NOTE: seconda fic della serie sincaraz ‘bocca e capelli’. Ancora la fissa sulla bocca di Carlos per un Jannik che si trova in una situazione a dir poco complicata. Siamo qualche giorno dopo la fic precedente e seguiamo il nostro rossino preferito, sempre in quel di Wimbledon 2022, alla vigilia della partita che li ha poi visti scontrarsi. Me li sono immaginati così. Ormai praticamente amici, ma decisamente avviati verso qualcosa che sarà inevitabile. Come già anticipato, anche tutte le altre fic della serie sono già pronte e continuerò a pubblicarle a cadenza regolare, ogni 4 giorni circa. Buona lettura. Baci Akane

QUELLA DANNATA BOCCA

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Cosa diavolo gli aveva fatto?
Fino a quel momento non se ne era nemmeno reso conto, ma poi, dopo quell’istante, dopo quello scambio, quello sfiorarsi, quel toccarsi, era stata letteralmente la fine. 
Non era più stato in grado di ignorarlo e dimenticarlo.
Non solo, nemmeno di negarlo.
Fino a quel momento non l’aveva saputo, per niente, ed ora invece sembrava così vero, così scontato, così ovvio. 
Nell’esatto momento in cui Carlos gli aveva detto di non guardargli la bocca sciorinando tutte le allusioni sessuali e le battute subite a proposito, per lui c’era stata solo una dolorosa ed abbagliante illuminazione. 
Aveva ragione. 
Gli aveva sempre guardato la bocca, eccome. 
Proprio per il motivo così ampiamente illustrato da lui.
Proprio quello. 
Eppure era così.
Quella bocca, quella dannatissima bocca carnosa, era la più sensuale e calda che mai avesse visto. 
Si incantava tutte le volte, senza accorgersene, e non aveva mai dato retta ai suoi pensieri, non aveva mai capito il motivo per cui gliel’aveva sempre fissata. 
Sapeva solo che era come una calamita per i propri occhi, ma ora che glielo aveva ben spiegato lui, era consapevole che aveva proprio ragione. 
“Chissà che pompini vengono con quelle labbra morbide!”
Probabilmente se Carlos non glielo avesse fatto notare non ci avrebbe mai pensato, non ci sarebbe mai arrivato realmente.
Magari prima o poi, ma aveva dato una bella accelerata alla realizzazione. 
Tuttavia quello era stato il meno, visto che per tormentarlo meglio l’aveva seguito anche sotto la doccia. 
“Solo lui poteva dirmi che gliela guardavo come per violentarla! È come dire ‘smettila di avere fantasie sessuali su di me!’ Di fatto l’ha detto. Nessuno, rendendosi conto di certe cose, lo direbbe. Lui sì. Sembra quasi irreale!”
Non gli era mai capitato nessuno, come lui.
Come se non bastassero le labbra e il carattere sfrontato e provocatore, il suo corpo era un’autentica favola ed ora per colpa sua che aveva fatto di tutto per farsi notare, non riusciva a smettere di pensarci. 
Aveva un corpo esplosivo e se a vent’anni era così, come sarebbe stato fra un paio d’altri, nel pieno della sua maturazione? 
Lui doveva gareggiare con uno così?
Una bomba sexy terribilmente insistente che non filtrava mai i pensieri prima di sputarli fuori da quella bocca da violentare? 
Perché lo sapeva che sarebbero finiti per scontrarsi sempre, non solo perché di fatto adesso gli toccava concretamente affrontarlo in campo, ma perché Carlos era troppo bravo e lui esigeva di scontrarsi coi più bravi. Perché era fra loro che voleva stare. 
Non fra i mediocri che annaspano per qualche risultato decente ogni tanto, bensì fra i bravi che lottano per le prime posizioni, per le finali, per i titoli. 
Lottare con lui, essere il suo diretto rivale, significava stare in alto. 
Perché là Carlos sarebbe arrivato. L’aveva capito subito guardandolo giocare. 
Jannik da quel giorno era tormentato dal suo corpo nudo muscoloso sotto la doccia che si avvicinava al proprio altrettanto nudo e bagnato, allungava il braccio per riaprire il rubinetto dell’acqua appena chiuso e si infilava prepotentemente nel box prendendo il suo posto senza nemmeno lasciarlo uscire. 
Si erano sfiorati, i corpi erano diventati elettrici, si erano scaldati subito, le loro erezioni erano diventate dure. 
Non poteva esserne sicuro per Carlos perché non aveva osato guardarlo sotto, ma lui sì. Lui sì che era venuto duro. 
A malincuore era sgusciato via, ma era rimasto a guardarlo lavarsi al suo posto in attesa di una sciocca inutile risposta, per concludere un altrettanto sciocco inutile dialogo senza senso. 
Mai più battute su bocca carnosa e capelli rossi. 
Che idiozia, fra amici le battute si facevano. Perché erano quello, ormai, no?
Amici. 
Lui ci si sentiva tale, giorno dopo giorno che passava lì a Wimbledon e non solo per quel numero di telefono che si erano scambiati, ma perché tutte le volte che si incontravano, e come per magia erano tante, Carlos gli si attaccava immediatamente e lo riempiva di stronzate nel suo inglese allucinante che ci voleva molta fantasia per capire. 
E lui rideva. Cazzo, se rideva con lui. 
E gli rispondeva.
Si rendeva conto di essere lui diventato suo amico ed era stato così spontaneo e naturale.
Come ora la propria mano si muoveva sull’erezione, pensando a Carlos sotto la doccia, alla propria mano sul suo petto nel disperato tentativo di allontanarlo.
Solido, muscoloso, così ben formato, tonico. 
Chissà come sarebbe stato toccare il resto... 
Le sue spalle larghe, le braccia muscolose, i pettorali scolpiti. E poi? Com’era il resto del suo corpo che non aveva osato guardare?
Splendido, troppo splendido. 
‘Riesci a dormire? Io no! Sono troppo eccitato all’idea di giocare contro di te!’
Carlos aveva pensato bene di scrivergli proprio mentre si masturbava pensando a lui, così alla parola ‘eccitato’ sovrapposta all’immagine delle sue labbra, venne subito. 
Imprecò e sospirò sfinito ma soddisfatto e realizzato. 
Decisamente realizzato. 
Si pulì la mano in un fazzoletto che accartocciò e buttò a terra per poi tirarsi su pantaloni e boxer. 
Adesso stava bene, anzi, benissimo.
Ansimante, prese il telefono e rilesse il messaggio senza trattenere il sorrisino malizioso e compiaciuto. 
‘Scrivi al tuo rivale?’ rispose scherzando. Non si rendeva conto di farlo così tanto solo con lui. Ma gli veniva spontaneo e gli sembrava totalmente normale. 
‘Scrivo al mio amico. Ci beviamo qualcosa?’
Jannik rise scuotendo il capo in totale tranquillità. Era così convinto scherzasse. 
‘Sei tutto scemo, domani giochiamo.’
‘E stasera beviamo!’
‘Tu ti sei bevuto il cervello, non hai bisogno di bere ancora!’
‘Ma è presto, abbiamo appena cenato!’
Jannik decise di non rispondergli più mettendosi invece a girarsi sul letto a pancia in giù con un sorriso ebete e sognante sulle labbra. 
“Quel tipo mi rincoglionisce! Non è stato tanto difficile capire che mi piaceva quanto lo è ora rimanere sano di mente! Come cazzo ci gioco domani?”
Sospirando riprese il telefono vedendo che gli scriveva ancora. 
‘Che stanza sei?’
Jannik strabuzzò gli occhi fissando la sua domanda scritta sul display. 
Scherzava? 
Nel dubbio, gliela scrisse. 
Che fossero nello stesso hotel non lo stupiva, ogni giocatore andava nell’albergo o negli alloggi che preferiva, ma quelli più accreditati e solitamente usati tendevano ad essere un po’ sempre gli stessi. 
Se poi due si mettevano d’accordo, potevano serenamente andare nello stesso proprio di proposito, ma non era stato il loro caso. Non quella volta. 
Non sapeva cosa sarebbe successo le prossime, però per il momento niente era stato premeditato. 
Quando bussarono realmente alla porta, per poco non gli venne il cuore in gola. Strinse il telefono fra le dita e si girò assolutamente terrorizzato verso la porta. 
Il bussare divenne continuo ed insistente e questo gli tolse ogni dubbio. 
Era veramente lui. 
Per un momento soppesò l’idea di far finta di non essere lì, ma a quel punto il telefono iniziò a vibrare fra le mani e guardandolo inorridito, vide che lo stava chiamando. 
Dal momento che non rispondeva nemmeno a quello, Carlos ebbe la bella idea di chiamarlo a gran voce e a quel punto Jannik dovette saltare giù dal letto e correre ad aprire, prima che ogni persona nell’albergo potesse scoprire che era da lui. 
- Sei impazzito? Domani saremo avversari, che diavolo ci fai qua? - chiese fissandolo shoccato, incredulo che fosse veramente lì.
Carlos lo salutò con un gran sorriso felicissimo, sollevando due lattine di Lemon Soda e chiudendo il telefono ancora aperto sulla sua chiamata. 
- Ti ho detto che venivo! Comunque giocheremo fra 24 ore esatte, domani sera, hai voglia per quella volta di essere pronto! Mica dobbiamo fare l’alba! Solo una bevuta insieme, che diavolo vuoi che sia? Siamo solo noi due!
Jannik capì che se non l’avesse fatto entrare, avrebbe continuato a parlare all’infinito. Fra l’altro interpretarlo era a volte a dir poco complesso. 
Certe volte infilava parole totalmente inventate nel suo inglese osceno, ma purtroppo lui non conosceva lo spagnolo. 
Una volta dentro, Jannik si voltò a guardarlo aggirarsi nella stanza e quando i propri occhi finirono per terra sul fazzoletto che aveva usato per pulire il proprio sperma, per poco non svenne.
Avvampò e spalancò gli occhi andando nel panico, mille scenari in un istante si figurarono nella mente, tutti con Carlos che, notandolo, lo metteva così tanto in imbarazzo da volersi poi sotterrare. 
Lo guardò subito in allarme, Carlos parlava ancora quell’inglese inventato che ormai non ascoltava più e si muoveva a caso per la camera sorvolando con lo sguardo in giro. Per fortuna non per terra, non aveva ancora notato la prova del reato, ma non sapeva come fare per raccoglierlo senza farsi scoprire. Se avesse visto che tirava su un fazzoletto da terra, avrebbe sicuramente capito subito perché non era idiota come aveva sperato fosse.
Purtroppo era anche troppo sveglio.
Non aveva proprio idea di come fare, ma era tassativamente essenziale raccoglierlo. 
- Comunque ho anche fame, ma non ho pensato a prendere qualcosa da mangiare... 
Questo distrasse Jannik che lo fissò pensando scherzasse. 
- Come, hai fame? Ti sei scofanato il mondo intero a cena! 
- Eh, a cena... - disse Carlos alzando le spalle e voltandosi verso di lui. 
- Ma era 40 minuti fa! 
- Eeeehhh... sai quante cose si fanno in 40 minuti? 
“Tranquillo che lo so. Ci si fa una sega, per esempio! Come cazzo faccio?”
Jannik tornò al proprio problema mentre Carlos gli porgeva una delle due lattine. La prese controllandosi egregiamente in quello che era il suo talento migliore.
Fare finta di nulla, gestire, soffocare. 
Sapeva di avere buoni nervi, ma Carlos ultimamente glieli metteva a dura prova. 
- Comunque non hai niente da mangiare? 
- No. - sperò si proponesse di tornare giù a prendere qualcosa, ma Carlos sospirando rassegnato si buttò sul suo letto in modo molto arbitrario e pericoloso.
Se avesse guardato in basso, l’avrebbe visto.
Oltretutto era nel suo letto. 
Maledetto. 
Perché doveva essere così sé stesso? 
Non aveva idea del dramma che stava passando, ma non sapeva per quanto avrebbe ancora potuto rimanere impassibile. 
- Vabbè dai, siediti che beviamo insieme! 
Voleva chiedergli perché, ma era troppo concentrato per capire come eliminare le prove del misfatto, così girando intorno al letto, si posizionò dal lato opposto da dove si era seduto lui e prima di sedersi diede un calcio al fazzoletto facendolo finire sotto. 
A quel punto, però, dovette sedersi sul serio, realizzando così d’avere un altro problema. 
Un problema portato fondamentalmente dal fatto che si era seduto nel suo stesso letto e che per conversare, cosa normale visto che dovevano bere qualcosa insieme, sarebbe stato sensato voltarsi uno verso l’altro. 
Carlos, che non capì perché non si era seduto sulla sedia che c’era lì davanti, si voltò appoggiando ovviamente la schiena alla spalliera, si tolse le scarpe e si mise bello comodo con le gambe incrociate, poi lo guardò in attesa che facesse altrettanto. 
Jannik dovette farlo.
Non aveva di certo senso rimanere di schiena, perciò si issò voltandosi verso di lui in una posizione uguale, non proprio rivolti uno verso l’altro, ma spalla a spalla. 
A quel punto iniziò a bere in silenzio, sentendosi anche peggio di prima, quando aveva avuto il delitto da nascondere. 
- Ti sei messo così per non guardarmi la bocca? - a questo Jannik tossì facendo andare la Lemon soda per la via sbagliata e soffocando iniziò a vedere tutto nero. 
Sporgendosi in avanti, si sentì la mano di Carlos battergli non poco delicatamente sulla schiena, ridendo. 
Ah, lui soffocava e quello rideva. 
Ma bravo! 
Dopo essere quasi morto, rimase a respirare profondamente, poi con le lacrime agli occhi girò il capo verso di lui che aveva ancora la mano sulla schiena, posata lì, in attesa di capire se dovesse ancora battere. Chinatosi verso di lui, si sporse e lo occhieggiò per vedere come stava e vedendolo che probabilmente era rosso come i suoi capelli e forse anche di più, vista la morte appena sfiorata, Carlos si strinse le labbra mordendosele per non dire quello che era fin troppo chiaro gli era venuto in mente. Glielo lesse nettamente in faccia.
Aveva promesso di non fare battute sul suo colore, non poteva dire ‘ora sei di nuovo rosso come i tuoi capelli!’
Ma voleva. Voleva tanto. E comunque lo pensò fin troppo chiaramente. 
- Tu però puoi fare battute sulla tua bocca, ma io non posso, eh? - brontolò roco con la voce ancora non ben tornata a posto, l’aria imbronciata. Si sentiva un bambino infantile, non lo era mai stato, ora improvvisamente era totalmente scomposto. 
- Allora potresti fare tu la battuta sul colore della tua faccia ora, così siamo pari di nuovo! - sparò senza minimamente ragionare su cosa stava dicendo. 
Jannik a quel punto non poté che ridere tirandosi su con la schiena e gettando la testa all’indietro. In quello si appoggiò di nuovo e Carlos ritirò la mano, con suo sommo dispiacere. 
Era un gran peccato, dopotutto. 
Dopo essersi calmati, Jannik si alzò andando al bagno per soffiarsi il naso e asciugarsi gli occhi pieni di lacrime per lo sforzo. 
- Che poi vorrei sapere perché ti sei tanto attaccato a me... - chiese dando voce a qualcosa a cui aveva pensato a lungo e che non pensava gli avrebbe mai chiesto. Era successo tutto in pochi giorni, lì a Wimbledon. 
Non capiva esattamente come e quando. 
Da parte sua chiaramente il momento di svolta era stato proprio sotto la doccia, quando avevano avuto quella discussione sulla sua bocca, ma per Carlos non capiva quando e perché, tuttavia proprio da quel giorno si era attaccato a lui un sacco, ritenendolo addirittura un amico tanto da infilarsi nella sua camera la sera prima della loro partita. 
Ed ora era seduto nel suo letto a...
Quando si voltò per tornare in stanza, lo vide tutto steso storto sul letto, con la testa penzolante oltre il bordo.
Jannik strabuzzò gli occhi. 
“Che cazzo fa? Controlla cosa ho nascosto prima? Ma allora se ne era accorto? Adesso gli cavo gli occhi!”
Ma non era realmente una persona irascibile, era solo molto attaccato alla propria privacy.
Privacy a cui a quanto pareva doveva dire addio, almeno in sua compagnia. 
- Carlos? - chiese non sapendo proprio come gestirlo, esasperato, stanco e sfinito peggio che in una partite di 5 ore di fila sotto il sole cocente. 
- Mm? - chiese lui sfacciatissimo senza tirarsi su. 
- Che diavolo fai? - fece tornando in camera. 
Carlos riemerse dal bordo del letto col fazzoletto accartocciato in mano ed un’aria maliziosa e vittoriosa insieme. 
- Mi chiedevo perché hai nascosto questo fazzoletto furtivamente... 
Jannik lo fissò shoccato che glielo chiedesse davvero, ma poi nel suo volto si dipinse un’aria totalmente ironica e maledettamente maliziosa. Molto più di quel che avrebbe mai pensato di poter essere. 
- Secondo te? 
Non lo era mai stato in vita sua, la malizia, l’ironia e la seduzione erano ben lontani dal suo modo di essere, ma di nuovo quel tipo gli tirava fuori lati che non aveva mai immaginato di possedere. 
Quando Carlos comprese, fu il suo turno di rimanere shoccato e lo fece spalancando la bocca e gli occhi, ma non divenne rosso e Jannik lo invidiò. Come faceva a non imbarazzarsi mai, mai, mai?
No, lui non si imbarazzò. Sorrise. Malizioso. Allusivo. Seducente. Caldo. 
Ed osò leccarsi le labbra. Le sue labbra carnose. 
- A chi pensavi? - chiese sfacciato, realmente convinto che fossero cose da chiedere a qualcuno che fino a qualche giorno fa non era praticamente nessuno per te. 
Jannik lo guardò sorpreso che glielo chiedesse sul serio ma decidendo di provare a tornare in sé, lo ignorò sedendosi al posto di prima, sul letto, e riprendendo la lattina di Lemon Soda. 
- Te lo scordi che te lo dico! - rispose freddamente. 
Carlos a quello si voltò verso di lui sempre col fazzoletto in mano. 
- Davvero non me lo dici? - chiese incredulo che non volesse condividere quel dettaglio così succoso. 
L’italiano bevve e questa volta non si soffocò. 
- E comunque non è una cosa che io al tuo posto terrei tanto tranquillamente in mano... ma vedi tu... - fece totalmente indifferente e di nuovo in controllo. 
Carlos parve realizzare a scoppio ritardato cosa c’era effettivamente dentro anche se l’aveva capito subito e facendo una smorfia lo lasciò gettandolo per terra, di nuovo in bella mostra. 
- Sei tu che sei venuto a ficcanasare nei miei affari. 
- Affari... - fece Carlos ripetendo divertito mentre riprendeva posizione e lattina, rivolgendosi tutto verso di lui e non a metà com’era prima.
- Sono venuto a fare due chiacchiere e a bere con un amico! Che affari sono? 
Jannik, ridendo, non trovò scelta che fare altrettanto, girandosi a sua volta e quando furono a tu per tu, poterono di nuovo ammirarsi in viso.
I suoi occhi, senza rendersene conto, tornarono sulla sua bocca carnosa. 
Lo fece totalmente involontariamente, come se fosse calamitato da quella visione troppo sexy che desiderava da matti.
Se ne rese comunque subito conto, così come se ne rendeva conto Carlos, ma non ci furono battute o risate, né Jannik distolse lo sguardo. 
Rimase lì ipnotizzato a guardargliele. Sempre più serio. Sempre più catturato.
Sempre più consapevole.
Consapevole da parte di entrambi, ma soprattutto sua. 
Carlos parve capire che gli guardava la bocca di proposito. 
Calò il silenzio, un silenzio strano, innaturale, ma non imbarazzante. Uno di quei momenti, se ne resero conto entrambi.
Di quelli che poi sarebbe bastato allungarsi per baciarsi e sarebbe stato naturale così come era stato tutto, fra loro. 
Ma nessuno dei due lo fece, non ancora pronti a quell’atto. Consapevoli, però, che sarebbe successo. 
- Ti dà davvero fastidio se te la guardo? - chiese piano Jannik, ammaliato dalle sue labbra che non era proprio possibile smettere di fissare. Erano così belle. 
- No, in realtà se me le guardi tu non mi dà fastidio. Perché so che anche se pensi certe cose, non me lo dirai mai e non mi bullizzerai per quello. 
A quella frase, ovviamente una di troppo di cui però Jannik ne fu felice per poter avere il via verso un dialogo in grado di scostarsi da quel momento, lo guardò negli occhi cogliendo il via. 
- Ti bullizzavano davvero? 
Carlos alzò le spalle e sorrise addolcendosi, mostrando per la prima volta i vent’anni che aveva. 
Si appoggiò con la spalla e rimase sempre rivolto verso di lui, la lattina a rigirarsela nella mano, ma lo sguardo alto sul suo, senza paura di sostenere il suo, né fretta di nascondersi. 
- Sì, te l’ho accennato, no? Mi prendevano in giro dicendomi che ero un succhia cazzi. - Jannik notò che quella parola la conosceva bene, in inglese, ma non commentò e non ci scherzò su. 
Era colpito dalla sua confidenza, perché era seria, ma non per farsi notare. Semplicemente si sentiva di dirglielo. Sembrava una cosa facile, da come ne parlava. Niente di che. Ma lui sapeva quanto facevano male quel genere di cose. 
- Anche io ero bullizzato per il mio aspetto delicato e non mascolino ed i capelli rossi.
Carlos inarcò un sopracciglio incuriosito. 
- Davvero? 
Jannik annuì, catturato dal suo sguardo che subito si aprì in un sorriso bellissimo dei suoi.
- Gliel’abbiamo fatta vedere, alla fine, a quegli stronzi, eh? - disse riferendosi ai bulli. 
Jannik si aprì in un sorriso altrettanto spontaneo, con lui non riusciva a non farlo. 
- Sono sicuro che tu i tuoi li mettevi a posto a suon di pugni, comunque... 
Era il tipo da reagire di petto e non farsi sottomettere. 
Carlos, sempre ridendo, sempre bellissimo, alzò il braccio e lo piegò gonfiando i muscoli per sdrammatizzare. 
- Dici? 
Jannik aumentò le risa. 
- Dico! 
Dio, come stava bene con lui in quel momento. 
Carlos finì di bere la sua lattina, sfoderando un poco delicato rutto che fece ridere ancora più forte Jannik, il quale naturalmente non osò fare il proprio preferendo ingoiarlo e facendosi anche male in quello. 
- Ho solo cercato un modo per rispondere a tono, una volta che mi sono irrobustito e che andavo contro a quelle merde, è andata bene. Ma prima... - riprese serio. Jannik aveva finito la propria lattina e come lui se la rigirava fra le mani, osservando il suo viso. Provando ad immaginare come era stato per lui. 
- Reagisci alla vita prendendola di petto. Io non sono così. Io tendo ad usare la testa ed i mezzi a mia disposizione. Comunque me la sono cavata. 
Carlos sorrise dolcemente, catturato almeno quanto lo era anche lui. 
Rimasero poi a guardarsi di nuovo in un altro di quei momenti e non dissero più niente per alcuni lunghi istanti, dove entrambi sicuramente pensarono che baciarsi non sarebbe stato poi così fuori luogo. 
Tuttavia, prima di sporgersi per farlo, Jannik ritrovò di nuovo sé stesso ed il suo tipico sangue freddo. Con molta fatica. 
- Dovresti andare. Adesso è ora di dormire. Domani c’è una certa partita tosta... 
Carlos fece un altro sorriso, spegnendolo subito pensieroso. Non disse nulla, straordinariamente rimase in silenzio ancora un po’, come se stesse ancora capendo se fare qualcosa o no.
Alla fine sospirò e annuì e senza nemmeno toccarlo, si girò, lasciò la lattina sul comodino e recuperando le scarpe lasciate giù, andò alla porta rimanendo scalzo. 
- A domani. - fece piano. 
- A domani. - rispose senza muoversi dal letto e dalla posizione Jannik. 
- Buona fortuna. Che vinca il migliore. - aggiunse Carlos. 
Jannk sorrise e annuì guardandolo andarsene in un modo così insolito per uno così caotico come lui.
Stava per succedere. 
Stava decisamente per succedere qualcosa. 
Ormai era veramente evidente.