6. FINALMENTE PARIGI

sincaraz

“Certo che quello stronzo poteva anche venire a cercarmi in queste settimane! Si stava curando, mica giocava! Un momento per una fuga poteva trovarlo, se voleva!”
Carlos nelle settimane di separazione aveva aspettato a mille mani che un messaggio arrivasse ad illuminare la sua esistenza. Ma non uno qualunque. Quel messaggio.
Quello in cui Jannik gli diceva che stava venendo da lui per stare un po’ insieme!
“Ma figurati, il tempo libero l’avrà passato con quella là!” pensò acido Carlos mentre scendeva dalla macchina per sistemarsi al solito hotel di Parigi usato ogni anno al Roland Garros. I tennisti in quel caso ne usavano due in particolare, Carlos e Jannik ormai andavano sempre nello stesso.
Ormai non si mettevano più d’accordo, si limitavano o ad usare gli hotel usati dalla maggior parte dei partecipanti, o comunque quelli usati anche gli anni precedenti. All’inizio sì, Carlos gli diceva dove andava e che si aspettava di vederlo lì, poi Jannik gli aveva detto che bastava andare nei soliti senza premeditarlo ogni santa volta. 
Gli mancava da matti, ma era vero che se avesse davvero voluto avrebbe potuto prendere lui ed andare da Jannik, tuttavia sebbene avesse avuto quell’impulso ogni singolo giorno, aveva temuto sempre di trovarlo con Anna. 
Non sapeva che tornei facesse lei e quanto fosse impegnata, non voleva nemmeno saperlo, però se doveva inscenare una relazione era il momento giusto per avviarla e di conseguenza fargli una bella sorpresa sarebbe potuto essere controproducente per la loro sacrosanta pace. 
In alternativa alla sorpresa avrebbe potuto scrivergli o chiamarlo, ma voleva fare tutto di persona, faccia a faccia, e dirgli ‘sto arrivando fatti trovare solo’ era come mettere i manifesti e dirgli ‘adesso si fa pace, lo decido io punto e basta non si discute’. Ma voleva che fosse una cosa spontanea ed una sorpresa al tempo stesso.
Adesso Jannik aveva aspettato i giorni nell’attesa che lui si decidesse a perdonarlo senza sapere se e quando sarebbe successo, anche se naturalmente sapeva che sarebbe avvenuto.  
Insomma, aveva voluto cucinarlo un po’ come ultima vendetta finale, tuttavia era stata più una tortura per sé stesso e Jannik non l’aveva sorpreso limitandosi ad aspettare paziente che fosse lui a decidere come e quando quella fantomatica pace si sarebbe consumata. 
“Vorrei sapere perché diavolo dovevo farlo penare! Non potevo perdonarlo quel cazzo di giorno sotto la doccia a Madrid? Sono proprio un idiota!”
Ma era stato sorprendentemente bravo ad aspettare e rimanere sui suoi piani, i primi che si fosse mai fatto in tutta la sua vita. 
Quando Giacomo gli aveva scritto dicendogli che Jannik voleva andare a Roma per far pace con lui, ma che se l’avesse fatto si sarebbe infortunato più seriamente, Carlos aveva avuto l’impulso irrefrenabile di capitargli a casa e gridargli in faccia se fosse impazzito, ma alla fine aveva deciso per quell’espediente ingegnoso. Aveva già deciso di rinunciare a Roma per guarire al 100 %, ma aveva finto di essere indeciso sul da farsi. Per fortuna Jannik aveva agito proprio come aveva immaginato e tutto era andato bene. 
“Bene, adesso non ci sono ragioni da parte di nessuno per rimanere divisi come due coglioni! Lui ha capito, forse, e se non ha capito non importa, pagherà pegno scopandomi in tutte le superfici della camera! Giuro che se quella rompe le palle le do una testata!”
Non sapeva niente di lei e delle sue intenzioni, ma si era figurato che il motivo per cui volesse stare con Jannik fosse semplice notorietà. Quando aveva chiesto ai suoi fedelissimi se conoscessero Anna Kalinskaya avevano tutti detto ‘la ex di Kyrgios!’ per poi aggiungere che non aveva raggiunto particolari traguardi a tennis e che era nota solo per la sua relazione con Nick.
Questo l’aveva paradossalmente tranquillizzato. Sapeva che se era russa al novanta percento non cercava l’amore ma il compagno giusto da esibire, ma dopo di quello aveva ottenuto solo ulteriore conferma di quel che pensava già. 
“Notorietà. Visto che col tennis non ce la fa, punta a qualche tennista che invece ce la fa. Ha occhio però, glielo concedo. Il mio Jannik sarà una stella e non solo quest’anno, ma a lungo! Oltretutto è un gran bel gnocco ed ha un carattere d’oro. Oddio, a volte lo impiccherei, ma nessuno è perfetto. Non posso certo rimproverarla se ha capito chi era il miglior partito in circolazione! Però è mio e non perché è il miglior partito in circolazione. È mio perché lo amo ed adesso glielo dirò! Questo è il mio piano. Visto? Mi sto Jannizzando anche io!”
Con questo semplicissimo piano di battaglia, Carlos arrivò nella hall dell’hotel di Parigi che ospitava la maggior parte dei tennisti partecipanti al secondo torneo del Grande Slam. 

A conti fatti era da Madrid che non si vedevano, ormai quasi tre settimane intere e a momenti gli sarebbe venuta una vera crisi d’astinenza. Tuttavia se avesse recriminato qualcosa a Jannik, questi gli avrebbe di sicuro dato una testata visto che era stato lui a volere quella tortura. 
Avvicinandosi il momento di rivederlo, Carlos era andato in fibrillazione ed era stato lieto che tutti avevano pensato fosse per via del suo slam preferito, tuttavia in realtà era all’idea di poter rivedere il suo ragazzo e fare finalmente pace con lui. Baciarlo, abbracciarlo e toccargli i capelli. 
Probabilmente in quell’ordine.
Non ci aveva pensato molto al lato concreto. Sapeva che adesso avrebbero fatto pace, ma non aveva bene idea di come sarebbe successo, supponeva che appena l’avrebbe avuto davanti gli sarebbe venuto qualcosa, ma una volta arrivato in albergo e sistematosi nella propria camera, la domanda era naturalmente affiorata. 
- Bene, e adesso? 
Normalmente avrebbe scritto a Jannik chiedendogli il numero della camera e comunicandogli il proprio per poi piombargli in stanza, ma di fatto adesso erano nella fase del non parlarsi e di conseguenza non poteva fare come sempre. 
- Eh, però come faccio pace se non gli scrivo per sapere dov’è? 
Poi un colpo di genio lo colpì come un fulmine che illumina la notte a giorno e prendendo il telefono, si affrettò a scrivere al suo fisioterapista, Giacomo, che non sapeva come aveva fatto ad avere il suo numero ma benedetto il momento in cui se l’era preso, probabilmente immaginando di dovergli fare da spia per dei probabili momenti di autodistruzione simili a quelli avvenuti a Madrid.
- E benedetto tu sia che alla fine Jannik ti ha detto tutto! Sarai il nostro unico complice perché sia io invece maledetto se rimettiamo di nuovo in mezzo quello schizzato di Andrej! Come diavolo gli è venuto su di infilargli quell’idea del cazzo? Jan non ci avrebbe mai pensato da solo ad una cosa simile! È troppo lontano dal suo modo di essere tutto d’un pezzo!
Mentre parlava da solo a macchinetta, scrisse a Giacomo chiedendogli se erano arrivati, che  numero di stanza era Jannik e di non dirgli nulla del suo messaggio. 
Giacomo non rispose subito, nel tempo che ci mise a farlo Carlos percorse a grandi passi tutta la stanza mediamente grande e come sempre di lusso. Un letto matrimoniale, una porta finestra con terrazzino che si affacciava sulla Torre Eiffel che era sempre bella, un piccolo divano, un armadio, un bagno in camera come al solito e una scrivania già pieno delle proprie cose ammassate dove al di sopra, sul muro, spiccava un enorme televisore. 
- Oh andiamo, rispondi! 
Come evocato, il telefono vibrò e lui lesse col cuore in gola.
Il numero di stanza e basta accompagnato da uno smile che rideva. 
- Sono arrivati! 
Fece per uscire precipitosamente per poi fermarsi e realizzare una cosa essenziale. 
Non cosa diavolo stava per fare così senza rifletterci come suo solito, bensì: ‘è dentro? È solo?’
Insomma, dubitava che quella zecca gli fosse già attaccata, supponeva fossero appena arrivati anche loro ma era sempre meglio assicurarsi di certe cose. 
Carlos si morse quasi a sangue il labbro, ma finalmente Giacomo rispose per fortuna in modo celere. 
‘Siamo arrivati da poco, penso sia solo.’
Quel penso lo lasciò un po’ perplesso ma decidendo che ad ogni modo avrebbe improvvisato davanti a qualunque eventualità, prese ed uscì dalla camera precipitandosi verso la sua stanza. 
Nel corridoio c’era un discreto via vai di gente che arrivava, era un orario di ingresso classico perciò molti giocatori e team come loro stavano arrivando.
Riconoscendo qualcuno Carlos salutò gentilmente ma sbrigativo e appena trovò il numero di Jannik, si illuminò.
Il cuore era in gola e batteva impazzito e probabilmente aveva la pressione alle stelle. Si guardò le mani che tremavano sudate e scosse il capo insultandosi da solo, ma al momento di bussare si rese conto che l’avrebbe rivisto e non aveva ancora capito bene come affrontarlo.
L’ultima volta che si erano visti gli aveva detto che avrebbe dovuto penare il suo perdono, ma da quella volta erano passati venti giorni e poteva supporre che fossero una pena sufficiente. Perciò ora cosa? Gli capitava nella sua stanza e lo baciava come niente? Beh, era già tanto che non aveva ripreso a scrivergli come niente fosse. L’impulso andando via da Madrid l’aveva avuto, ma Jannik di pessimo umore non aveva afferrato e perciò era tutto tornato in un ragionevole silenzio. Meglio farlo di persona, era vero.
Ma adesso c’erano. Erano lì di persona e di tempo era trascorso fin troppo.
Il momento era arrivato. 
Adesso si poteva fare quella stramaledetta pace come si doveva senza giri di parole ed ostacoli ulteriori. 
Carlos stava praticamente guardando la porta da due lunghissimi interminabili ed imbarazzanti minuti, quando quella sia aprì da sola di botto rivelando il bel viso esasperato di Jannik, le sue lentiggini splendide, i suoi ricci rossi selvaggi come sempre e i suoi occhi affilati da felino, così severi in quel momento. 
- Si può sapere quanto diavolo ci metti a bussare? Vuoi un invito scritto, dannazione? Mandiamo un telegramma? Ti devo implorare sul serio? Posso farlo, sai? La tua faccia ha fatto così tante espressioni in due stramaledetti minuti che... 
Carlos non finì la frase, capì solo che l’aveva guardato dallo spioncino per tutto il tempo, probabilmente avvisato da Giacomo che adesso doveva capire da che parte stava. Ma da lì in poi fu tutto buio, il cervello gli si spense e fregandosene altamente di essere di fatto ancora fuori dalla camera, si appese a lui gettandogli le braccia al collo e sollevando le gambe gliele avvolse intorno alla vita facendosi prendere in braccio. 
Jannik non ebbe scelta che indietreggiare mentre lo stritolava togliendogli il fiato e probabilmente anche la vita, ricoprendogli la faccia di baci entusiasti; chiuse la porta e lo appoggiò ancora appeso come un koala ad un albero. 
Aveva baciato ogni centimetro della sua faccia con foga e una gioia incontaminata così assoluta da fargli venire le lacrime agli occhi.
Poteva davvero una persona mancargli così tanto? 
Stava arrivando alla bocca quando si rese conto che gli stava in braccio e che veniva da un infortunio all’anca che forse non era nemmeno del tutto guarito e fermandosi di scatto saltò giù dalle sue braccia che lo reggevano dando dimostrazione di una certa notevole forza.
Con i piedi per terra e ancora fra Jannik e la porta, lo prese per le spalle preoccupato come se si svegliasse solo ora, guardò poi i suoi fianchi.
- Jan, come stai? È guarita bene l’anca? Dio, ma perché mi hai preso? Sei matto? E se ti ho fatto avere una ricaduta? 
A quella sparata spontanea, Jannik rise altrettanto spontaneamente appoggiandosi a lui bloccandogli le vie di fuga con le braccia, le mani appoggiate alla porta dietro. Il volto lo sovrastava di qualche centimetro perciò lo guardava dall’alto come al solito, ma non gli dava alcun senso di soffocamento o intimidazione, anzi. 
Carlos si sentiva a suo agio come non mai.
- E che dovevo fare, schivarti e farti cadere giù come una stella cadente? 
Carlos rise illuminando il proprio viso, quando lo fece Jannik si perse per un momento e il secondo successivo i suoi occhi verde nocciola che poteva ammirare a pochi centimetri, erano lucidi. Lucidi come i propri. Lucidi d’emozione. E lui sapeva che stava avendo quella reazione non al rivederlo e all’abbraccio, ma proprio al suo sorriso. Gli era mancato. Jannik non parlava e non si esprimeva più, ma era come se lo stesse facendo. 
Carlos lasciò che si perdesse nel proprio sorriso, sapeva che era la cosa che gli piaceva di più di sé, ma in cambio infilò le dita fra i suoi ricci e mentre lo faceva, gli occhi corsero a guardargli le sue adorabili lentiggini.
Tutto, gli era mancato tutto di lui, ma quelle cose in particolare. 
- Stai bene, comunque? - chiese poi serio e piano. Jannik annuì alla stessa maniera, sempre catturato da lui, sempre appoggiato al suo corpo, a bloccarlo per impedirgli di scappargli di nuovo. 
- E tu? - chiese poi. Carlos annuì.
- Benissimo, adesso. 
Jannik sorrise e senza dirsi più nulla lasciarono che le loro labbra si ritrovassero dopo fin troppo tempo e quando lo fecero, l’emozione esplose di nuovo. Vivida, bruciante, splendida.
Carlos chiuse gli occhi e si abbandonò mentre le bocche si aprivano e si fondevano, le lingue si trovavano e tutto tornava al proprio posto. Ogni cosa finalmente funzionava come sempre, ma quella separazione e quel ritrovarsi gli fece capire una cosa veramente essenziale.
Qualunque cosa sarebbe successo fra loro, l’avrebbero sempre fatta funzionare. In un modo o nell’altro, non importava cosa faceva uno che all’altro non andava bene. Voleva solo stare con lui e basta. Non importava tutto il resto. 
Carlos strinse le braccia intorno al suo collo e aderì meglio a lui alzandosi in punta di piedi. Le braccia di Jannik scivolarono intorno alla sua vita e mentre il bacio prendeva fuoco, lo strinse a sé abbandonandosi completamente. 
Era felice. Carlos sapeva di non essere mai stato così felice, non c’erano paragoni con le vittorie a tennis, neppure quelle più importanti. Tanto meno la posizione di numero uno nel ranking. 
Carlos era semplicemente felice lì a baciare Jannik e abbracciarlo. Solo una cosa, a quel punto, mancava e non poteva proprio tenersela più per sé. 
Scivolò fuori dalla sua bocca indispettendo vagamente Jannik, ma sempre con gli occhi chiusi cercò con le labbra il suo orecchio e stringendosi a lui, semplicemente lo disse con delicatezza ed un’infinita dolcezza.
- Ti amo, Jannik. Non sai da quanto voglio dirtelo ed adesso non me ne frega se non provi lo stesso, sappi che io ti amo punto e basta. Forse per te sono solo un passatempo fra una partita ed una ragazza finta, ma questo seccante passatempo ti ama e non me lo voglio più tenere per me! 
Appena lo disse, sicuramente non come l’aveva immaginato anche perché non ci era mai riuscito e di fatto si era come al solito limitato a buttarsi a capofitto, si sentì immediatamente meglio, come se avesse finalmente digerito qualcosa che gli era rimasta sullo stomaco per giorni. 
Fu una sensazione paradisiaca e realizzando d’averlo fatto con estrema naturalezza, si sentì gli occhi bruciare. Stava per piangere, ma forse poteva resistere. Sicuramente adesso Jannik sarebbe stato shoccato e non gli avrebbe detto che lo ricambiava perché era ovvio che era così, ma a lui non importava. Lo amava comunque e non poteva smettere. Poteva andare avanti così, a fare sesso e divertirsi con lui senza essere ricambiato, il proprio amore era sufficiente per due, non avrebbe sofferto. Non più di quei maledetti venti giorni separati. Più se si contava che alla fine a Madrid era stato tutto un inferno!
Quando lo guardò con un po’ di ansia ma al contempo sicurezza di non essere ricambiato, rimase a dir poco di sasso nel guardare il volto di Jannik.
Forse per la prima volta in vita sua era realmente e profondamente espressivo. E non solo lo era, ma era emozionato. Anzi.
Era commosso.
Jannik, per la verità, aveva le lacrime sulle ciglia pronte a straripare dai suoi splendidi occhi. 

Si era figurato mille scenari, ma nessuno alla fine era finito con un ‘ti amo’ così carico di trasporto e sincerità da parte di Carlos. 
Nel giro di pochissimo era successo di tutto. Era passato dal messaggio di Giacomo con un criptico ma chiaro ‘arriva’ che per un momento gli aveva fatto pensare al Balrog del Signore degli anelli, a lui appeso addosso a baciarlo soffocandolo ed infine quel bacio così splendido e carico di trasporto finito addirittura con quella dichiarazione.
Gli aveva letto nel pensiero, non c’erano dubbi. Non capiva come aveva fatto ma era così, solo che il punto era un altro e mentre cercava faticosamente di riprendersi dalle emozioni che avevano preso il sopravvento in lui per la prima volta nella sua vita fino al punto di mandarlo in totale blackout, si accorse di avere le lacrime sugli occhi. 
Quando notò che il viso di Carlos si offuscava, capì che stava per piangere. 
Sapeva di dovergli rispondere non tanto perché era da settimane che voleva dirgli che lo amava anche lui e l’aveva ovviamente preceduto, ma più che altro perché doveva correggerlo, solo che la lingua era annodata e non voleva saperne di parlare e rispondere ai propri comandi.
Le lacrime alla fine scesero traditrici, ma le mani di Carlos gli presero il volto e le dita gli asciugarono le guance. Quando riuscì a rimetterlo a fuoco realizzò che stava smettendo, finalmente il suo bel volto tornò a fuoco e sorrideva dolcissimo e colpito. Il sorriso che gli era mancato come l’aria e forse di più.
Si poteva amare fino a quel punto? Quando aveva capito di dover trovare un modo per gestire Carlos e proteggere la loro relazione, si era chiesto quello. Ed ora era lì a piangere nel sapere che l’amava anche lui e nel rivedere ancora una volta quel suo bellissimo sorriso così benefico. 
Guardandolo la mente tornò a connettersi con la bocca e finalmente riuscì a dire quello che doveva. Prendendolo per il viso a sua volta e stringendo la presa, parlò con forza. 
- Razza di idiota, come ti salta in mente di pensare che sei solo un passatempo fra una partita ed una ragazza finta e che non ti amo? Certo che ti amo, brutto imbecille! Come fai a non essertene accorto? Come puoi anche solo dubitarne? Era così ovvio! Perché credi che cercavo una soluzione per vivere serenamente la nostra relazione senza dovermi preoccupare di gestirti e contenerti? 
Carlos per un momento lo guardò spaesato e proverbialmente senza parole. Si guardarono per un attimo, ma rimase in quello stato catatonico per poco, probabilmente non aveva nemmeno afferrato totalmente il senso delle sue parole. Anzi, ne era sicuro, lo conosceva bene.
- Ma che diavolo significa che vuoi gestirmi? Perché dovresti gestirmi? Quando Andrej mi ha detto che cercavi un modo per gestirmi e che ti aveva suggerito di gestire la gente invece che me volevo chiederti che diavolo significava! 
Jannik capì così che Carlos aveva parlato con Andrej il giorno della loro partita e facendo velocemente due calcoli realizzò che era stato quando aveva cercato di parlargli via messaggi. Aveva pensato fosse per la preoccupazione del suo stato di salute, ma invece era perché Andrej gli aveva detto tutto, ovviamente mettendogli solo più caos in testa. 
- Significa che ti amo così tanto da aver paura che qualcosa ci rovini tutto questo e che invece di vivere questo splendido paradiso, poi ci ritroviamo a vivere un orribile inferno. Come fa a non essere chiaro? Non ci avrei pensato da solo, ma alla fine una ragazza che ci copra è l’ideale. Così non dobbiamo rinunciare a tutto questo né stare attenti. Anche perché è ovvio che tu attento non ci sai stare visto che prima mi sei saltato addosso in corridoio! 
Jannik sapeva di dovergli spiegare meglio e sperava che ora avesse capito, sebbene era chiaro che ancora il suo ‘ti amo’ si fosse perso nel suo cervello bacato. Come poteva non reagire a quello? Come osava? Nemmeno se lo meritava. Forse era meglio rimangiarselo! 
Cosa lo amava a fare uno così idiota? 
Jannik deluso gli lasciò il viso e cercando di sciogliersi dalle sue braccia, venne subito dopo ripreso meglio con più forza. Carlos lo afferrò questa volta per la vita, infine ritrovando il suo sguardo, come se si svegliasse solo in quel momento, disse: - Quindi mi ami anche tu davvero? 
A quella domanda Jannik stava per rispondere ‘no sei solo un idiota’, ma quando vide quel suo sorriso, il suo punto debole di sempre, alzò gli occhi al cielo e scuotendo il capo sospirò arrendendosi definitivamente. 
- Sì, imbecille. Ti amo. Fammelo ripetere ancora, sai, che... 
Ma no, non glielo fece ripetere, perché le sue labbra, sempre piegate in quel splendido sorriso che amava tanto, si posarono sulle sue baciandolo di slancio e con tutta la gioia calorosa di cui era sempre capace. Quella che gli aveva saputo trasmettere così bene e che ora scorreva anche in sé stesso facendolo sentire vivo. Più vivo che mai. 


Note: so che Jannik non è uno che piange, ma ha anche detto che ci sono casi in cui l'emozione è tanta e lo fa. Ho pensato che lì dopo la tensione degli ultimi venti giorni accumulata fra infortunio e problemi con Carlos, potesse allentarsi tutto e far scendere qualche tenera lacrima, anche in virtù della dimostrazione di quanto è bello e profondo quel che prova per lui. Comunque finalmente se lo sono detti, ste due paroline magiche. Sempre a modo loro, perché non possono essere normali, ma al tempo stesso sono anche teneri. Il prossimo sarà l'ultimo capitolo. Baci Akane