*Il capitolo presente segue Carlos, mentre il precedente seguiva Jannik. Non siamo nella stessa nottata del primo capitolo in quanto Jannik ha già iniziato a parlare con Anna per capire se 'quella cosa con lei' si poteva fare ed ha deciso che è fattibile perché lei sembra adatta a questo ruolo. La cosa delle lentiggini è stato un lampo di genio che mi è venuto fissando il viso di Jannik ed ho pensato che Carlos sicuramente le adora come le adoriamo tutti! Adesso buona lettura. Baci Akane PS: sì, Carlos è l'esagerato per eccellenza ma lo sapevamo tutti!*

2. COME DA COPIONE

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Gli occhi di Carlos stavano attentamente scrutando il viso di Jannik e per un momento questi parve preoccuparsi di qualcosa. Lo Spagnolo se ne accorse al volo poiché gli era vicino a pochi centimetri e lo fissava con estrema attenzione, perciò quando Jannik pazientemente steso sotto increspò la fronte, l’altro lo notò e si meravigliò. 
L’altoatesino a quel punto, sempre senza parlare, realizzò d’aver capito male, qualunque cosa fosse, e si affrettò a parlare per manipolare sia Carlos che la conversazione. 
- Mi stavi di nuovo contando le lentiggini? 
Carlos stava per fargli la fatidica domanda, quando si ritrovò la sua e con un sorrisone spontaneo cascò come un pero nella sua trappola. 
- Lo sai che è il mio passatempo preferito! - ammise senza problemi, raggiante come non mai, complice anche il sesso appena fatto. 
Jannik fece un sorrisino divertito e malizioso insieme. 
- Pensavo che il tuo passatempo preferito fosse toccarmi i ricci! 
Carlos rise ancor più forte rimediando subito e togliendo la mano dal suo capezzolo che stava tormentando, la sposto sulla sua testa infilando le dita fra i ricci sudati di Jannik.
- Se la giocano alla pari!
Carlos ogni tanto si perdeva ad osservarlo, di solito quando il suo compagno dormiva e lui magari non ci riusciva per qualche motivo. A quel punto fissava il suo volto e si perdeva letteralmente a contare le sue lentiggini, solo che essendo una cosa che tendeva a fare mentre dormiva, Jannik non se ne era mai accorto realmente. Ogni tanto l’aveva beccato, ma per la verità non sapeva quanto tempo passasse a contargliele. 
Le adorava almeno quanto adorava i suoi ricci, che per la cronaca toccava quando dormiva, sempre mentre contava le lentiggini. 
Il sorriso di Jannik sciolse Carlos come sempre mentre le sue mani scivolavano languide sulla sua schiena inarcata per la posizione a pancia in giù. 
- È tardi, forse è meglio che dormiamo... - suggerì Jannik che nemmeno provava a cacciarlo dalla camera. 
- È colpa tua che hai fatto tardi. Si può sapere dove diavolo eri? - lo rimproverò col broncio Carlos ricordandosi del motivo per cui avevano fatto tardi quella sera. I loro incontri erano sacrosanti specie perché non era scontato riuscire a partecipare agli stessi tornei, anche se era abbastanza frequente. Ma siccome per Carlos non erano comunque sufficienti, doverlo pure aspettare la sera che si degnasse di raggiungerlo dopo la cena e chissà cos’altro faceva per conto proprio, era una seccatura. 
A quella domanda sparata con estrema leggerezza, Jannik ebbe un altro sussulto molto lieve, ma essendo che il passatempo di Carlos era osservare il suo volto che reputava la cosa più bella che Dio avesse mai creato, sapeva sempre quando qualcosa in lui cambiava e l’impressione avuta prima mentre gli contava le lentiggini, tornò prepotente facendogli ricordare cosa voleva chiedergli. 
- Si può sapere cos’hai? - fece infatti sbottando improvvisamente. Jannik spalancò gli occhi verde nocciola con inequivocabile stupore e Carlos scattò su come una molla avendo conferma che aveva definitivamente qualcosa. Si ritrovò in un attimo con le gambe piegate sotto di sé e il busto eretto, le mani appoggiavano sul materasso dopo essersi addirittura spostato da lui per guardarlo meglio.
Jannik inarcò un sopracciglio limitandosi ad alzarsi sui gomiti, rimanendo comunque steso sul letto. I ricci più sparati che mai in ogni direzione specie dopo il trattamento del suo ragazzo.
- Sembri un gatto. - lo prese in giro divertito, ma Carlos alzò il dito indice con estrema serietà che faceva a pugni col broncio sulla bocca il quale invece appariva infantile. 
Jannik rise, ma lui proseguì più come un mastino, al momento. 
- Eh no eh! Non mi manipolerai! Hai qualcosa, avanti, spara! 
- Senti, domani giochiamo entrambi. Facciamo che dormiamo e poi ne parliamo dopo la partita? - tentò Jannik senza più affannarsi a nascondere. Carlos però iniziò a scuotere la testa accentuando il broncio in una smorfia di serio dissenso. 
- No no, non se ne parla, se hai qualcosa davvero me lo dici ora! Chi dorme così? E pensi che io possa davvero giocare bene, domani? 
- Ma abbiamo entrambi problemi fisici e partite difficili, perché non ci concentriamo su questo piuttosto che su altre sciocchezze? 
Jannik si tirò su con la schiena finendo per raggiungerlo col busto, tentò di carezzarlo e baciarlo, ma Carlos si scrollò facendosi ancora indietro, in quello alzò le gambe da sotto di sé e le piegò tenendole fra loro due, per mettere le distanze ed impedirgli di nuovo di manipolarlo come tendeva a fare spesso. 
- Jan! - esclamò lui secco e sul piede di guerra. Più faceva così, più aveva conferma che c’era qualcosa ed in quello impazziva sempre più. Non poteva sopportare l’idea che Jannik avesse qualcosa e che peggio cercasse di nasconderglielo. Si sentiva acceso come una miccia pronta ad esplodere, percepiva nettamente che doveva preoccuparsi e non poteva proprio placarsi.
Jannik alzò gli occhi insofferente al cielo. 
- No, non alzare gli occhi e non sbuffare! Se è una sciocchezza dimmela adesso! 
Il compagno tornò a fissarlo visibilmente contrariato. 
- Sembri un cane rognoso adesso! 
- E sto per morderti se non mi dici subito cos’hai! 
Ormai Carlos era davvero agitato e non riusciva a trattenersi, si sentiva assurdamente nervoso anche se non sapeva cosa aveva il suo ragazzo. 
Stava cercando il momento migliore per dirgli che l’amava e tutte le volte che era lì per farlo, succedeva sempre qualcosa. Infatti pure in quel momento, puntuale, qualcosa si era messo in mezzo. 
- Ma non è niente, è solo qualcosa su cui sto pensando ultimamente. Non ho fatto mica niente... 
- Ma non mi piacerà, scommetto! - sbottò Carlos sapendolo anche senza bisogno di sentirselo dire. 
L’espressione di Jannik fu molto esplicita, come di chi non ne dubitava nemmeno, a quella aggiunse con acidità: - Potresti provare a stupirmi, per una volta! 
Carlos però a quel punto non ce la faceva a resistere, stava per esplodere e gettando la testa all’indietro quasi gridò tirando tutti i muscoli del corpo: - Mi vuoi dire che diavolo hai? 
Jannik sospirò e si sistemò con la schiena contro la spalliera, piegò le gambe e appoggiò le braccia sopra mentre le mani si torcevano le dita. 
Carlos non ce la faceva davvero più e quando finalmente si decise a parlare, fu anche peggio. 
- C’è Anna che mi fa il filo e penso che accetterò. - dopo quella premessa davvero brutale, vedendo la sua espressione di puro shock, Jannik si affrettò ad aggiungere: - Non mi interessa davvero lei, ma penso sia meglio che almeno uno di noi abbia una ragazza fissa. Che magari sia conosciuta e che la gente sappia che c’è.
Fino a quel momento Jannik era uscito con alcune ragazze ma non era mai stato niente di pubblico ed erano sparite prima che la gente trovasse conferma. 
- Anna chi? - fu la prima cosa che disse Carlos prima di reagire sul serio. Il cervello spento a quell’informazione che ancora non riusciva a metabolizzare. 
- Kalinskaya. 
Carlos nemmeno la visualizzò, gli bastò capire che era russa. Non sapeva quale strano collegamento fece il proprio cervello, ma invece di afferrare il senso del suo discorso, partì per la tangente e saltando giù dal letto iniziò ad infilarsi vestiti a caso. Naturalmente per la metà quelli di Jannik. Non per questo si fermò.
Lui come se si aspettasse quella reazione, sciolse braccia e gambe e cercò di alzarsi a sua volta per fermarlo. 
- Dai Carlitos, non devi reagire sempre male... 
Carlos però alzò la mano sbracciando per fermarlo e zittirlo ed ebbe successo perché Jannik non proseguì e non si mosse rimanendo seduto coi piedi a terra. Carlos si limitò a fissarlo furente, si sentiva bruciare ed aveva così tante cose da dire che non sapeva da cosa partire, ma il punto era che non riusciva nemmeno a ricordarsi come si dicevano in inglese, perciò scosse il capo e dopo i boxer di Jannik, si mise i propri pantaloni, puntando successivamente alla felpa verde militare con il cappuccio del suo ragazzo. 
- Non è niente di serio, voglio solo qualcosa che attiri l’attenzione distogliendola da noi, per evitare casini! Così possiamo stare tranquilli insieme senza che nessuno ci rompa le palle...
La spiegazione forse era sensata, non per questo Carlos la doveva accettare. E, ovviamente, non intendeva farlo. 
- Vaffanculo, Jannik! - esclamò in spagnolo rinunciando a ricordarsi l’inglese. Ormai era perso, ogni parte del proprio cervello, lo era. Il cuore batteva impazzito nel petto e la testa gli faceva un gran male così come il braccio che però al momento ignorava. 
- Carlitos! - tentò di nuovo di alzarsi, ma Carlos tornò ad alzare il dito davanti a sé, furibondo e con le proprie scarpe in mano. 
- No Carlitos! Perché non mi hai parlato prima di questo? Sai già chi è, hai pure pensato al genere di ragazza adatta! Significa che ci stai pensando da un po’, l’hai addirittura progettato, cazzo Jannik! Perché non me l’hai detto nel momento in cui ti è nata nel cervello una cosa simile? Perché me lo dici solo dopo che hai progettato tutto? Ma cosa vuoi da me, a questo punto? Che ti dia la mia benedizione? No, cazzo! Per me è una stronzata! La gente si fa i cazzi suoi e se così non è non ha importanza! Noi stiamo insieme, sono cazzi nostri, non è che mettiamo i manifesti! Di amici nel circuito ce ne sono mille, perché noi dobbiamo stare attenti e mettere su questo teatro? 
Carlos parlò in spagnolo come un fiume ed anche se Jannik conosceva qualche parola ed altre erano magari simili all’italiano perciò intuibili, finì per perdersi e farglielo capire con un’espressione allucinata. 
- In inglese? - chiese perplesso. Carlos a quel punto alzò gli occhi al cielo, scosse la testa ed imprecò violentemente sempre in spagnolo. 
Jannik si morse la bocca colpevole, non si mosse e non tentò di dire nulla. Attese paziente che sbollisse e ragionasse, ma Carlos non ci riusciva. Non riusciva nemmeno a ripeterlo in inglese. Sentiva una marcia di guerra nella testa, il cuore che gli esplodeva nel petto ed il sangue ribolliva nelle vene. Non ce la poteva fare. Non ci riusciva. 
Alla fine con gli occhi pieni di lacrime e dopo un paio di respiri, riuscì a malapena a dire il concetto base in inglese e lo fece con voce tesa e tremante, a stento controllata.
- Tu hai già progettato tutto. Sai già con chi farlo, hai scelto una russa, il genere di ragazza giusta per le relazioni finte. Ma perché non me l’hai detto appena ti è venuto in testa? Prima di pianificare tutto? 
Jannik rimase inebetito a comprendere le sue parole confuse e non proprio sempre corrette, ma da come ne fu colpito era chiaro che aveva afferrato la questione e non sapeva cosa dire. 
Per Carlos fu anche peggio e scuotendo la testa si asciugò rabbiosamente una lacrima sul punto di uscire. 
- Siamo io e te, che diavolo fotte al mondo di noi? Perché ci devi nascondere? 
Con questo decise che era sufficiente. Dopotutto aveva fatto bene a non dirgli che l’amava. Era meglio tenerselo per sé, alla fine. 
Per lui era tutto un programma, ogni aspetto della sua vita, lo era. Tutto un progetto da controllare e pensare con cura, ogni cosa che faceva aveva un preciso motivo dietro. Anche lui probabilmente aveva un ruolo ed era divertirlo, perché altrimenti non avrebbe pensato tanto a come coprirlo e nasconderlo.
- Carlos, non fare così, non è come dici... 
Jannik si alzò pregandolo ma quando fece per afferrarlo e abbracciarlo, Carlos sgusciò in fretta ed uscendo dalla camera se ne andò sbattendosi la porta alle spalle senza dire più nulla. 
Camminò di corsa verso la propria camera per evitare di farsi inseguire, ma poi quando realizzò che la sua porta non si riapriva fu anche peggio. Si fermò in mezzo al corridoio buio di notte, nel silenzio completo dell’hotel di Madrid e si voltò verso la porta da cui proveniva la luce dalle fessure. Era lì davanti e non l’apriva, non provava ad affacciarsi per richiamarlo. 
“Certo che no, e se ci sentono? Come lo spiega? Figurati se ne valgo la pena di rischiare di essere scoperto!”
Così pensando scosse la testa e asciugandosi gli occhi da cui ormai scendevano lacrime copiose, andò nella propria camera. Una volta dentro rimase al buio appoggiato alla porta chiusa alle proprie spalle, si accucciò giù e nascose il viso fra le ginocchia mentre il dolore bruciava ed esplodeva. 
Era la cosa più brutta che avesse mai vissuto. Come voleva cancellare e dimenticare tutto. Specie l’amore che nutriva per lui, che ormai non poteva più negare. 
- Come vorrei odiarti Jannik... - sussurrò fra i singhiozzi. - Invece ti amo! 

Il giorno dopo Carlos si svegliò a terra, raggomitolato lì dove era contro la porta, col telefono che suonava la consueta sveglia mattutina secondo il piano stabilito da Juan Carlos. 
Arrivarono prima i dolori fisici che non si sprecarono. Al consueto male al braccio sul quale per fortuna non aveva dormito contro il duro pavimento, ora c’era anche la schiena ed il collo. La testa ovviamente batteva i tamburi di guerra come se fosse stato il giorno dopo di una sbronza colossale. 
Purtroppo però appena mise a fuoco ogni dolore, ricordò perfettamente cosa era successo e con gli occhi che ancora bruciavano per il pianto fatto fino ad addormentarsi, si alzò su fra ululati ed imprecazioni.
Quando chiuse la sveglia ed il silenzio lo accolse, si rese conto che c’erano dei messaggi di Jannik. Il primo impulso fu di non leggerli, ma ovviamente li aprì senza nemmeno deciderlo coscientemente. 
‘Non serve che esageri sempre e parti male. Non volevo parlartene perché sapevo che avresti reagito male, ma è una questione di pura logica, non è niente di personale. Non ti voglio tradire, quello che farò con Anna non è niente di reale!’
Quello fu il primo messaggio che era scritto al completo perché sapeva che Carlos non avrebbe sentito gli audio essendo arrabbiato. O meglio ci avrebbe provato a non sentire, ma leggere era meglio, faceva riflettere di più. 
Il secondo messaggio fu:
‘Riusciamo a parlarne prima delle partite? Non possiamo giocare così.’
Il terzo:
‘Fra l’altro ti sei preso le mie mutande e la mia felpa, qua ho le tue.’
Carlos stava per rispondere che gliele regalava, ma poi si rese conto che era meglio usare il suo metodo tipico, ovvero un perfetto magistrale fastidioso silenzio.
L’avrebbe ignorato. Almeno per tutta la giornata e fino a che non gli sarebbe passata. Poi quando sarebbe riuscito a considerare l’idea di stargli ancora davanti senza gridargli di tutto, avrebbe provato ad affrontarlo.
Sapeva che doveva trovare un modo per superare la cosa prima di ritrovarselo davanti in partita, prima o poi si sarebbero scontrati in campo e dovevano essere entrambi in grado di starsi davanti senza litigare o stare male. Il tennis non ne doveva risentire, ma almeno per quel giorno l’avrebbe piantato in asso e avrebbe usato il campo per scaricare la rabbia e la tristezza.
O per lo meno quello sarebbe stato il suo piano se non fosse stato per un unico minuscolo dettaglio non trascurabile che gli fece notare più tardi Jannik.

Carlos aveva due occhi pesti come poche volte, occhiaie ed un’espressione cupa che poteva spegnere il sole di mezzogiorno in piena Africa. Per di più alla sua shoccante scarsa fame, per tutto il tempo della colazione molto modesta per i suoi canoni, era stato in un ostinato mutismo con tutti, anche i membri della sua squadra i quali gli chiesero immediatamente che avesse fatto. 
Nessuna risposta venne proferita dalla sua bocca piegata all’ingiù, ma lanciò un’occhiata inceneritrice verso Jannik che aveva aspettato in mensa che il signorino si palesasse col suo consueto ritardo. Quando era arrivato con quella faccia e si era limitato a fissarlo male, a lungo ma solo per una volta in tutta la colazione scarsa e silenziosa, Jannik aveva capito perfettamente da solo il suo piano e senza fare mezza scenata poiché assolutamente non da lui, si limitò a scrivergli un altro messaggio prima di andarsene.
‘Lo sai vero che oggi ci vediamo negli spogliatoi perché giochiamo nello stesso orario e non puoi ignorarmi davvero?’
Solo a quel punto Carlos lo realizzò e mordendosi il labbro indispettito sbatté spontaneamente il piede per terra imprecando a denti non molto stretti. Si fece notare infatti sia dal suo team sempre più preoccupato, che da Jannik il quale fece un sorrisino divertito inevitabile fissandolo da lontano.
“Beh, non ti parlerò lo stesso!” pensò riuscendo a non scriverglielo per miracolo e ad evitare di fissarlo di nuovo; sapeva bene come si ignorava la gente. Non bastava non parlargli, doveva evitare di guardarlo e dimenticarsi della sua esistenza, cosa che gli stava venendo sempre più difficile. Era un’autentica tortura saperlo lì in sala, percepiva la sua presenza, lo intravedeva con la coda dell’occhio ma per fortuna il non essere soli lo frenava dal piombargli al suo tavolo e costringerlo a parlargli. Su quello Carlos si compiacque e si infastidì al tempo stesso. 
“E figurati se mi stupisci tu, invece, e mi dimostri le palle di parlarmi qua davanti a tutti pur di risolvere con me! Poi sono io quello che non si smentisce, no? Ma magari potresti dimostrarmi che valgo la pena qualche rischio, no? Fottiti Jannik, va con la tua bella Anna! Ne trovo anche io una se è così che ti piace!”
Non ne era seriamente intenzionato, ma nelle condizioni precipitose in cui era sarebbe stato capace di accettare la corte di una qualunque ragazza che gli si sarebbe parata davanti. Per fortuna non arrivò nessuno e Juan Carlos riuscì a richiamare la sua attenzione parlandogli di tennis e della partita di quel pomeriggio. 
Probabilmente aveva perfettamente capito che aveva qualche problema per conto proprio e da come evitava di parlare a macchinetta con Jannik non facendo nemmeno colazione con lui come di consueto, era ovvio di cosa si trattava.
Carlos sapeva che il suo allenatore non era idiota, ma non gli aveva mai detto che stavano insieme. Lui così come gli altri del suo team sapevano solo che erano estremamente amici, ma tutto lì, ma probabilmente avevano capito da soli. Del team di Jannik sapeva tutto solo il suo fisioterapista, ma non ne aveva parlato con nessun altro. 
“Però l’ho detto ad Andrej, non che volessi farlo, ma mi è scappato. Forse potrei parlarne con lui...” 
Girando lo sguardo sulla sala, vide che gli unici capelli rossi presenti erano quelli di Jannik ed incrociando per sbaglio lo sguardo col suo, che rimaneva fermo al suo tavolo nonostante la colazione finita da un pezzo, gli fece una smorfia infantile e del tutto spontanea. Solo dopo averla fatta capì che era stato stupido e che sicuramente ora Jannik ridacchiava pensando che gli sarebbe passata in fretta.
Aveva pianto, dannazione. Aveva dormito per terra e pianto tutta la notte. No che non gli sarebbe passata in fretta. Il fatto che reagisse in modo spontaneo ed infantile non significava che non stesse davvero male e che non fosse serio nelle sue reazioni e prese di posizione. Forse era una contraddizione vivente, glielo concedeva, ma era vero al cento percento. Era fatto così e lui ormai doveva conoscerlo. 
- Si può sapere che hai? Fai mille facce al secondo! 
Juan Carlos all’ennesima smorfia andò diretto al punto pretendendo esplicitamente una risposta e solo a quel punto Carlos si morse il labbro capendo che qualcosa gli doveva dire. 
- Ho dormito male. - tirò fuori la prima cosa che gli venne in mente, ma era vero. Aveva dormito per terra. - Sono pieno di dolori. - con questo si massaggiò il braccio destro ed il collo. Juan Carlos accettando quella mezza risposta vera annuì riprogrammando la mattinata. 
- Allora oggi niente allenamenti, farai dei massaggi e dei trattamenti con Juanjo. Voglio che riposi e ti riprendi. 
A questo Carlos non dissentì, dubitava che Jannik avrebbe avuto la sua stessa idea rinunciando ai suoi sacrosanti allenamenti ed al suo ancor più sacrosanto programma. Poteva cascare il mondo, ma il suo programma si portava avanti a qualunque costo. Quello sul tennis così come quello sulla vita privata. 
“Fottiti Jannik! Stavolta dovrai penare!”
Consapevole in una piccola parte di sé che voleva ignorarlo per un po’, ma che non era per niente finita fra loro ed era solo una pausa momentanea. Una battuta d’arresto, insomma.