mezzo vestito e mezzo nudo. Nudo nella parte più importante. 
Quella che era sua. Inevitabilmente e splendidamente sua. 
Quella parte che spinta dopo spinta, sempre più veloce e più a fondo, si prese con un bisogno che li portò entrambi ad un orgasmo che non tardò ad esplodere, quasi non avessero aspettato altro che quello per tutto il tempo. 
“Sì,” si disse Jannik. “Una volta sognavo cose simili con Matteo, ma adesso non potrei proprio farlo che con lui.”
Quando ogni piccolo angolo di sé fremette di un piacere intenso e totale che si scaricò in Carlos, Jannik si accasciò su di lui e la sua schiena allenata. 
La bocca sul suo collo, lo baciò e poi risalì all’orecchio mentre gli rimaneva addosso stringendolo per la vita come se fosse suo.
Aveva ancora i vestiti addosso, si era solo abbassato i pantaloni ed i boxer. Aveva addirittura ancora la giacca addosso aperta. 
Era stato come un bisogno impellente. 
- Sei tu il protagonista dei miei sogni erotici, Carlos. Tu, la tua bocca da pompino e il tuo culo da scopata! - e solo lui lo faceva parlare così volgare!
Lo sentì fremere sotto di sé, come se dalle sue parole volgari e dal senso della sua frase, scaturisse una sorta di secondo orgasmo mentale. 
Tanto fece finché Carlos non riuscì a girarsi con la schiena contro il materasso, lo avvolse di nuovo con le gambe e le braccia come aveva fatto prima, ma Jannik rimase piegato su di lui e sul letto. Adesso le mani appoggiavano ai lati del corpo di quella splendida creatura che non ci pensava minimamente a liberarlo. 
Ottenuta la posizione che voleva, Carlos sorrise radioso e contagioso e quel famoso orgasmo mentale ora venne a Jannik, che rimase a guardarlo inebetito chino su di lui a pochi centimetri dal suo viso. 
- Davvero? - fece lo spagnolo. 
- Non dubitarne piccolo pazzo! 

Carlos sentì una tale gioia incandescente e potente attraversargli tutto il corpo, che si sentì andare a fuoco in ogni terminazione nervosa. 
Strinse la presa e nascose il viso contro il suo collo, bisognoso di calore e affetto. Bisognoso di lui.
Era felice. Felice come non mai.
Non aveva vinto a tennis quanto aveva sperato, quell’anno, e le cose in generale non erano andate come aveva voluto nel finale di stagione, ma non importava più. Niente importava, nemmeno la gelosia e la delusione. 
Adesso era lì e gli aveva appena detto una cosa bellissima. 
Che non desiderava nessuno come lui ed il suo corpo.
Non importava se non c’erano ancora sentimenti fra loro, forse quelli in qualche modo lo erano. Non aveva importanza, al momento. Bastava solo che lui fosse sempre in cima alla lista di Jannik e che sotto non ci fosse nessuno. 
- Adesso mi rispondi? - chiese poi Jannik più calmo e fermo. Non sembrava divertito, ma nemmeno arrabbiato. 
Carlos si staccò per guardarlo senza capire se fosse serio. 
Era di nuovo impossibile capirlo. 
- Che cosa? - chiese senza ricordare più nulla. 
- Ti sembra quello il modo di reagire? 
Carlos avvampò capendo subito a cosa si riferiva, ma non sapeva come spiegargli che era stato ottenebrato dalla gelosia per Matteo. 
- Io? - fece quindi accendendosi immediatamente. E come ogni bravo istintivo che si sentiva attaccato, attaccò a sua volta. - Tu piuttosto! Io ti faccio una sorpresa e tu reagisci così poco entusiasta? Sembrava quasi che ti dessi fastidio! 
Ed eccoli lì che ricominciavano! Non avevano mai litigato davvero, perché ora non riuscivano a smettere? 
Jannik però tornò col suo dito indice davanti alla faccia. Serio e severo. 
- Eh no eh? Non la scaricherai su di me! Non è colpa mia se non hai capito che nessuno reagisce alle cose col tuo entusiasmo perché sei tu quello esagerato! 
- Io sono esagerato? - disse Carlos sempre tenendolo ancorato a sé e  chino sul letto dove era ancora steso. 
Sicuramente Jannik iniziava anche a stare scomodo perché era rimasto in piedi per terra a prenderlo, ma Carlos non intendeva mollarlo per nessuna ragione al mondo, anche se ora stavano discutendo. 
- Sì Carlos. Adesso ti svelo un segreto! Tu sei esagerato su tutto, ogni tua reazione è eccessiva e reagisci col massimo entusiasmo a qualsiasi cosa! Ed è bellissimo, è una cosa che adoro da matti di te, sei contagioso, ma non puoi pensare che tutti debbano reagire come te! Non ero senza entusiasmo, stavo cercando di organizzarmi. Adesso ho tutta la squadra che festeggia ed io sono qua a discutere e trombare con te! 
- Ma non volevo rovinarti la serata! - borbottò Carlos col broncio vedendo le cose con una prospettiva improvvisamente terribile. Si sentiva la persona più egoista del mondo. 
- Non volevo questo! È solo che dovevi sapere che c’ero perché... - si fermò perché stava per dire ‘non volevo che finissi a scopare con Matteo’. Non voleva essere geloso. 
- Eri geloso di Matteo, ma non dovevi. 
Carlos gonfiò le guance come lo smile che gli aveva mandato e Jannik ridacchiò guardandolo. 
- In ogni caso mi sentivo in colpa perché hai ritardato le tue vacanze per me. - spiegò infine con dolcezza. A quella modalità a cui era impreparato, Carlos trattenne il fiato e spalancò gli occhi come un cucciolo. Jannik sorrise intenerito e scosse il capo finendo poi per baciarlo e suggellare definitivamente la pace. 
Pace ottenuta comunque più che bene con l’orgasmo appena avuto. 
Carlos ricambiò il bacio aprendosi subito a lui e stava tornando a strofinare il bacino contro il suo per ricominciare istintivamente e senza riflettere, quando Jannik dovette ritirarsi a malincuore. 
- Devo veramente andare. Torno dopo e ne facciamo un’altra. - disse sulla sua bocca che Carlos non gli restituiva. Non gli restituì nemmeno il corpo a cui rimase ancorato come un koala. 
- Carlitos, mi devi liberare... - mormorò ridendo contro la sua bocca ancora premuta sulla sua come il resto del suo corpo. Carlos aumentò la presa e lui rise più forte. 
Forse erano qualcosa più di amici con benefici, ma non era ancora il momento di parlarne e definirlo. Tutto quel che contava, era che comunque in cima ci fosse ancora lui, per Jannik. Per il resto c’era tempo. 


Note Finali: penso che dopo la finale e la premiazione i vincitori della Davis Cup abbiano avuto la conferenza stampa a cui non so chi dei nostri c'era, sinceramente ho un po' cercato ma non ho trovato e avrei potuto cercare meglio, ma ho deciso di darmi tregua. Avevo questa scena in mente di Jannik che scappava mentre gli altri stavano ancora festeggiando e così ho scritto. Una sveltina focosa giusto per chiarire come si deve chi è che Jannik desidera da matti. La loro relazione prosegue senza correre (anche se Carlos sarebbe già sposato a Jannik) e sono curiosa io stessa di vedere quando passeranno a giurarsi amore eterno. Ho scritto anche un'altra fic sull'Australian Open, ma una cosa molto corta per una scena demenziale che mi era venuta in mente. La pubblicherò fra 4 giorni circa. Questa settimana inizierò a tradurre in inglese questa fic. Grazie a chi legge e commenta, sono contenta che il mio stile piaccia, ma ancor di più che piacciano questi due. Fidatevi, ho occhio per le coppie slash, questi due ci daranno tantissime gioie che nemmeno immaginate! Buona lettura. Baci Akane