3. VENDETTE

sincaraz

Se all’inizio Jannik si era sentito in colpa, alla fine si era solo innervosito realizzando che Carlos dopotutto era il solito esagerato infantile. 
Sapeva che l’avrebbe presa male, ma aveva sperato che dopo le sue spiegazioni quello avesse capito. Dopotutto era una cosa che aveva pensato per il bene del loro rapporto, non lo faceva per lasciarlo o per tradirlo. 
Se l’avesse scoperto da solo poteva capire quella reazione, ma alla fine glielo aveva anche detto, tralasciando che non capiva ancora come fosse riuscito a leggergli così bene negli occhi solo guardandolo. Sapeva di sapersi controllare bene, ma lui ci era arrivato subito che gli nascondeva qualcosa. 
Va bene, aveva già fatto un piano e deciso pure la ragazza con cui intavolare una relazione, ma non aveva comunque fatto ancora niente. Aveva passato solo un po’ di tempo con lei per vedere se fosse una cosa fattibile, se ci sarebbe stato del feeling. Magari non si sarebbe trovato bene e la questione sarebbe caduta lì. Che senso avrebbe avuto dirglielo prima?
Perciò dopo essersi dispiaciuto per la sua reazione, vedendo che era uscito quasi piangendo dalla camera, aveva poi maturato l’idea che se non la piantava subito di fargli il muso come se l’avesse tradito sul serio gli avrebbe spaccato le racchette in testa. 
Siccome non era uno violento, preferì lasciarlo crogiolarsi nel suo dramma. Se stava meglio così, buon per lui dopotutto! Voleva proprio vedere se sarebbe riuscito a stargli davanti e anche magari a giocare insieme! Voleva proprio ma proprio vederlo! 

La giornata da separati volò in un attimo, specie con le preparazioni per la partita imminente, e giunto nello spogliatoio maschile nel palazzetto dove giocavano tutti i partecipanti al Mutua Madrid Open, la prima cosa che fece fu sorvolare con lo sguardo la stanza piena di armadietti e panche. Alcuni erano pieni del materiale di qualche tennista, a quel punto del torneo erano ormai non erano molti, tuttavia non erano comunque soli. 
Carlos non era ancora arrivato e Jannik fece un cenno agli altri due colleghi che erano lì con loro in quel momento a prepararsi per le loro partite, uno era il suo avversario, uno quello di Carlos. 
Non si tolse la musica tenendola a tutto volume alle orecchie. Non era un grande stimatore della musica, ma era un ottimo modo per isolarsi da tutto e da tutti e la usava sempre prima delle partite ad eccezione di quando giocava contro Carlos o quando gli orari coincidevano come in quel caso. Quando c’era lui gli piaceva sentirlo parlare anche se magari non sempre avevano il lusso di essere soli. 
Si stava cambiando quando percepì vagamente la porta aprirsi alle proprie spalle, Jannik sapeva che doveva essere lui e non si voltò. Rimase di spalle a torso nudo mentre recuperava la maglietta con cui avrebbe giocato, continuò ad ignorarlo volutamente. 
Sapeva che era lui, poteva sentire il suo sguardo bollente trapassarlo. Era una sensazione di pura illusione, razionalmente sapeva di cosa si trattava. Quando il tuo cervello sapeva cosa succedeva alle tue spalle ti trasmetteva le sensazioni che pensava avresti potuto provare, ma in realtà non c’era nessun incantesimo. Gli occhi di Carlos sicuramente lo fissavano, ma non gli stavano dando fuoco. 
Quando si infilò la maglietta e si voltò sempre con la musica agli orecchi, non fece un solo cenno, lo guardò in modo diretto e sfacciato, con aria da gelida sfida. Se voleva fare così, a lui andava bene. A quel gioco dell’indifferenza era più bravo lui, ma quando i loro sguardi si incrociarono in quella maniera, come se già giocassero una strenue partita in campo, Carlos non perse tempo e mantenendo la musica alle orecchie anche lui con le sue cuffie wireless, si prese la zip della felpa e se l’abbassò aprendosela, a quel punto rivelò che sotto non aveva nulla e rimanendo a torso nudo si fece bellamente guardare di proposito. 
Jannik inizialmente aveva solo pensato di guardarlo brevemente e fingere indifferenza, ma non era riuscito più a farlo dopo che Carlos aveva colto l’attimo alla perfezione con un guizzo da maestro dei suoi. I soliti riflessi da tennista tutto campo. 
Brillante, veloce e sexy. Non difettava in niente se non nella stupidità, ma in quel momento non sarebbe stato un problema visto che il fisico prorompente che tanto amava e lo faceva impazzire compensava quel che gli mancava nel cranio. 
Fu davvero la cosa più difficile del mondo girarsi e trattenere ogni micro espressione e non fu nemmeno sicuro di esserci riuscito. 
“Ormai è diventato così bravo a leggermi che dubito di essere bravo come una volta a controllarmi! Avrà capito che gli stavo per saltare addosso! Maledetto Charly!”
Per la prima volta nella sua testa usò il soprannome che i suoi familiari ed il suo team usava per lui, un soprannome usato tipicamente dagli spagnoli, ma che gli era sempre piaciuto ogni volta che l’aveva sentito rivolto a lui.
Era un soprannome così perfetto per lui, così come lo era Carlitos. 
“Beh, buona partita!”
Con questo prese un respiro profondo, chiuse gli occhi e recuperando le proprie cose uscì per andare verso il proprio campo, uno diverso da quello dell’altro. 
Fin lì era andato tutto bene, per poco in effetti, salvati dal solo fatto di non essere soli, ma era andata. 
“Se dopo finiamo nello stesso momento e magari vinciamo entrambi sarà un po’ più complicato, ma spero che uno dei due finisca prima.”
Una speranza portata dal fatto che sapeva benissimo quanto difficile sarebbe stato dopo vederlo nudo se fossero stati soli. Perché sì, in quel caso Carlos si sarebbe completamente spogliato davanti a lui, visto che era capriccioso ed infantile, e a lui sarebbe venuto sicuramente duro, visto che invece era debole, e allora la propria presa di posizione sarebbe andata a quel paese. 

Come da lui pronosticato, le loro partite iniziarono insieme e finirono insieme e guarda caso vinsero entrambi allo stesso modo. Come se il fato avesse voluto divertirsi con loro. 
Essendo i vincitori delle rispettive partite, si dovettero trattenere un attimo in più rispetto ai loro avversari che poterono invece uscire subito, per quando arrivarono Jannik e Carlos in spogliatoio, gli altri due avevano quasi finito di prepararsi, entrambi parlano con loro delle proprie partite e di come era andata, qualcosa di prassi che si verificava quasi sempre a meno che non fossero due che si detestavano o che non parlavano nemmeno un po’ la stessa lingua, cosa che capitava ma non frequentemente. 
Sia Carlos che Jannik si concentravano ognuno sul proprio rivale odierno spogliandosi pigramente e molto lentamente, quasi fossero troppo stanchi e doloranti per farlo in fretta.
In effetti entrambi erano molto acciaccati, uno per il braccio e l’altro per l’anca, ma nulla che giustificasse quell’estrema lentezza dei movimenti.
Quando finalmente i loro avversari lasciarono gli spogliatoi ribadendogli come di consueto gli auguri per il torneo, Jannik attese qualche istante radunando le idee su cosa sarebbe stato più saggio fare a quel punto.
Ignorarlo, probabilmente. 
Purtroppo il proprio corpo agì totalmente da solo e girandosi lentamente verso Carlitos, si prese la zip della felpa e se l’aprì mentre i propri occhi si posarono penetranti e magnetici sul suo ragazzo.
Perché sì, anche se era arrabbiato come un bambino, era comunque il suo ragazzo ed adesso glielo avrebbe ricordato. 
Ormai le partite erano finite, il resto poteva essere messo in secondo piano per un attimo. 
Carlos, come evocato dalla sua mente, si girò allo stesso identico momento e prendendosi il colletto della maglietta se la tirò via rimanendo a torso nudo. Non fuggì il suo sguardo. Gli occhi rimasero impunemente sui suoi, bollenti ed infuocati, con aria di sfida e rabbia insieme. 
E voglia, perché più che il suo corpo non certo particolarmente attraente, Carlos si accendeva con determinate e specifiche parti di sé. Parti che Jannik conosceva.
Leccandosi le labbra con la punta della lingua con sensualità del tutto voluta, si tolse a sua volta la maglietta lasciando volontariamente che i capelli si spettinassero ulteriormente. Si sentiva i ricci raggruppati sulla fronte sudata e sapeva che erano esattamente nella versione che lui preferiva. Selvaggi. 
Carlos come sempre spontaneo sgranò gli occhi senza trattenere l’apprezzamento fin troppo evidente. Jannik ridacchiò divertito: era prevedibile al cento percento.
Proprio con quella prevedibilità, lo Spagnolo reagì male per l’ennesima volta e con un unico movimento veloce e rabbioso si tolse tutto il resto di dosso, pantaloncini e slip. Una volta che fu nudo se ne andò dal lato delle docce in un tesissimo ed erotico silenzio. 
Jannik si permise di respirare solo nella frazione di secondo che rimase solo.
Allentò la tensione dei muscoli del copro che aveva involontariamente trattenuto, guardò in alto ed imprecò in labiale. 
“Maledetto, mi uccide! A questo gioco è più bravo lui! È sexy da morire! Mi fa impazzire! Quando si trattava di ignorarsi ero più bravo io, ma qua mi sotterra!”
Eppure nonostante questa piena totale consapevolezza, Jannik finì di spogliarsi e lo raggiunse sotto le docce, quasi come facesse la sua ultima passeggiata. Il suo ultimo miglio. 
“Beh, se questa fosse la morte, non mi lamenterei mica...”
Con questo pensiero malizioso, arrivò nella parte delle docce che era un’unica stanza con i soffioni ed i dispenser di sapone lungo le pareti piastrellate. 
Carlos era sotto uno dei getti e l’acqua lo ricopriva, appena lo vide sistemarsi sotto un altro, non vicino al suo ma perfetto per guardarsi a vicenda, smise di sciacquarsi ed iniziò ad insaponarsi. Lo fece guardandolo sfacciato e diretto senza staccargli gli occhi di dosso. Le sue mani scesero lente col sapone che si era preso nei palmi, si carezzava sui pettorali e sugli addominali come se testasse la sua stessa merce. 
Jannik si sciacquava lasciando che i capelli gli si appiccicassero sulla fronte e scendessero sugli occhi, ma anche se erano parzialmente coperti, non riusciva a staccarglieli di dosso. 
Assetato di ciò che vedeva, affamato di ciò che voleva, lo guardò scendere ad insaponarsi l’inguine sempre guardandolo sfacciato e diretto e quando si prese l’erezione in mano massaggiandola in un modo che di lavaggio aveva ben poco, Jannik si morse il labbro con forza e resistette appena una decina di secondi, forse più. Il tempo di vedere la sua erezione crescere dura nella mano. A quel punto imprecò apertamente e insultandolo in italiano andò dritto da lui sotto il suo getto, lo prese per i fianchi e spingendolo contro le piastrelle, gli si premette addosso prendendo il sapone direttamente dalla sua pelle tonica e scivolosa. 
- Sei un bastardo. - sussurrò sulla sua bocca prima di invaderla prepotentemente con la lingua. Carlos piegò le labbra carnose in un sorriso vittorioso che lo mandò ulteriormente a fuoco.
- Perché? - chiese retorico, ma Jannik non rispose mai perché le loro labbra e le lingue a quel punto si fusero in un tutt’uno, in un bacio talmente infuocato da sconnettere subito le loro menti.
Venne tutto cancellato come fosse una tabula rasa mentre la mente si svuotava da ogni proposito di vendetta e quant’altro, le mani di entrambi vagavano sui loro corpi bagnati ed insaponati ad afferrarsi a vicenda i glutei e attirarsi per sentire i bacini duri ed eccitati. Si strofinarono a vicenda proprio lì nel centro del loro piacere e quando le erezioni sempre più dure e pulsanti sembravano ballare una danza erotica a pieno ritmo come già facevano le loro lingue nelle bocche aperte ed unite, le braccia di Carlos si sollevarono  avvolgendo la testa di Jannik fino ad infilare le dita fra i ricci bagnati. 
Jannik sorrise erotico contro la sua bocca, in mezzo al loro bacio senza freni. Si guardarono da quella vicinanza vertiginosa, carichi entrambi di malizia e voglia dirompente e a Carlos bastò fingere di lasciarlo per scivolare via dal suo corpo e dalla sua bocca, per essere ripreso con forza e decisione dal compagno. Dopo che l’ebbe di nuovo fra le mani, lo rimise lì dove l’aveva costretto fino a quel momento, ma questa volta lo girò di schiena premendogli il volto contro le piastrelle e con la bocca sull’orecchio lo leccò bevendo l’acqua che si era raccolta lì per poi sussurrargli: - Ti lavo la schiena... 
Carlos dopo un primo momento di sorpresa per il gesto brusco, sorrise divertito e malizioso imitato dall’altro. Non perse molto tempo, schiacciò dal dispenser il sapone, lo raccolse nella mano e poi iniziò a strofinare la schiena muscolosa. Una volta che l’ebbe riempita si premette col petto continuando a lavarlo usando il proprio corpo mentre invece la mano arrivò sui glutei sodi e tondi che aspettavano solo quello. Solo lui.
Non perse molto tempo perché presto sostituì la mano con l’erezione, mentre le dita scivolarono ad occuparsi del suo inguine davanti a masturbarlo.
- Mi sono già lavato, davanti... - sussurrò divertito Carlos, la voce roca. 
- Meglio fare due volte. - rispose Jannik sullo stesso tono erotico. L’altro a quel punto stava per dire qualcosa ridacchiando ma si perse in un sospiro che divenne intenso, il sorriso si spense e il volto si abbandonò in un’espressione di puro piacere, gli occhi chiusi, il capo all’indietro, i gemiti a riempire il locale mentre le mani di Jannik passarono dal masturbarlo davanti al tirarselo verso di sé per i fianchi. 
Usò le dita insaponate, poi si fece largo con l’erezione alta e dura e con una spinta possente gli fu subito dentro. La sua fessura non vedeva l’ora di riceverlo e nessuno dei due sentiva più dolori e stanchezza. In quel momento gli ormoni, il desiderio ed il piacere bruciava e curava ogni cosa e non si sentivano così bene da giorni. 
Ogni cosa si confuse e si perse e Carlos si chinò in avanti spingendosi contro di lui per dargli un accesso ancora migliore. Jannik aumentò le spinte e l’intensità accompagnato da lui che gemeva e gli chiedeva di più, di non fermarsi e di dargliene ancora. Era totalmente preso ed ovviamente gemeva in spagnolo, mentre con la mano si toccava da solo per raggiungere l’apice con lui; arrivato a sua volta al limite, Jannik non resistette e gli venne dentro abbandonandosi ad un godimento così coinvolgente ed assoluto, da fargli perdere la testa per un momento indefinito. 
Per un po’ rimasero solo i loro ansimi ed il rumore delle due docce aperte, un po’ abbandonate a loro stesse, il vapore che ricopriva i loro corpi umidi e bollenti, appoggiati uno all’altro.
Jannik avvolse Carlos da dietro con le braccia adagiandosi completamente su di lui, lo tirò a sé e se l’appoggiò contro raddrizzando entrambi. Gli occhi chiusi, l’unico desiderio concreto era quello di rimanere lì così per sempre.
Lo strinse ancor di più a sé e gli baciò il collo sfinito e contento che alla fine tutto si fosse risolto alla loro maniera. 
E quella parola gli riaffiorò di nuovo nella mente. 
Ancora una volta come tutte le altre che stavano insieme. 
Jannik fece un sorriso contro la sua pelle sensibile e proprio mentre stava per dirglielo, proprio mentre gli stava per dire che l’amava, Carlos lo precedette, ma non per dire la stessa cosa. 
- Se pensi che questo basti a farti perdonare, ti sbagli. Dovrai sudartela di più! 
Dicendo questo con una forza che non sapeva proprio da dove venisse fuori, gli prese le braccia e se le aprì spingendolo con fermezza per liberarsi. Non gli fece ovviamente male, non usò nemmeno un briciolo di forza, ma quando si liberò si sciacquò velocemente sotto lo sguardo incredulo di Jannik che invece rimase appoggiato di faccia alla parete al suo posto, convinto che scherzasse.
Con occhi sgranati e aria shoccata lo guardò concludere la sua doccia senza nemmeno concedergli un’occhiata per poi tornare dall’altro lato degli spogliatoi, piantandolo davvero in quel modo. 
Jannik rimase inebetito per qualche istante, immobile, il respiro ancora trattenuto. Poi lo shock venne sostituito ad un mezzo sorriso che suo malgrado era divertito ed eccitato. 
- Piccolo bastardo! Questa volta me l’hai fatta! 
Voleva ritrovare la propria mente per ribadirgli con lucidità che tutto quel discorso della finta relazione con Anna era solo per lui, voleva essere più efficace nel spiegarglielo poiché evidentemente non lo era stato il giorno prima, ma in quel momento nessuna frase di senso compiuto si dipinse nella mente e decise che per quella volta avrebbe lasciato Carlos fare come voleva. Per una volta glielo avrebbe concesso, poi gliel’avrebbe fatta pagare lui e avrebbe ricambiato il favore. 

Il conto arrivò a Jannik poche ore dopo, quella sera stessa quando si rese conto di non riuscire a stare seduto sulla sedia a tavola e quando poi, provando ad alzarsi, non riuscì a farlo senza soffrire le pene dell’inferno. 
Se l’inferno aveva un inno, l’anca glielo stava cantando. 
Giacomo si occupò di Jannik aiutandolo addirittura a camminare sebbene tutto ciò che gli concesse il giovane fu di farsi tenere per il gomito, come se fosse sufficiente. 
Zoppicava e gli faceva male, ma non voleva saperne di usare stampelle né umane né inanimate, peccato che ad ogni passo sempre più stentato vedesse tutto il firmamento. 
- Dai, mi fai un massaggio e domani mattina vediamo come sto. - disse Jannik facendosi accompagnare da Giacomo in camera e lasciandosi con gli altri del suo team alquanto preoccupati. Era ovvio che non sarebbe sceso in campo il giorno dopo. Ovvio per loro, visto che per lui era più ovvio che ci avrebbe provato comunque.
Era un torneo mille e ci teneva ad andare fino in fondo, nella stagione della terra rossa non riusciva mai ad andare bene per un motivo o per l’altro e quell’anno era essenziale per lui non mollare un colpo. Il tennis rimaneva sempre in cima ad ogni suo pensiero e nonostante tutto quel che gli capitasse nel privato, riusciva a separare tutto e a massimizzare ogni energia sullo sport quasi cancellando il resto. 
Jannik si preparò per la notte con Giacomo che l’aspettava paziente, l’aria contrariata e preoccupata. Non serviva dicesse nulla, era evidente cosa pensava ma lui non voleva sentirlo. Non si sarebbe arreso a priori.
Una volta pronto con i boxer ed una maglietta, come dormiva normalmente, si stese nel letto sempre con movimenti lenti e controllati, l’espressione liberamente sofferente seppure con un certo freno, non voleva che sembrasse moribondo sebbene nella realtà ci si sentiva. 
Quando fu steso supino, Giacomo gli fece abbassare i boxer nella parte che gli faceva male fino a che l’inguine fu quasi del tutto scoperto, evitò di denudarlo del tutto e girando la testa dall’altra parte un po’ per l’imbarazzo, un po’ per cercare di non fargli vedere le smorfie di dolore, lasciò che le sue mani iniziassero il suo dovere con l’ausilio di pomate mediche antinfiammatorie.
Quando le sue mani iniziarono a massaggiarlo, Jannik trattenne a stento un lamento e strinse la bocca sperando di riuscire a gestire sufficientemente bene il volto. 
Giacomo rimase in silenzio per un bel po’ concentrandosi sul massaggio, apparentemente non intenzionato a commentare il suo stupido stoicismo, e Jannik si stava illudendo che stesse andando bene, di poterla scampare, concentrato sul dolore e niente altro, quando la sua voce calma e pacata iniziò l’altra terapia. Quella che sapeva perfettamente sarebbe arrivata. Quella che ogni fisioterapista si sentiva in dovere di fare durante le manipolazioni. 
- Come va con Carlos? Oggi vi siete beccati in spogliatoio, giocavate allo stesso orario... 
Andò al sodo senza essere troppo diretto. Jannik trattenne il fiato nel sentirgli nominare Carlos, ma una fitta di dolore più acuta lo fece uggiolare durante la manipolazione. 
Aveva appena trovato il punto preciso dell’anca che gli doleva. 
Lo stupiva che non gli facesse il sermone sul ritirarsi dal torneo e che invece parlasse di Carlos. Cosa c’entrava Carlos? Sapeva che stavano insieme, ma non si confidava con lui. Cosa poteva aver capito? Non gli faceva mai domande su di lui anche se poi lo sapeva da forse appena una settimana. 
- Perché lo chiedi? - chiese cercando di non gridare nel rispondergli. Parlando di lui sembrava che il dolore si acuisse anche se Jannik era certo che fosse solo fisico e non emotivo. 
- Pensavo di doverti condividere con lui stasera... 
Jannik ridacchiò ed il dolore si alleggerì, ripensò alla doccia speciale e tutto parve migliorare. 
- Siamo stati insieme prima. Penso sia stanco anche lui, aveva problemi al braccio e penso si stia facendo massaggiare. - stava improvvisando e non si rese conto che era stato anche piuttosto palese. 
Giacomo, infatti, tornando a torcere il punto che gli faceva male e quindi a fargli vedere le stelle, proseguì con la sua inquisizione apparentemente banale e leggera. 
- Non mi sembra tu lo sappia realmente... 
Jannik si accorse di essere stato approssimativo e per nulla convincente e si morse il labbro mentre il dolore tornò ad aumentare. Non se ne rendeva conto ed anche se l’avesse fatto, non l’avrebbe ammesso.
Per quanto effettivo fosse quel problema all’anca, cioè per motivi fisici e medici reali e concreti, coincideva curiosamente con il primo reale problema fra lui e Carlos. Quasi come che il suo fisico e la sua anima si fossero messi in combutta contro di lui. 
- Beh non siamo sempre appiccicati, non sappiamo sempre tutto uno dell’alto. - rispose acido e secco totalmente fuori controllo. Appena lo fece se ne pentì subito e si girò verso di lui per capire se se la fosse presa, stava per scusarsi mortificato quando Giacomo gli rialzò i boxer annunciando la fine della manovra. Il punto massaggiato era rosso fiamma per il dolore che si riversava all’esterno. Il fisioterapista gli sorrise dolcemente rassicurandolo con la sua espressione tranquilla. 
- Non vorrei che domani giocassi. - disse poi senza dire più nulla su Carlos. Jannik gliene fu grato, più grato di quello che dell’opinione sul giocare, non gradita comunque ma in ogni caso più accettabile di qualsiasi cosa su Carlos. 
- Giocherò se riesco, vediamo come sto quando mi alzo. 
E nemmeno su quello ammetteva repliche, avrebbe deciso lui come sempre, come decideva su ogni aspetto della propria vita sempre perfettamente programmata, e nessuno poteva contrastarlo e decidere al suo posto. Nessuno si sarebbe mai dovuto nemmeno azzardare a tentare a decidere al proprio posto. 
Carlos come chiunque altro.