NOTE: terza fic della serie ‘Bocca e capelli’. Ci aggiungerei ‘e lingua’, perché qua entra in scena un altro elemento di Jannik che a Carlos manda in delirio. Il tic che l’italiano fa con la lingua quando vince un punto difficile od una partita. È una cosa che fa spesso e ho pensato che a Carlos potesse mandare fuori di testa.
Siamo ad Umag nell’Open della Croazia, fine Luglio 2022, un mesetto dopo Wimbledon. Lì i due si sono scontrati in finale, ma la fic si ambienta la sera precedente. Avendo io controllato gli orari delle semifinali che avevano giocato il sabato e l’orario giocato la domenica, mi sono fatta quattro calcoli probabili (sempre considerando che non ho mai giocato a tennis e che vado ad intuito) ed ecco la mia fic. È tutta dal punto di vista in terza persona di Carlos. So che i due spesso si allenano insieme, non so se in quel torneo l’avevano fatto, ma ho supposto di sì. Per la verità io ho scoperto questi due praticamente nella settimana delle Finals di quest’anno, perciò li conosco poco e certe cose sono totalmente istintive.
Come già detto, seguiranno altre fic.
Buona lettura. Baci Akane
Faceva questa cosa con la lingua.
Tutte le volte che vinceva una partita od uno scambio particolarmente difficile, lui faceva questa cosa con la lingua.
Si leccava le labbra con la punta, non la tirava del tutto fuori, era una cosa lieve e appena accennata e totalmente seducente.
Stringeva il pugno vicino al corpo, tirava i muscoli e si leccava le labbra e lui, puntualmente, tutte le volte, moriva.
Ma la cosa che lo mandava tanto fuori di testa, era che Jannik non se ne rendeva conto. Non lo faceva con intenzione e volontà.
Era forse l’unica cosa totalmente spontanea ed involontaria.
“Dio, cosa mi farei fare da quella lingua!” pensò Carlos muovendo la mano sulla propria erezione ormai dura e pulsante. La memoria era volata alle volte che l’aveva intravisto nudo negli spogliatoi, quando gli era capitato di allenarsi nel suo stesso orario.
Vedendo la sua partita, come se le vedeva tutte, aveva realizzato alcune cose.
La prima, adesso l’avrebbe affrontato in finale.
L’avrebbe visto a tu per tu, quella lingua spuntare sulle labbra.
Sarebbe stato lui il diretto responsabile per quel gesto, perché non sapeva chi avrebbe vinto, ma sapeva che avrebbero lottato duramente e che qualche scambio Jannik l’avrebbe vinto. Quando avrebbe fatto quella cosa con la lingua, sarebbe sicuramente morto.
Sapeva, si conosceva, non era in grado di separare le cose e di stare concentrato. Era un tutt’uno con ogni sua emozione. Era un vulcano.
Un’altra cosa che aveva realizzato era che probabilmente alla fine Jannik avrebbe vinto, specie sapendo che dopo, alla fine della loro partita, sarebbero stati insieme in spogliatoio. Era una finale, i due giocatori dovevano fermarsi entrambi in campo per le premiazioni perciò ci si cambiava e lavava insieme, non era una cosa che capitava sempre, nelle partite normali il vincitore si fermava in campo per più tempo del perdente.
Infine aveva realizzato che a prescindere dal risultato finale, avrebbe potuto abbracciarlo di nuovo. Avrebbe avuto l’occasione per farlo.
Jannik non era uno che si prodigava in espansioni di alcun genere, come lui invece. Ma non scappava se qualcuno prendeva una certa iniziativa per un motivo più che valido.
In altre parole, a fine partite c’era sempre il saluto e se l’abbracciava, lui non sarebbe scappato e non l’avrebbe schivato.
Ripensò alla partita di Wimbledon, a quando si erano abbracciati alla fine. Era stato lui a prendere l’iniziativa senza nemmeno esitare, ma Jannik non l’aveva evitato, non si era nemmeno irrigidito. Si era stupito della sua manifestazione fisica entusiastica, ma l’aveva accettata di buon grado.
Ora, tutte le volte che si incontravano, Jannik gli sorrideva e scherzava.
Era sciolto, era veramente molto più sciolto. In campo rimaneva serio e concentrato, distante da tutti anni luce e non lo vedeva chiacchierare amabilmente o ridere con chiunque, qualcuno forse, ma non sempre. Con lui ovviamente lo faceva.
E voleva ben vedere, dopo quella notte speciale pre partita a Wimbledon. Un torneo decisamente indimenticabile.
Speciale anche se non era successo niente, in realtà. Ma sapeva, l’aveva notato, se ne era reso conto che era quasi successo. Non si erano baciati per poco, ma erano stati vicini al farlo.
Tutte le volte che si incontravano parlavano un sacco, non per iniziativa di Jannik, ma lo faceva.
E rideva. Perché lo faceva ridere lui, ma non era forzato.
Era una bella risata e tutte le volte che riusciva ad illuminarlo così, a farlo rilassare sempre più, lui si sentiva al settimo cielo.
La testa volò a quel giorno insieme sotto la doccia, sempre allo stesso torneo ma prima di quella serata strana. Non l’avevano fatta realmente insieme, ma si erano sfiorati scambiandosi di posto. Era stata la prima discussione, da lì erano diventati amici. Ne era sicuro.
Ormai lo erano. Non esisteva che qualcuno ne dubitasse.
Sapeva di essere speciale per lui. Sì che lo sapeva. Ne era convinto.
Non aveva un solo dubbio, perché vedeva che si lasciava andare solo con lui e che con lui mostrava un lato del suo carattere molto più sciolto e solare.
Faceva fatica, perché era abituato ad essere sempre contenuto e chiuso, ma con lui era così tanto spinto a buttarsi, chiacchierare, scherzare e ridere, che lo faceva ed era merito suo. Non era idiota, sapeva che non era così con nessuno.
Era maledettamente esaltante, come vincere una partita impossibile.
Sopra ogni cosa poi c’era il suo gioco.
Adorava letteralmente guardarlo giocare, non lo faceva perché non aveva niente da fare od era appassionato di tennis.
Lo faceva perché era incredibilmente ipnotico.
Aveva dei nervi d’acciaio assurdi, non perdeva mai la testa, in nessun caso. Anche se perdeva una partita, non lo vedevi mai scomporsi e tutto quel che si concedeva, poi, era quella cosa con la lingua che lo mandava fuori di testa.
Assurdamente, irrimediabilmente, al punto di fantasticare di averla su di sé.
A leccargli la sua erezione che veniva dura, sotto di lui, nella sua bocca. Con la sua lingua.
Carlos ricordò quel famoso fazzoletto pieno del suo sperma beccato sotto il suo letto, quella sera in camera sua.
Non ci aveva ovviamente pensato, aveva solo agito precipitosamente com’era nel suo stile.
Aveva pensato di volerlo vedere e si era presentato in camera sua. Quando aveva poi intravisto che nascondeva qualcosa sotto il letto, non aveva proprio potuto non guardare di cosa si trattava e non capendo subito cosa fosse, era stato a dir poco epico il modo in cui Jannik glielo aveva reso noto.
Senza dirlo apertamente, ma Dio Santo, aveva fatto un’espressione così eccitante. Così maliziosa. Così calda. Aveva ovviamente capito subito di cosa si trattava grazie a quello sguardo.
L’eccitazione crebbe a livelli assurdi e Carlos si tese sul letto, tendendosi all’indietro ed inarcando la schiena. Stava per venire pensando a cosa si era fatto quella sera poco prima che lui gli piombasse in stanza, fantasticando se magari avesse pensato a lui nel spararsi quella sega, e lì il telefono decise di vibrare.
Vicino all’apice, Carlos non smise di masturbarsi, ma si limitò a scivolare solo con lo sguardo sullo schermo e leggendo il suo nome, gli venne un colpo.
Proprio lui gli aveva mandato un messaggio.
‘Ci vediamo in finale!’
Gli aveva scritto.
Jannik gli aveva scritto. Aveva pensato a lui scrivendogli e non vedeva l’ora di scontrarsi di nuovo. Lo sapeva. Lo sapeva di essere speciale.
Carlos venne con uno scoppio di piacere piuttosto soddisfacente, continuando a pensare a lui, alla sua lingua, al loro abbraccio dopo Wimbledon e a quel fazzoletto carico dei suoi umori.
Senza pensare che sarebbe potuto essere imbarazzante, poi, ritrovarselo davanti dopo essersi fatto uno splendido lavoretto di mano pensando a lui e alla sua lingua. Quella che domani avrebbe avuto davanti.
Senza pensare a nulla, in effetti. Perché tanto non avrebbe avuto vergogna a ritrovarselo davanti, non avrebbe avuto un minimo di esitazione. Non un solo briciolo di imbarazzo.
Anzi, sarebbe stato al settimo cielo pur di vederlo ridere, perché sì, certo che l’avrebbe fatto ridere. Avrebbe fatto di tutto per vedere la sua luminosità per sé. Di tutto.
‘Non vedo l’ora!’
Gli rispose subito leccandosi le labbra carnose che tanto piacevano a Jannik, che quella famosa sera si era perso a guardargli di nuovo nonostante quel patto di non farlo in cambio di non sparare battute sui suoi capelli rossi. Era stato bello farsele guardare, non si era controllato ed aveva dimostrato quanto ne fosse attratto ed assetato. Si era controllato, ovviamente, ma un giorno non l’avrebbe fatto.
“Le leccherai con la tua lingua, queste labbra che tanto desideri.”
Perché ovviamente sapeva anche quello.
‘Che fai, passi da me?’
Sebbene a Wimbledon fosse stata casuale la scelta dello stesso hotel, in quell’occasione, sapendo che avrebbero entrambi partecipato all’open di Umag, aveva espressamente e sfacciatamente chiesto a Jannik dove avrebbe dormito e a quel punto aveva imposto al suo entourage il suo stesso albergo. Normalmente nell’ATP tour, i tornei organizzanti davano a disposizione qualunque cosa potesse servire ai giocatori, compresi hotel di lusso, ma era facoltà dei giocatori poter scegliere altre opzioni per dormire. Per cui assicurarsi sulla scelta finale di qualcuno non era una cosa tanto sciocca od inutile. Non sarebbe stato il caso di Jannik scegliersi un hotel diverso da quello fornito, né Carlos ne vedeva la necessità. Però sapeva per esempio che Rafa, Nole e Roger avevano spesso preferito alloggi privati diversi dagli altri. Purtroppo.
Era bello, infatti, ritrovarsi tutti insieme e gli piaceva avere tutti i suoi colleghi nello stesso hotel. In certi casi era quasi imposto, ma era comunque raro. Per esempio sapeva che le finals ospitavano i giocatori nello stesso albergo di lusso e nessuno sceglieva mai opzioni differenti, ma il tour era lungo e vario e non intendeva perdersi una sola occasione con Jannik.
Si erano anche allenati insieme, sempre su sua richiesta e senza una scusa valida l’aveva salutato abbracciandolo perché sì, lui era uno fisico ed espansivo che amava i contatti fisici e poco importava se a Jannik non andassero a genio. Poteva rifiutarli, ma li accettava sempre molto ben volentieri. Fra l’altro era una cosa che contava di fare di nuovo, cioè organizzare di proposito allenamenti insieme, ma anche abbracciarlo senza scuse, tanto più che erano utili per entrambi.
Jannik tutte le volte non riusciva a dirgli di no, poteva ormai chiedergli qualunque cosa che lui acconsentiva ridendo, a volte un po’ accondiscendente, ma non aveva importanza. Contava il risultato e poi sapeva che gli piaceva.
Jannik rispose poco dopo, schietto come non sempre era.
‘Non è una buona idea questa volta!’
A Carlos venne un colpo leggendo.
Aveva guardato la partita col suo gruppo, dopo cena. Poi, capendo che stava per vincere e sentendosi eccitare guardandolo e notando le proprie evidenti reazioni fisiche, era corso in camera fingendo stanchezza, cosa falsissima.
Aveva dovuto spararsi una sega e l’aveva fatta guardando quella cosa con la lingua che aveva puntualmente fatto alla fine del match.
Adesso cosa gli veniva in mente di negarsi?
‘Perché? Giochiamo domani sera!’
‘Sono quasi le 23’ gli fece notare Jannik. Ma Carlos sapeva che non era quello il motivo.
Si mise seduto bene a gambe incrociate gettando il fazzoletto con cui si era ripulito, facendo inconsapevolmente la stessa cosa del suo collega di quella famosissima sera.
‘E allora? Giochiamo domani alle 20!’
Insisteva polemico e testardo, sapeva che voleva venire ma non osava per un altro motivo.
‘E poi non sei stanco, l’hai battuto alla velocità della luce! Dai, ti aspetto nella mia camera! Prendi da bere e da mangiare!’
Non che potesse avere realmente fame, aveva appena cenato con la sua solita abbondanza, ma era più un automatismo. E poi ogni volta che faceva qualcosa che gli piaceva, gli si spalancava lo stomaco.
Gli scrisse pure il numero della camera.
Carlos rimase a tamburellare con le dita sulla superficie del letto, seduto ora sulle gambe piegate sotto di sé. Si mordicchiava le labbra nervoso fissando la scritta ‘Jannik sta scrivendo’. Poi finalmente gli arrivò la risposta che lesse con ansia.
‘Domani è una finale, non è una partita qualunque. È meglio se non ci vediamo stasera.’
Stanotte, pensò Carlos. Erano le undici, tempo che avrebbe preso tutto e che si fosse finito di preparare, sarebbe arrivata verosimilmente mezzanotte. Di notte le inibizioni calano, non sapeva perché ma era da sempre così.
Se qualcosa doveva succedere, era sempre di notte.
In camera, poi.
Come quella volta che si erano creati quei momenti.
Carlos gli rispose subito senza nemmeno riflettere.
‘Ma io ho voglia di vederti!’
Non c’era un motivo e soprattutto non erano forse cose da dire realmente anche se le pensavi.
Non tanto per il fatto che fossero due ragazzi e teoricamente solo amici, quanto perché quelle cose si dicevano sempre e solo alla propria ragazza. O ragazzo, ovviamente.
Loro per il momento non stavano insieme.
Non immaginò lo stato allucinato in cui doveva aver gettato il povero Jannik dopo quel messaggio, ma attese la sua risposta con l’ansia alle stelle.
Quando arrivò, però, non fu così bella come aveva sperato.
‘Carlos, è meglio di no stasera. Ci vediamo domani. Se vuoi dopo la partita ceniamo insieme!’
Carlos spalancò gli occhi incredulo che gli avesse prima detto di no e poi dato il contentino per tenerlo buono.
Beh, alla faccia del contentino.
Gli aveva dato appuntamento dopo la partita!
“Maledetto, sa come rigirarmi a piacimento, eh? Va bene, ma questa te la faccio pagare!”
‘Saremo soli?’
Come sempre non pensava. Non poteva. Non ne era in grado.
I suoi neuroni non erano fatti per pensare.
‘Cos’è che non capisci del fatto che domani giochiamo una finale? Uno dei due vincerà e l’altro perderà. Come diavolo pensi che il vincitore potrà evadere dagli altri nel pieno dei festeggiamenti?’
Carlos fissò la sua risposta super logica.
“Ottimo punto. Come sempre. Figurati se quello non riflette. Perché non si butta, ogni tanto?”
Sospirando insofferente, alzò gli occhi al cielo, suo malgrado non si arrese perché non sapeva come si faceva. Un’altra delle cose che non erano nel suo DNA.
‘Se uno vuole, il modo lo trova!’
‘Il vincitore può invitare il perdente ai festeggiamenti, ma non è possibile che cancelliamo tutti gli altri con noi...’
Cercava ancora di farlo ragionare, ma a quel punto Carlos, spazientito, lo chiamò direttamente.
Le tempie pulsavano seccate, mentre Jannik osava non rispondere subito.
Spalancò gli occhi sconvolto da tale affronto, poi per fortuna si degnò di rispondere.
- Non mi importa come, hai promesso di andare a cena insieme! Mi devi un appuntamento! - sbottò precipitoso. Al di là del telefono, sentì dei rumori che indicavano che Jannik stava camminando. Aveva pensato di sentirlo fermo in macchina a quell’ora, in dirittura di arrivo all’hotel.
- Carlos, sei un martello pneumatico! Ho trovato il tuo soprannome! - esclamò esasperato, ma lo sentiva mentre rideva e Carlos saltò giù dal letto aprendo la porta della camera, avendo un’intuizione senza nemmeno sapere come.
Il corridoio era ancora vuoto ed in penombra, poco illuminato di sera come da consuetudine, ma sentì dei movimenti provenire dalle scale. Qualcuno stava salendo.
Carlos sorrise vittorioso leccandosi le labbra un po’ alla maniera che aveva fatto Jannik dopo la vittoria.
I suoi occhi scuri attenti, puntati proprio nell’angolo che a breve avrebbe mostrato l’arrivo della persona. Ma sapeva chi era, se lo sentiva.
Era stato scelto logicamente un comodo hotel vicino ai campi del torneo, perciò non ci si metteva tanto ad arrivare.
E Jannik era un bravo ragazzo diligente che giocando di sera andava subito in camera a posare le sue cose, prima di raggiungere gli altri e andare a cena da qualche parte.
Nessun giocatore cenava prima di una partita, ovviamente metteva qualcosa di sano e nutriente nello stomaco per non svenire giocando, ma non era mai una cena vera, nemmeno se si giocava di sera.
Perciò Carlos, in quel brevissimo lasso di tempo mentre Jannik pensava di averlo convinto a mollarlo, trattenne il fiato con l’eccitazione già alle stelle, fermo davanti alla propria camera aperta.
Quando finalmente dal fondo del corridoio spuntò Jannik da solo, il suo sorriso irradiò al settimo cielo e con un pizzico di notevole desiderio.
Jannik lo vide, entrambi col telefono agli orecchi, e si fermò non credendoci di trovarselo lì.
Ma forse un po’ l’aveva sperato.
- Ti precipiti in camera sapendo che la tua è nel mio stesso corridoio e che ti aspetto e ti stupisci che ti intercetto? Mi credi davvero idiota? - disse schietto al telefono nonostante avrebbe potuto ormai parlargli di persona.
La voce rimbombò e Jannik facendo un’espressione trattenuta e stralunata, scosse il capo e spense la comunicazione facendosi avanti.
Dovette fermarsi davanti a lui, vedendo che gli bloccava la strada. Mani nelle tasche, aria strafottente, maliziosa, divertita, in attesa.
Rimasero un attimo in silenzio a fissarsi e Jannik, come di consueto, scivolò con gli occhi sulla sua bocca, cosa che Carlos aveva ardentemente sperato facesse.
Sapeva che il ragazzo era in grado di controllarsi alla perfezione, perciò sapeva anche che se continuava a guardare la sua bocca dopo che gli aveva promesso di non farlo più, era perché lo voleva intenzionalmente.
Del resto gli aveva anche detto che non gli dava veramente fastidio se lo faceva lui.
Quell’attimo di intesa sessuale rimase lì ad aleggiare fra loro, fino a che Jannik parlò per primo. Divertito, sforzandosi male di essere serio.
- Sei proprio insistente!
- E tu sei solo. Che fine hanno fatto gli altri? Non devi cenare?
Jannik alzò le spalle coi due borsone di tennis appesi.
- Devo mettere giù le cose. - gli fece notare logico, controllando abbastanza bene la sua espressione.
Carlos ripensò a quella cosa che aveva fatto con la lingua e che voleva rivedere di persona. Non sapeva come fargliela fare al di là di una partita, ma doveva esserci un modo.
- La macchina non ce l’avete?
Ovviamente ce l’avevano.
- Ceniamo qua, il ristorante ci ha aspettato, si perde solo tempo ad andare in giro a cercarne uno con la cucina ancora aperta.
La sua spiegazione era sempre estremamente logica, ma Carlos si morse il labbro inferiore e questo gesto venne ovviamente notato e guardato da Jannik che ebbe un guizzo di malizia ed eccitazione nei suoi occhi.
I capelli erano tutti ricci sulla fronte e gli coprivano parzialmente lo sguardo, ma era così evidente, per lui. Ogni minima inclinazione, per lui, lo era.
- Non ti sei nemmeno dovuto lavare i capelli! Ma hai sudato?
Così dicendo gli toccò i capelli, ovviamente dimenticando il tabù. Jannik spalancò istintivamente gli occhi e si irrigidì per un momento, ma al contatto delle sue dita che si infilavano fra di essi sentirono entrambi una scarica elettrica che si trasformò in piacere.
Carlos lo voleva abbracciare, non toccare e basta. Tutte le volte che lo vedeva sentiva il bisogno di abbracciarlo, ma sapeva che doveva avere una scusa valida per farlo. Anche perché uno particolare come Jannik finiva per scappare, ad un certo punto.
Tuttavia in quel caso non si ritirò e rimase lì, liquido, rilassato, con la sua mano fra i capelli.
Carlos si leccò di nuovo intenzionalmente le labbra mentre Jannik non sapeva più cosa rispondergli e non trovava la forza di spostargli la mano.
Ma quando vide la sua lingua sulle labbra carnose che tanto gli piacevano. senza rifletterci né controllarsi, fece altrettanto.
Tirò fuori la punta della lingua e si leccò le sue, esattamente in quello che Carlos aveva ardentemente sperato di vedergli fare.
Ora eccolo lì di persona, tutto per lui. Si eccitò con un’ondata, totalmente dimentico dell’orgasmo avuto prima.
Carlos vittorioso ed eccitato tolse la mano dai suoi ricci e voltò il capo guardando dentro. Il fazzoletto per terra. Inequivocabile messaggio ormai fra loro.
- Vuoi entrare, allora?
Jannik seguì il suo sguardo e non poté non notare quel fazzoletto, non poté non capirlo. Tornò a guardare subito Carlos, fermo sfacciatissimo e totalmente rilassato davanti a lui, la mano di nuovo in tasca, le braccia scoperte per il caldo della Croazia a fine luglio. I muscoli in bella mostra di sé.
Sapeva di piacergli, era praticamente il segreto di pulcinella.
Ma Jannik, nonostante avesse capito perfettamente tutto, specie l’invito implicito, scosse il capo impercettibilmente, totalmente immerso nel suo sguardo ora allusivo.
- No, meglio di no. Domani c’è una finale da giocare.
Carlos rise.
- Lo stai ricordando a te o a me?
Non poteva tenersi per sé certe cose. Jannik arrossì e alzando il mento gli passò accanto superandolo. Nel farlo dovette toccarlo delicatamente con il braccio, bruciandolo.
Carlos voleva allungare le sue e stringerlo, ma doveva ancora aspettare.
L’indomani sera avrebbe avuto la scusa per fetta.
- A domani, allora. - lo salutò infine capendo che non l’avrebbe vinta, quella sera.
- Buonanotte. - disse Jannik proseguendo verso la sua camera, in fondo al corridoio.
- Guarda che domani per me è una promessa! In un modo o nell’altro, tu ed io!
Ma non fu esplicito su cosa nel dettaglio, tanto che a Jannik cadde la carta magnetica della camera facendolo ridere sadicamente.
Jannik gli lanciò un’occhiata stralunata, poi entrò e sparì al sicuro nella sua stanza.
Carlos sorrise vittorioso tornando dentro alla propria, mordicchiandosi il lato interno della guancia mentre rifletteva sui grandi passi in avanti e su quella promessa per il giorno dopo.
“Pensa di manipolarmi, non sa che ce l’ho in mano. Domani sera che lo voglia o no. E comunque lo vuole. Domani sera, io e lui.”
Con questo si buttò sul letto, ignorando il fazzoletto a terra. Sorridendo sognante e felice come avesse vinto un titolo.
L’ATP tour era veramente straordinario.